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IL POLO DELL’APPRENDENTE

5. Alunni di altre L

Un altro gruppo di alunni accolto sotto il termine-ombrello BES è costituito da coloro che hanno bisogni linguistici transitori, connessi all’apprendimento dell’italiano come L2.

La presenza crescente nelle aule scolastiche di bambini e ragazzi che hanno una storia di migrazione diretta o familiare, è un dato strutturale. Nell’anno scolastico 2015/2016 gli alunni con cittadinanza non italiana iscritti nelle scuole italiane sono stati circa 815.0005, cioè oltre il 9% della popolazione scolastica totale. I dati statistici indicano che la maggioranza di questi studenti è nata in Italia (51,7%) e quindi si tratta dei figli di immigrati, chiamati immigrati di seconda e terza generazione nonostante non abbiano mai vissuto nel paese di origine dei genitori (Miur, 2014: 6-7).

In ambito scolastico il documento ministeriale di riferimento, che orienta le pratiche di inserimento, e di educazione e didattica relative agli alunni con altre L1, è stato emanato nel 2014 con il nome di Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri, (Miur, 2014). Questo documento integra e aggiorna il precedente6 sebbene ne confermi i principi e le azioni fondamentali, connessi alla constatazione che una molteplicità di culture e di lingue è entrata strutturalmente nella scuola italiana. Il modello di riferimento rimane sempre l’educazione interculturale, che viene specificata e ribadita rispetto anche agli orientamenti relativi alle forme democratiche di convivenza delineati dal documento Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione (Miur, 2012a). Così l’educazione interculturale «costituisce lo sfondo da cui prende avvio la specificità di percorsi formativi

 

5 Nel marzo 2018, quando questo studio era già terminato, è uscito il rapporto ministeriale relativo

alla presenza degli alunni con cittadinanza non italiana presenti nel sistema scolastico italiano. I dati rivelano un leggero incremento di questi alunni sul totale della popolazione scolastica, che portano l’incidenza al 9,4% (Miur, 2018: 8).  

 

rivolti ad alunni stranieri, nel contesto di attività che devono connotare l’azione educativa nei confronti di tutti» (Miur, 2017: 4). Dunque, come base dell’educazione interculturale viene rinnovato l’orientamento al confronto, al dialogo, al reciproco riconoscimento e arricchimento delle persone nel rispetto delle diverse identità ed appartenenze e delle pluralità di esperienze di ciascuno, italiano e non. Tuttavia, la necessità di un nuovo strumento di orientamento nasce dalla trasformazione del fenomeno migratorio, che si configura oggi complesso sia numericamente, sia per varietà di provenienza e culture, sia per modalità migratorie. Basti solo pensare che prima degli anni Ottanta, il tema dell’italiano L2 era all’attenzione soprattutto degli alfabetizzatori degli adulti immigrati, mentre la prima circolare ministeriale (n. 301) rivolta alla “specifica condizione linguistica degli alunni stranieri” è del 1989, cioè i bisogni linguistici dei bambini e degli alunni sono diventati visibili alla scuola solo «man mano che l’immigrazione metteva radici e diventava “familiare”» (Favaro, 2005: 24).

Oggi, gli indirizzi educativi devono tenere conto da un lato della presenza strutturale degli alunni stranieri negli ordini di scuola più bassi e il consistente accesso degli studenti stranieri alla scuola secondaria di II grado; dall’altro del fatto che gli alunni di altre L1 nati in Italia sono in aumento.

La tabella riporta i dati degli alunni stranieri nati in Italia iscritti ai vari ordini di scuola:

anno scolastico 2015/2016

INFANZIA PRIMARIA SECONDARIA DI I GRADO

SECONDARIA DI II GRADO per 100 alunni con

cittadinanza non italiana

85,2% 71,6% 49,4% 22,8%

Tabella 3. Alunni con cittadinanza non italiana nati in Italia per ordine di scuola (Miur, 2017: 17).

Un elemento di novità introdotto da quest’ultimo documento ministeriale è che non presenta semplicemente un’unica tipologia di alunni stranieri ma un insieme di condizioni caratterizzanti che differenziano questi alunni. Per orientare la progettazione di azioni didattico-educative specifiche, oltre al riferimento

giuridico che definisce questi alunni “cittadini non italiani” e a quello linguistico che li definisce “soggetti di altre L1”, vengono, infatti, introdotte le categorie distintive di: “alunni migranti minori non accompagnati”7; “alunni figli di coppie miste”; “alunni arrivati per adozione internazionale”; e infine, “alunni appartenenti ai gruppi di origine nomade” (Miur, 2017: 6).

5.1 I bisogni linguistici degli alunni di altre L1

Per indagare i bisogni degli alunni di altre L1 bisogna riconoscere la complessità delle condizioni che caratterizza questo gruppo disomogeneo di alunni. Una prima macroscopica suddivisione si basa sulle caratteristiche del percorso migratorio degli alunni, cioè prende in considerazione in quale paese si sono svolte le relazioni sociali della prima infanzia. I bisogni degli alunni sono naturalmente di varia natura (relazionali, psicologici, culturali e identitari) e sono soggetti ad una grande variabilità soggettiva, culturale ed esperienziale: tuttavia qui si darà particolare evidenza ai bisogni linguistici.

I bisogni linguistici degli alunni stranieri nati in Italia, esposti all’italiano fin da piccoli (insieme al codice materno) e che quindi entrano già italofoni nella scuola primaria, non sono legati ai bisogni comunicativi di sopravvivenza ma sono piuttosto bisogni di “secondo livello”. Ciò significa che gli alunni non hanno la necessità di acquisire le parole e le strutture di base della lingua per comunicare, quanto piuttosto di arricchire il loro vocabolario, curare la grammatica e la forma, potenziare le capacità di narrazione e di espressione anche alla luce degli apprendimenti disciplinari specifici. In una condizione diversa si trovano, invece, coloro che entrano in classe “senza parola” (Favaro, 2011: 131). Macroscopicamente, le prime competenze ad essere acquisite sono quelle comunicative, necessarie per soddisfare bisogni di socializzazione, mentre solo successivamente, in concomitanza di fattori psicologici interni al soggetto e sociali esterni, le competenze comunicative interpersonali vengono affiancate da quelle più complesse necessarie all’istruzione e allo sviluppo cognitivo       

7 È doveroso notare che il significativo aumento della presenza sul territorio italiano dei minori

non accompagnati non si è tradotto nella corrispettiva frequenza delle istituzioni di istruzione/formazione, dal momento che una buona parte di loro diventano irreperibili una volta

 

(Cummins, 1979). Lo sviluppo della competenza linguistica è, infatti, sicuramente correlato al tempo di permanenza a input linguistici specifici, ma nel processo di acquisizione/apprendimento di una lingua concorrono anche altre variabili esterne e interne al soggetto che ne influenzano la qualità e i ritmi di apprendimento. Le varietà di apprendimento che caratterizzano il continuum linguistico orientato alla lingua target risultano soggette a variazione diacronica in relazione alla frequenza, alla qualità dell’esposizione, alla motivazione ad apprendere, alla distanza tipologica della L1, alla conoscenza di altre lingue, alla capacità di attivare strategie di apprendimento ecc. In un contesto di insegnamento/apprendimento formale della lingua, come è la scuola, il bisogno dell’alunno non è semplicemente quello di apprendere gli strumenti linguistici necessari alla sopravvivenza, ma è quello legato all’integrazione scolastica, collegata alla progressiva padronanza delle varietà dell’italiano e dei discorsi disciplinari, oltre che quello relativo allo sviluppo delle abilità cognitive sollecitate dallo studio delle diverse discipline scolastiche veicolate dall’italiano lingua di scolarizzazione.

Anche coloro che sono nati in Italia necessitano di attenzioni e sollecitazioni didattiche per raggiungere i quattro obiettivi principali, propri dell’italiano L2 di “secondo livello” e che hanno a che fare con (Favaro, 2011: 140):

‐ la comunicazione quotidiana con interlocutori diversi e su temi differenti ‐ l’ingresso nella lingua scritta

‐ la comunicazione scolastica

‐ la lingua veicolare che trasmette saperi e contenuti disciplinari.

Si tratta, cioè, di costruire tra i discorsi quotidiani informali e i discorsi più formali delle forme intermedie che possono via via condurre verso la formulazione di enunciati più “esperti”, che muovono dalle forme quotidiane dell’orale verso quelle proprie dello scritto. I bambini stranieri (e quelli italiani), infatti, devono essere resi precocemente consapevoli della varietà dei discorsi e della loro maggiore o minore formalità/informalità, a seconda delle situazioni e degli interlocutori.