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Alunni con Disturbi Specifici dell’Apprendimento nella scuola italiana

IL POLO DELL’APPRENDENTE

2. Alunni con Disturbi Specifici dell’Apprendimento nella scuola italiana

Dalla rilevazione del MIUR svolta nell’anno scolastico 2014/2015 la percentuale degli alunni e studenti con Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) nel sistema nazionale d’istruzione si attesta intorno al 2,1%, interessando 186.803 alunni/studenti su un totale di 8.845.984. In particolare nell’a.s. 2014/2015 le percentuali di alunni/studenti con diagnosi di DSA sono l’1,6% alla scuola primaria, il 4,2% alla scuola secondaria di primo grado e il 2,5% alla scuola secondaria di secondo grado (MIUR, 2015). Tuttavia gli alunni con DSA non presentano un unico disturbo bensì svariati disturbi che interessano diversi aspetti dell’apprendimento, linguistico e no. Focalizzando l’analisi solo sugli alunni con dislessia/disortografia, e quindi tralasciando gli altri tipi di disturbi specifici di apprendimento, la presenza degli alunni caratterizzati dai due disturbi si aggira intorno all’1,4% alla scuola primaria e intorno al 3,6% alla scuola secondaria di I grado. Infatti, sebbene la rilevazione ministeriale specifichi che i casi di dislessia sono 108.804 mentre quelli di disortografia 46.979, tuttavia chiarisce che il totale degli alunni non deve intendersi come la somma dei due disturbi poiché un alunno può presentare diversi disturbi in associazione.

Prima della direttiva ministeriale sui BES del dicembre 2012, la Legge 170 del 2010 e le Linee Guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con disturbi specifici di apprendimento (Miur, 2011) avevano già presentato la specificità di questa tipologia di alunni, riconoscendo che la dislessia1, la disgrafia, la disortografia e la discalculia sono disturbi specifici di apprendimento che possono costituire una limitazione importante per le attività scolastiche

 

1 Esistono anche forme di dislessia, disortografia e discalculia che si manifestano come disturbi

acquisiti in seguito a traumi cerebrali, ma i soggetti che vengono analizzati in questo studio si presentano caratterizzati da dislessia di tipo evolutivo, la quale, avendo un’origine costitutiva, si

         

benché si manifestino in presenza di capacità cognitive adeguate e in assenza di patologie neurologiche o di deficit sensoriali.

I disturbi, che possono manifestarsi separatamente o in associazione, vengono così definiti:

- Dislessia: disturbo specifico che si manifesta con una difficoltà

nell’imparare a leggere, in particolare nella decifrazione dei segni linguistici, ovvero nella correttezza e nella rapidità della lettura.

- Disgrafia: disturbo specifico di scrittura che si manifesta in difficoltà

nella realizzazione grafica.

- Disortografia: disturbo specifico di scrittura che si manifesta in difficoltà

nei processi linguistici di transcodifica.

- Discalculia: disturbo specifico che si manifesta con una difficoltà negli

automatismi del calcolo e dell’elaborazione dei numeri.

Sebbene l’accertamento diagnostico spetti ai servizi sanitari, la scuola ha il compito di individuare precocemente i casi sospetti di soggetti con DSA secondo quanto già specificato nelle Linee Guida (Miur, 2011: 5-6) e di predisporre piani didattici personalizzati anche in assenza di diagnosi medica. Quest’ultima precisazione può essere importante per interpretare il progressivo incremento degli alunni che presentano disturbi specifici di apprendimento2. Infatti, dal momento in cui il Ministero dell’Istruzione ha sollecitato gli insegnanti alla riflessione sul tema e li ha investiti della responsabilità di individuare i soggetti con disturbi specifici prima ancora degli accertamenti diagnostici, gli insegnanti usando gli strumenti offerti dalla normativa scolastica italiana hanno affinato la sensibilità nel riconoscere le specifiche difficoltà degli alunni con prestazioni scolastiche non conformi allo sviluppo cognitivo. Questo fatto ha determinato un aumento delle segnalazioni ai servizi sanitari degli alunni con sospetto di dislessia/disortografia, e come conseguenza di ciò si è verificato un incremento dell’accertamento del disturbo.

 

2 La rilevazione ministeriale riferita all’anno scolastico 2011-2012 informava che le percentuali

che interessavano la scuola primaria e la scuola secondaria di I grado erano rispettivamente l’1% e il 2,2% (Miur, 2013).

2.1 Classificazioni dei disturbi specifici di apprendimento

Esistono vari riferimenti internazionali utilizzati nella definizione e classificazione dei disturbi specifici dell’apprendimento. Si riportano qui le classificazioni redatte dall’Associazione Americana Psichiatri e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che hanno guidato la definizione dei disturbi presentata dalla normativa scolastica:

• 315 Disturbi dell’apprendimento- Asse I sezione Disturbi solitamente diagnosticati per la prima volta nell’infanzia, nella fanciullezza o nell’adolescenza secondo il manuale diagnostico DSM V (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorder) del 2016 curato dalla American Psychiatric Association. Nello specifico, i Disturbi dell’Apprendimento sono caratterizzati da un funzionamento scolastico che è sostanzialmente inferiore a quanto ci si aspetterebbe data l’età cronologica, la valutazione psicometrica dell’intelligenza, e una educazione appropriata all’età del soggetto. Questo documento specifica anche alcuni dei disturbi che si associano al DSA e che sono correlati al basso livello di autostima e alla difficoltà di relazione con gli altri.

• F81 Disturbi evolutivi specifici delle abilità scolastiche – contenuta nella parte F80-F89 dedicata ai Disturbi dello sviluppo psicologico del settore V Disturbi psichici e comportamentali dell’ICD-10, cioè la decima versione dell’International Statistical Classification of Disease and Related Health Problems redatta dall’OMS (1990). Questo documento specifica che i disturbi evolutivi specifici delle abilità scolastiche comprendono gruppi di condizioni morbose che si manifestano con specifiche e rilevanti compromissioni dell’apprendimento delle abilità scolastiche. Frequentemente i disturbi in questione si presentano insieme con altre sindromi cinetiche, o ad altri disturbi evolutivi.

L’eziologia dei disturbi evolutivi specifici delle abilità scolastiche non è nota, ma si suppone che vi sia un intervento significativo di fattori biologici, i quali interagiscono con fattori non biologici producendo le manifestazioni.

 

Mondiale della Sanità in uno strumento diagnostico più recente (2001) noto come ICF e riprese, in Italia, dalla Consensus Conference, che non analizza solo le componenti deficitarie ma si occupa delle influenze delle interrelazioni personali e ambientali sul funzionamento dei soggetti con dislessia/disortografia (come nel caso dei modelli olistici che verranno presentati più avanti).

• L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha promosso nel 2001 il modello diagnostico ICF (International Classification of Functioning) come strumento di analisi e classificazione del funzionamento e della disabilità che riguarda tutte le persone, non soltanto quelle con disabilità, in quanto esplora le diverse condizioni di salute ponendosi come un modello di tipo bio-psico-sociale all’approccio della salute e della disabilità. Infatti, l’ICF «sottolinea che la disabilità è un rapporto sociale, dipendente dalle condizioni di salute in cui si trova una persona e le condizioni ambientali e sociali in cui si svolgono le sue attività. Qualora queste condizioni non tengano conto delle limitazioni funzionali della persona e non ne adattino gli ambienti di vita e di relazione, vengono costruiti barriere ed ostacoli che limitano la partecipazione sociale» (Emilio, Griffo, 2009: 16). Secondo questo approccio dunque sul grado di disabilità e di funzionamento influiscono anche l’ambiente di sviluppo e il contesto educativo nel quale interagisce l’alunno. Il modello è adeguato anche per essere applicabile ai disturbi dell’apprendimento che difficilmente si presentano come un quadro omogeneo in quanto di solito sono coinvolte più abilità, influenze ambientali e aspetti psicologici. Da qui la necessità di una valutazione globale, di tipo dinamico, che tenga conto di tutti gli aspetti cognitivi, neuropsicologici e affettivo-relazionali e che evidenzi non soltanto le competenze deficitarie, ma anche le strategie di compensazione attivate che possono evolversi nel tempo per l’intervento di diversi fattori maturazionali (Giovanardi Rossi, Malaguti, 1994: 7-9). L’ICF è utile e utilizzabile in diversi ambiti sociali compreso quello scolastico. Proprio in quest’ultimo campo è considerato un valido strumento educativo poiché permette una programmazione degli interventi didattici orientata a un approccio olistico alla persona. Infatti, il modello mette in evidenza come la gravità del disturbo e un maggiore o minore

disadattamento siano correlati ai diversi fattori ambientali (scuola, ambiente familiare, contesto sociale), psicologici (le diverse condizioni di ansia, di fiducia, di consapevolezza, autostima) e neurobiologici. A questo proposito il Ministero della Pubblica Istruzione ha promosso nell’a.s. 2010/2011 il progetto “Dal modello ICF dell’OMS alla progettazione per l’inclusione” con l’obiettivo di sperimentare a livello nazionale l’applicazione del modello ICF nella scuola, al fine di diffondere un approccio alla disabilità che dia risalto al ruolo determinante che l’ambiente scolastico svolge nell’effettiva inclusione degli alunni.

• A questi documenti, in Italia è possibile affiancare quello proposto dalla Consensus Conference sui DSA promossa dall’Associazione Italiana Dislessia (AID) nel settembre del 2006 a Montecatini e aggiornato nel 2011 con il Panel di Aggiornamento e Revisione della Consensus Conference (ISS, 2011). Infatti, allo scopo di definire degli standard clinici per la diagnosi e per la riabilitazione della dislessia evolutiva l’AID ha sollecitato un incontro tra associazioni del settore e società scientifiche che ha prodotto un documento finale pubblicato nel gennaio del 2007. Il documento della Consensus Conference definisce la natura del disturbo come neurobiologica e di carattere evolutivo, nel senso che nel tempo si ha una diversa espressività del disturbo sebbene rimanga persistente e quasi sempre associato con altri disturbi.

Per i docenti chiamati, come già detto, a individuare precocemente gli alunni con disturbi di apprendimento, è interessante conoscere che il principale criterio individuato dai clinici per stabilire la diagnosi di DSA è «quello della “discrepanza” tra abilità nel dominio specifico interessato (deficitaria in rapporto alle attese per l’età e/o la classe frequentata) e l’intelligenza generale (adeguata per l’età cronologica)» (ISS, 2009: 38).