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Il ruolo della memoria nell’apprendimento della letto-scrittura Dalla presentazione dei diversi modelli emerge come nell’apprendimento della

IL POLO DELL’APPRENDENTE

3. Infine, i modelli interattivi descrivono la lettura come una combinazione

3.7 Il ruolo della memoria nell’apprendimento della letto-scrittura Dalla presentazione dei diversi modelli emerge come nell’apprendimento della

letto-scrittura le teorie sottolineano dapprima l’importanza della discriminazione visiva, poi della competenza fonologica, infine dell’interazione delle diverse competenze del soggetto, le quali contribuiscono allo sviluppo di strategie di apprendimento.

Un’ulteriore componente, considerata essenziale per l’ apprendimento formale della lingua, sia orale che scritta, è la memoria.

In ambito psicolinguistico il modello di Berninger e Swanson (1994), diversamente dai modelli precedentemente presentati, abbandona il concetto di stadio e mette in luce l’importanza e il ruolo della memoria nell’acquisizione di una serie di abilità (di codifica, linguistiche e cognitive) che sono alla base del processo stesso di letto-scrittura. Secondo questo modello i diversi livelli di elaborazione operano simultaneamente nello sviluppo della lettura/scrittura piuttosto che separatamente: sia quelli bassi, cioè motori o di codifica ortografica,

sia quelli più alti come quelli linguistici e cognitivi. La lentezza e la difficoltà con cui determinate operazioni sembrano comparire nei dislessici dipende dal contributo della memoria di lavoro e dall’attivazione di processi più propriamente cognitivi e meno economici (Bozzo e altri, 2000: 20-21).

Contributi significativi per comprendere il ruolo della memoria non solo nell’apprendimento della letto-scrittura ma delle competenze linguistiche generali, arrivano dalle teorie neurolinguistiche. Per Cardona ogni apprendimento presuppone attenzione e intenzionalità in chi lo compie e l’attenzione implica la cooperazione di fattori motivazionali e emotivi, ma anche mnemonici; infatti «i processi cognitivi, emotivi e emozionali che fondano il nostro Sé non potrebbero esistere senza memoria» (Cardona, 2010: 3). In questa prospettiva le componenti cognitive e quelle affettive interagiscono con la memoria e quindi determinano gradi diversi di apprendimento: la memorizzazione cioè avverrebbe soprattutto su base emotiva e motivazionale.

Di solito nell’azione didattica il riferimento alla memoria appare quando fallisce, cioè quando fattori diversi impediscono il ricordo a causa di (Cardona, 2010: 11- 12):

- un’esposizione insufficiente all’input per cui la traccia non è connessa in

modo stabile alla memoria a lungo termine, per cui è facile riconoscerla ma non rievocarla

- un input inadeguato ad essere analizzato perché è parziale e insufficiente - analisi e riflessione insufficienti e inadeguate a una elaborazione profonda

che permette il passaggio alla memoria a lungo termine

- modalità di recupero inappropriate

Secondo questa analisi l’apprendimento è dato dall’acquisizione di un input, dal suo immagazzinamento e dalla sua ritenzione e poiché non esiste una sola memoria non esiste nemmeno una sola modalità di stoccaggio delle informazioni e di recupero delle stesse (Cardona, 2010: 12). Esistono invece diverse strategie che permettono di elaborare le informazioni e di strutturarle e organizzarle in modo efficace e produttivo.

 

Parlando della memoria non bisogna intenderla come un sistema monolitico, bensì come un sistema formato da diversi magazzini specializzati che sottostanno alle complesse operazioni della mente con funzioni specifiche e interagenti. Molto sinteticamente si possono rilevare diversi magazzini di memoria, con capacità diverse a seconda dei compiti svolti, che interagiscono con gli stimoli ambientali e con le condizioni emotive del soggetto.

La memoria sensoriale si attiva appena viene percepita l’informazione sensoriale (uditiva, visiva, tattile, olfattiva, gustativa) che viene subito stoccata nello specifico magazzino per un periodo brevissimo: da alcuni millisecondi a pochi secondi. Qui l'input ambientale viene elaborato esclusivamente in base alle sue proprietà percettive, e memorizzato solo per il 25%, mentre il resto viene immediatamente cancellato, a meno che non passi negli altri magazzini (Daloiso, 2009: 10).

Le informazioni recepite dalla memoria sensoriale confluiscono nella memoria a breve termine che ha a disposizione un magazzino nel quale le informazioni rimangono attive fino a trenta secondi. Tuttavia non tutti gli input sensoriali possono giungere a questa memoria, ma solo quelli vagliati come utili. Gli stimoli distrattori vengono inibiti in quanto andrebbero ad occupare spazio inutilmente: infatti la memoria a breve termine ha la capacità di ritenere 7+/-2 elementi. Tuttavia, associando gli elementi la capacità di questo magazzino aumenta, così come aumenta la sua capacità di ritenzione se l’informazione è di tipo uditivo invece che solo visivo (Cardona, 2010: 66-67). La memoria fonologica di lavoro, che è quella specificamente deficitaria nei dislessici/disortografici, permette di mantenere in memoria stimoli verbali codificati fonologicamente sia recepiti in modalità acustica sia in modalità visiva (Brizzolara, 2001: 243-247), cioè sia ascoltati sia letti. Questa memoria è addetta alla manipolazione dell’input linguistico ed è formata da un magazzino fonologico, che trattiene la traccia linguistica per un secondo e mezzo-due, e da un circuito articolatorio che per mezzo del rehearsal rinfresca l’input e lo rimanda al magazzino fonologico recuperando l’informazione. Questo circuito è in grado di trasformare un input linguistico dal codice scritto al codice fonologico (Cardona, 2010: 108), quindi è estremamente importante nella decodifica e codifica della lingua.

Dal momento che in letteratura la memoria a breve termine e la memoria di lavoro spesso vengono fatte coincidere, è necessario fare chiarezza e definire i due sistemi. La memoria a breve termine si riferisce ad uno spazio di memorizzazione di durata limitata, ma non implica una particolare elaborazione e manipolazione dei dati; mentre la memoria di lavoro «si riferisce piuttosto ai processi cognitivi necessari alle operazioni mentali relative al ragionamento e al problem solving sulla base delle informazioni trattenute» (Cardona, 2010: 100-101). La memoria a lungo termine, infine, ha magazzini dove le informazioni trovano collocazione in modo permanente e costituisce la nostra enciclopedia. Questa memoria non assembla le informazioni in modo sommativo, ma le organizza attivamente secondo tre fasi: accrescimento, strutturazione e aggiustamento. In questo modo l’organizzazione degli input determina modalità di apprendimento e di rievocazione della conoscenza (Cardona, 2010: 76). Infatti la memoria a lungo termine può essere suddivisa in due sottoinsiemi: la memoria non dichiarativa implicita e la memoria dichiarativa esplicita. La prima è di tipo procedurale, e si attiva automaticamente dopo un periodo di addestramento nel quale i processi attentivi sono controllati, dopodiché il loro controllo diventa automatico. Nei dislessici/disortografici, questo tipo di memoria procedurale si attiva più lentamente e dopo un lungo periodo di controllo vigile, nel quale sono i processi cognitivi a orientare le procedure. La memoria dichiarativa esplicita si differenzia in una memoria episodica che immagazzina le informazioni sulla base di un contesto situazionale, e in una memoria semantica, che è alla base del linguaggio in quanto riguarda il significato delle parole e i concetti. Questa raccoglie cioè le conoscenze che il soggetto ha del mondo, la sua enciclopedia. Si presenta dunque permanente e non condizionata dalle coordinate situazionali, in quanto agisce sull’input linguistico originario per arricchirlo di flessibilità semantica a livello denotativo e connotativo, in modo che diventi polisemico e non soltanto associato al significato presentato nell’input (Cardona, 2010: 78-79).

Questo tratto della memoria è particolarmente importante per comprendere come l’input, se presentato in contesti significativi, organizzato sistematicamente e rielaborato in relazione con le conoscenze pregresse, risulti particolarmente importante nei processi di apprendimento. Per specificare meglio, non è tanto

 

l’input ricevuto dall’ambiente che risulta fondamentale, quanto le reazioni e interazioni dell’apprendente con tale input (Cardona, 2010: 40).

Nell’insegnamento ad alunni dislessici/disortografici, bisogna tener in particolare considerazione le caratteristiche della memoria. Infatti, il confronto fra le nuove informazioni, gli schemi già posseduti e la costruzione di nuovi schemi avviene già nella memoria a breve termine, che rappresenta l’area di massima criticità nei soggetti dislessici/disortografici. I limiti della memoria a breve termine non consentono di tenere a lungo compresenti le informazioni in arrivo e allo stesso tempo di portare alla luce gran parte di ciò che è presente nella memoria a lungo termine (Calvani, 2012: 65). In questa teoria dell’apprendimento cognitivo è centrale la nozione del carico cognitivo, cioè della quantità di impegno di elaborazione che si produce nella memoria a breve termine (Calvani, 2012: 65). Sono stati individuati diversi tipi di carico cognitivo: estraneo, che riguarda tutte le forme di attività cognitiva che distraggono da ciò che è significativo per realizzare l’apprendimento; intrinseco, che è quello imposto da un determinato compito e che deve essere ridotto attraverso la scomposizione in più compiti o la sequenzializzazione del compito in fasi; infine pertinente, che si riferisce all’impegno cognitivo utile, cioè quello che la mente impiega per apprendere effettivamente (Calvani, 2012: 65-66).