SEZIONE II. LA SANZIONE
2.2 La necessaria parziarietà della nullità di cui all’art 9
In via preliminare, si rileva che la dottrina unanime sembra aver escluso che la norma preveda la nullità dell’intero contratto, anche in virtù della lettera della disposizione che fa espresso riferimento alla nullità del patto160, a cui ben potrebbe attribuirsi il significato di clausola utilizzato dall’art. 1419, comma 1, c.c.161
Tale considerazione, tuttavia, vale nei limiti in cui non sia l’intera struttura sinallagmatica del contratto ad essere vessatoria. In questo caso, infatti, riteniamo non vi potrebbero essere spazi per mantenere in vita il contratto.
Posta tale premessa, alla luce della disposizione da ultimo citata, ai sensi della quale “La nullità parziale di un contratto o la nullità di
singole clausole comporta la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita da nullità”, la dottrina ha diversamente risolto
la questione relativa al fatto se l’eventuale nullità del patto possa, comunque, condurre alla caducazione dell’intero contratto.
Precisa M.R. MAUGERI, Abuso, cit., pag. 158 e s.: “Sembra da escludere che il
160
patto possa coincidere sempre con la singola disposizione contrattuale. L’ambito colpito dalla nullità, infatti, non può che essere selezionato a partire dallo scopo della norma, che è quello di evitare che le parti attraverso un precetto contrattuale realizzino un abuso. Patto è, dunque, l’unità precettiva negoziale che seleziona una misura diversa da quella voluta dal legislatore. Essa può essere composta anche da più disposizioni”.
Per il concetto da attribuire al termine clausola, si veda da ultimo G. SICCHIERO,
161
Studi preliminari sulla clausola del contratto, in Contr. Imp., 1999, pag. 1196 e ss.,
secondo il quale la clausola può essere intesa quale precetto dell’autonomia negoziale, ossia quale imperativo giuridico inscindibile, al quale si deve ascrivere il singolo effetto scaturente dal contratto, con la conseguenza che da ciascuna clausola deriverebbe un solo effetto, e, pertanto, (pag. 1235) “la clausola sarà individuabile
quando dall’analisi della proposizione...risulti l’immediata produzione di una nuova «realtà giuridica» sia pure nel contesto dell’atto di cui è parte...configurando uno degli effetti obbligatori del contratto”.
Parte della dottrina ha risposto affermativamente, sostenendo che ritenere applicabile il primo comma dell’art. 1419 c.c. condurrà nella maggior parte dei casi alla nullità dell’intero contratto, in quanto è plausibile ritenere che la clausola nulla possa risultare essenziale per l’intero contratto.
Sulla base della considerazione che, al fine di dimostrare l’essenzialità della clausola nulla per ottenere la caducazione dell’intero contratto — la parte relativamente dominante potrebbe addirittura precostituire una prova di tale essenzialità sancendo la stessa all’interno del contratto — parte della dottrina ha suggerito di adottare un’interpretazione oggettiva dell’art. 1419 c.c., in virtù della quale la nullità della singola clausola si estenderebbe al resto del contratto “solo quando il rapporto tra tale clausola e le altre
disposizioni del contratto sia oggettivamente caratterizzato da una interdipendenza tale da escludere che il contratto possa sopravvivere senza la clausola nulla” . 162
Sebbene tale ricostruzione si proponga di superare gli angusti limiti applicativi dell’art. 1419 comma 1 c.c., al fine di offrire maggiore protezione al soggetto che si trova a subire un abuso di dipendenza economica, non si ritiene che la stessa riesca a raggiungere l’obiettivo prefissato. Per quanto, infatti, il superamento della prospettiva volontaristica imponga di accentrare l’attenzione, nell’ambito della valutazione in merito all’essenzialità della clausola nulla, sulla funzione perseguita dal contratto, indipendentemente da qualsiasi indagine psicologica sulla volontà originaria delle parti, ciò, tuttavia, non esclude che, nella logica dell’art. 1419 comma 1 c.c., dalla valutazione degli elementi concreti della fattispecie emerga l’importanza attribuita alla porzione invalida nell’economia del
In tal senso A. MAZZIOTTI DI CELSO, op. cit., pag. 258.
rapporto, quale è percepita realmente dai contraenti, sì da dedurne l’essenzialità della parte viziata, né esclude che il contraente nei cui confronti si sia fatta valere la nullità parziale possa dimostrare l’essenzialità della clausola. In tale ottica, pertanto, la soluzione offerta non ci sembra in grado di superare i rilievi effettuati dalla prima opinione di cui sopra.
Al fine di evitare tali rischi, è stato suggerito, poi, di applicare analogicamente, in considerazione dell’identità di ratio che accomunerebbe il divieto di abuso di dipendenza economica e la disciplina delle clausole vessatorie nei contratti del consumatore, l’ipotesi di nullità relativa necessariamente parziale che si ritiene essere stata introdotta da tale ultima disciplina.
Tale posizione, per quanto di fatto consentirebbe in effetti di approdare ad una situazione in cui l’eventuale nullità del patto non si estenderebbe all’intero contratto, tuttavia, non appare convincente, in quanto si fonda su di una presunta identità di ratio che non si può ritenere sussistente attesa la diversità funzionale e strutturale tra abuso di dipendenza economica e disciplina consumeristica.
Alla luce, tuttavia, di quanto esposto in precedenza in ordine alla finalità conformativa perseguita dal legislatore con le diverse tipologie di nullità di protezione introdotte nell’ordinamento italiano in questi ultimi anni, anche, ma non solo, dietro sollecitazione del legislatore comunitario, riteniamo che la necessaria parziarietà della nullità di cui all’art. 9 prescinda dall’applicazione dell’art. 1419, comma 1, c.c., e trovi autonomo fondamento nelle finalità di tutela del contraente economicamente dipendente quale rimedio per tutelare il corretto funzionamento del mercato e della concorrenza, perseguite con
l’introduzione del divieto di abuso di dipendenza economica163. Diversamente opinando, ritenendo, cioè, applicabile l’art. 1419, comma 1, c.c. si finirebbe per porre nel nulla una tutela che, già, allo stato attuale non ha dato prova di grande efficacia164. L’impresa dominante, infatti, potrebbe non preoccuparsi affatto delle conseguenze che potrebbero derivare dall’imposizione di condizioni ingiustificatamente gravose o discriminatorie, facendo affidamento sul timore di agire dell’impresa dipendente, la quale possa rischiare di vedersi pronunciare la nullità dell’intero contratto.
Per completezza sul punto, bisogna, tuttavia, precisare che nel caso in cui venisse riconosciuta la nullità dell’intero contratto,
Secondo C. PILIA, op. cit., pag. 360, riferendosi all’istituto della nullità previsto
163
dall’art. 9 l. subfornitura: “Le difficoltà ricostruttive riflettono la crisi in cui versa la categoria generale della nullità. Specialmente con la più recente normativa introdotta dalla legislazione speciale, si è assistito al moltiplicarsi degli statuti delle nullità, costituenti altrettanti regimi speciali, non più annoverabili tra le eccezioni alla disciplina generale contenuta negli artt. 1418 e ss. del codice civile. I regimi ormai diversificati delle nullità, infatti, rispondono alle singole rationes sottese alle fattispecie normative che contemplano il rimedio, graduandone in termini di adeguatezza il trattamento rispetto agli interessi coinvolti. Al medesimo approccio, pertanto, dovrà uniformarsi l’interprete anche nella ricostruzione del trattamento della nullità comminata dall’art. 9, senza fermarsi all’omaggio dei tradizionali dogmi in materia, certamente superati e non più idonei a soddisfare le concrete esigenze di protezione, né assecondare le logiche astratte della contrapposizioni tra sistemi che, in realtà, non sono così nette e tantomeno risolutive dei molteplici problemi di disciplina che presenta la singola fattispecie ”.
Rileva G. CERIDONO, op. cit., pag. 451: “Sotto un primo aspetto, può
164
domandarsi se la nullità della singola clausola sia soggetta al regime di cui all’art. 1419 c.c. in tema di nullità parziale oppure se, in analogia a quanto previsto in tema di clausole vessatorie, possa raggiungersi una diversa conclusione interpretativa. In questo senso riteniamo sia riferibile alla fattispecie in esame le considerazioni in virtù delle quali l’esame in merito all’importanza della clausola viziata rischi di comportare, attesa anche la natura disgiuntiva del riferimento alla volontà dei contraenti, l’invalidazione di ogni contratto. In questo caso, infatti, l’automatica applicazione del citato art. 1419, comma 1, c.c., rischierebbe di frustrare la finalità protettiva della norma che commina la nullità della clausola, rendendo la sanzione incapace di fornire reale tutela alla parte più debole. Quest’ultima, invero, nel denunciare la nullità del singolo patto potrebbe pregiudicare ogni possibilità di prosecuzione della relazione commerciale, ricevendo un danno ancor maggiore dalla eventuale dichiarazione di nullità dell’intero contratto da cui discende il suo stato di dipendenza, rispetto al danno provocatogli dalla singola clausola abusiva”.
l’impresa in situazione di dipendenza economica potrebbe comunque chiedere il risarcimento del danno nel caso di successivo rifiuto da parte dell’impresa forte di stipulare un nuovo contratto, quando il rifiuto sia basato esclusivamente sull’impossibilità di inserire nel contratto la clausola eccessivamente onerosa dichiarata nulla.
Al fine, poi, di offrire una più ampia protezione e tutela all’impresa che subisce l’abuso si sono proposte da parte della dottrina diverse interpretazioni volte ad integrare il contratto “mutilato” della clausola nulla.
La dottrina ha proposto, in merito, diverse opzioni interpretative possibili, facendo leva sia sull’equità prevista nel caso di determinazione del contenuto della prestazione demandata alla parte o al terzo, oppure considerando, sulla base del riconoscimento del giudizio di equità quale tecnica di integrazione del contratto ex art. 1374 c.c.165, l’ipotetico parametro rappresentato dal mercato e dalle condizioni in esso generalmente pattuite quale elemento suscettibile di assumere natura convenzionale secondo un meccanismo analogo a quanto previsto dall’art. 1339 c.c., sia pure con un rifiuto del primato della legge166, oppure ancora rilevando la presenza, già nel testo della legge sulla subfornitura, di ipotesi di intervento sostanziale da parte del
In tal senso S. PAGLIANTINI, L’abuso di dipendenza economica tra legge
165
speciale e disciplina generale del contratto, in G. Vettori (a cura di) Squilibrio e usura nei contratti, Milano, 2002, pag. 508 e ss.. Secondo S. POLIDORI, op. cit., pag. 237, il quale individua nell’alterazione della causa di scambio il cuore della nullità ex art. 9 l. subfornitura, che seguirebbe ad una distribuzione irragionevole dei vantaggi e degli svantaggi derivanti dal contratto: “Esclusa l’applicazione dell’art. 1419 c.c., la tecnica operativa attraverso la quale il rimedio può attuare l’interesse protetto postula, nel caso specifico, l’integrazione giudiziale del contenuto del contratto, cioè a dire, la riconduzione del regolamento pattizio ad equità”.
Secondo A. BARBA, op. cit., pag. 354 nel nostro sistema può considerarsi accolto
166
“un meccanismo analogo a quello previsto dall’art. 1339 del c.c., che tuttavia respinge il primato della legge nell’inserzione di clausole nel contratto assecondando, al contrario, la sostituzione della clausola nulla con regole e valori che, attraverso il mercato, comunque ritrovano la propria origine nell’autonomia privata”.
giudice nel merito della singola clausola. È stata, poi, in ultimo proposta un’interpretazione che facendo leva sull’art. 1339 c.c. ritiene non solo che tale norma operi anche in assenza di qualunque specifica previsione legislativa contenuta nella l. subfornitura, ma consenta, in via diretta, al giudice di sostituire la clausola nulla perché non rispettosa delle condizioni di mercato, con una clausola che tali condizioni rispetti167.
Adottando detta soluzione il giudice sarebbe legittimato, in caso di imposizione di prezzi squilibrati o discriminatori, a sostituire tali previsioni con i dati che lo stesso potrebbe ricavare dal mercato rilevante o da mercati simili, riequilibrando in tal modo il rapporto.
Orbene, pur riconoscendo la meritevolezza di tale interpretazione e pur essendo concordi in merito alla circostanza che per l’operatività dell’art. 1339 c.c. non sia necessaria un’espressa previsione, alla luce della lettera di tale articolo, non crediamo che il potere di integrazione rimesso al giudice, al di fuori di specifiche previsioni normative, possa essere esercitato quando la legge non provveda quantomeno alla predeterminazione di criteri direttivi.