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b Tra amministratori apostolici e resignazioni: dall’inizio dell’età spagnola all’avvio delle nomine regie (1503-1568)

I vescovi di regio patronato: spazi, tempi e modalità di nomina

III.4. b Tra amministratori apostolici e resignazioni: dall’inizio dell’età spagnola all’avvio delle nomine regie (1503-1568)

Dall'inizio dell'età spagnola e fino agli anni Settanta del Cinquecento l'incertezza dei criteri da seguire nei processi di nomina, oltre alle già ricordate interferenze giurisdizionali tra Spagna e papato, portarono inevitabilmente a seguire la nota prassi - largamente diffusa a quel tempo - del cumulo dei benefici e del fenomeno della resignatio, cui ricorrevano numerosi vescovi che decidevano di rinunciare alla cattedrale episcopale di cui erano titolari in favore di propri familiari. Si trattava di abitudini assai frequenti e direttamente dipendenti dalla

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Cfr. E. Papa, Nomine vescovili ed episcopato napoletano a metà del Settecento secondo il nunzio

pontificio, in «Rivista di Storia della Chiesa in Italia», 12 (1958), p. 126.

50 Cfr. C. Donati, La Chiesa di Roma tra antico regime e riforme settecentesche, cit., pp. 721-735. 51 Si rinvia a Id., Vescovi e diocesi d'Italia, in Clero e società nell'Italia moderna, a cura di M. Rosa, cit., pp. 320-390.

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sfrenata caccia ai benefici ecclesiastici da parte tanto degli esponenti della Curia romana quanto delle famiglie che detenevano il potere politico negli stati italiani e che caratterizzò per lungo tempo la fisionomia del clero e degli episcopati di età moderna, traghettandoli all'indomani del Concilio52.

Uno scenario al quale di certo non si sottrasse la geografia episcopale di regio patronato del Regno di Napoli. Subito dopo il Trattato e prima che si stabilissero dei criteri per avviare i processi di nomina, laddove non si riusciva a colmare la vacanza della diocesi con commende o resignazioni, la Santa Sede nominava in via temporanea degli amministratori apostolici. Diversi sono gli esempi che a tale proposito si potrebbero proporre, ma scegliamo quelli più significativi53.

Pensiamo al caso dell'arcidiocesi di Matera governata dalla famiglia Palmieri fino al 1530 e dai Saraceno fino al 1580. Vincenzo Palmieri - vescovo di Matera dal marzo 1483 - nel 1518, ritiratosi a Napoli rinunciò alla cattedra episcopale in favore del nipote Andrea Matteo. In seguito per resignazione di quest’ultimo la Mensa passò al fratello, il cardinale Francesco Palmieri. Da quest’ultimo l’arcidiocesi passò, per nomina di Carlo V, a Giovanni Michele Saraceno, il quale divenuto cardinale nel 1556 si dimise e fu nominato il nipote Sigismondo Saraceno54.

Molti altri i casi - la maggioranza - in cui le diocesi furono assegnate ad amministratori apostolici, cardinali di un certo rilievo che, talvolta, ricorrevano anch'essi all'istituto della resignatio in attesa che venisse nominato un vescovo dai sovrani spagnoli. Cassano, per esempio, dal 1519 dopo la morte di Marino Tomacelli e fino al 1561, con la nomina di Giovanni Battista Serbelloni, fu governata da amministratori apostolici della famiglia dei Giacobazzi prima (con i cardinali Domenico e, il nipote, Cristofaro) e dei de Medici poi (con i cardinali Bernardo Antonio e Giovannangelo, nipote di Carlo Borromeo). Acerra, invece, fu assegnata a Gian Pietro Carafa, fondatore dei teatini che sarebbe stato poi eletto papa con il nome di Paolo IV. Dopo di lui la diocesi di Acerra fu retta da un altro amministratore, Gian Vincenzo Carafa. Ancora, a Potenza si alternarono vescovi e amministratori dal 1503 al 1566.

52 Per un panorama più vasto, relativo a tutta l'Italia, si veda G. Greco, La chiesa in Italia nell'età

moderna, cit., pp. 29-32; A. Prosperi, La figura del vescovo fra Quattro e Cinquecento, cit., pp. 217-262.

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Per i profili biografici che seguiranno, oltre alla bibliografia di volta in volta indicata, ci si è serviti di C. Eubel, Hierarchia, cit.; F. Ughelli, Italia sacra, Venetiis, Sebastianum Coleti, 1717-1722, 10 vv.; G. Moroni,

Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri giorni, Venezia, Tip. Emiliano, 1840-

1878, 103 vv.; G. Cappelletti, Le chiese d'Italia dalle loro origini ai giorni nostri, Venezia, Antonelli, 1840- 1870, 20 vv.; Le diocesi d'Italia, a cura di L. Mezzadri - M. Tagliaferri - E. Guerriero, Milano, San Paolo, 2008, 3 vv..

54Cfr. F. P. Volpe, Memorie storiche, profane e religiose su la città di Matera, Napoli, Stamperia Simoniana, 1818, pp. 287-293

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Nominato vescovo Jacobo Ninni d'Amelia, la diocesi fu poi amministrata dal cardinale Pompeo Colonna e, in seguito, data a Nino Nini d'Amelia - nipote di Jacobo - nominato prima amministratore e poi vescovo55.

Iniziando a seguire le successioni episcopali di Trivento notiamo che neanche in questo caso le vicende furono tanto diverse. Prima dell’inizio dell’età spagnola e fino al 1540, per nomina apostolica del 15 marzo 1502, fu eletto vescovo di Trivento Tommaso Caracciolo. Originario di Napoli, monsignor Caracciolo era figlio di Francesco Caracciolo e Caterina Maramalda. Nell’aprile del 1523, ottenuto il trasferimento alla diocesi, pontificia, di Capaccio56, il Caracciolo continuò a reggere anche la diocesi molisana57. Il vescovo di Trivento era stato trasferito alla diocesi campana per resignazione del cardinale Lorenzo Pucci, che reggeva la diocesi di Capaccio dal settembre 1522. Il Caracciolo, comunque, continuò a mantenere anche la diocesi molisana, con un primo breve pontificio nel settembre del 1524 e, poi, fino al febbraio 1540, quando Paolo III concesse l’ultima proroga di due mesi. Non restano troppi dubbi circa la totale assenza del vescovo dall’una e dall’altra diocesi. Infatti, nel 1530 il vescovo Caracciolo fu nominato Cappellano Maggiore a Napoli. L’anno seguente, poi, rinunciò alla diocesi di Capaccio in favore del nipote Errico Loffredo, figlio di Francesco Loffredo consigliere reale e di Beatrice Caracciolo, sorella del vescovo58. È noto, inoltre, che il Caracciolo, già vescovo, ricoprì gli incarichi di collettore a Napoli, esattore

55 Si rinvia a R. M. Abbondanza, I vescovi della diocesi di Potenza nell'età moderna, in Chiesa e società

nel Mezzogiorno moderno e contemporaneo, a cura di A. Cestaro, Napoli, Esi, 1995, pp. 487-490.

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Attuale diocesi di Vallo della Lucania.

57 Sul Caracciolo abbiamo raccolto informazioni a partire da C. Eubel, Hierachia catholica …, cit., II, p. 257; ASV, Acta Camerari, vol. I, f. 105. Per quanto concerne l’intera cronotassi vescovile di Trivento - da noi ricostruita sulla base delle fonti spagnole e vaticane - rinviamo, per un utile confronto, ai consueti repertori, tra cui la già citata Hierarchia catholica ma anche F. Ughelli, Italia sacra, I, Complectens Ecclesias Sanctae

Romanae Sedi immediate subjectas, Venezia, Sebastianum Coleti, 1717, pp. 1327-1333. Si vedano anche i

rendiconti sulle successioni episcopali prodotti in ambito locale da E. De Simone, I vescovi di Trivento, cit.; G. M. Berardinelli, Cenni storici sulla chiesa vescovile di Trivento, cit., pp. 7-24. Con l’occasione segnaliamo, inoltre, l’assenza negli studi sulla diocesi di Trivento di qualunque riferimento al suo inserimento nella geografia di regio patronato, di cui per altro mancano tracce anche nel lacunoso Archivio Storico Diocesano. Secondariamente, rettifichiamo quanto sostenuto da diversi studi di storia locale e dalle cronotassi sino ad ora note sulla diocesi, secondo i quali nel 1506 fu vescovo di Trivento Manfredo Canofilo. In realtà si trattava di un monaco Cassinese, originario di Castel di Sangro, che fu vicario generale al tempo dell’episcopato di Tommaso Caracciolo, ASDT, Bollari di nomina, vol. I; F. Catullo, I Papi e Castel di Sangro, Roma, Scuola tipografica, 1960, pp. 103-104.

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Sulla questione del passaggio della diocesi di Capaccio da Tommaso Caracciolo al nipote si veda P. Ebner, Chiesa baroni e popolo nel Cilento, Roma, Edizione di storia e letteratura, 1982, pp. 85, 95 e 109. Sulla biografia di Enrico Loffredo rinviamo a Loffredo, Enrico in DBI; M. Cassese, Un vescovo di Capaccio al

Concilio di Trento: Enrico Loffredo, in «Rassegna storica salernitana», 46 (2006), pp. 209-219; O. P. Della Pepa, Enrico Loffredo, vescovo di Capaccio. Dal governo della diocesi al concilio di Trento, Napoli, Esi, 2006.

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delle decime del Regno e fu anche amministratore apostolico. Morì a Napoli il 31 marzo 1574 e fu sepolto nella chiesa napoletana di S. Caterina a Formiello59.

Intanto, a Trivento nel novembre del 1540 veniva nominato dalla sede apostolica Matteo Grifone, che mantenne la diocesi per ventisette anni. Di origini toscane - le cronache dicono fosse nato a Poppi, un borgo del Casentino - Matteo si era formato nella badia di Vallombrosa a Firenze. Fu poi nominato vescovo di Muro Lucano nel 1524 e da qui trasferito a Trivento. Stando alle notizie fornite dal Moroni pare che fosse «intimo di Clemente VII», ma a questo proposito non abbiamo incontrato alcun’altra attestazione così come poche altre sono le informazioni che disponiamo sul suo conto. È certo che preferisse risiedere a Roma, nella dimora dei Grifone situata nella via del Corso60.

Al suo episcopato seguì quello di Giovanni Fabrizio Severino, napoletano del seggio di Porto. La figura di quest’ultimo può essere considerata una vera e propria chiave di volta nelle successioni episcopali di Trivento. Il Severino, infatti, fu l’ultimo vescovo di questa fase pre- tridentina; per altro, si dice che avesse partecipato ai lavori della terza fase del Concilio di Trento61. Dall’altro lato è lui il primo vescovo di cui abbiamo notizie certe sulla nomina da parte del sovrano spagnolo e da cui possiamo iniziare, finalmente, a seguire le complesse dinamiche per il reclutamento episcopale di Trivento nel regio patronato62. Con lettera del 19 settembre 1567 Filippo II dava mandato a Juan Fernando de Velasco, ambasciatore spagnolo presso la Santa Sede, di comunicare al Papa che «estando vaca en el nuestro Reyno de

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ASV, Camera apostolica, Diversa cameralia, 101, fol. 190; ASV, Brevium minutae, Paulus III, epist. n. 119, 147; Sull’incarico di Cappellano Maggiore cfr. BNE, ms. 18943, f. 29r; G. Origlia, Istoria dello studio di

Napoli, cit., II, pp. 23-24; F. Torraca, G. M. Monti, R. Filangieri di Candida, Storia della Università di Napoli,

cit., p. 221. Per le altre notizie biografiche riportate, invece, si rinvia a D.M. Zigarelli, Biografie dei vescovi e

arcivescovi della chiesa di Napoli con una descrizione del clero, della cattedrale, della basilica di S. Restituto e della cappella del tesoro di San Gennaro, Napoli, Tip. G. Gioia, 1861, p. 338; F. Granata, Storia sacra della chiesa metropolitana di Capua, I, Napoli, Stamperia Simoniana, 1767, p. 161; P. Ebner, Chiesa baroni e popolo nel Cilento, cit., pp. 85, 95 e 109.

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Cfr. L. Gigli, San Marcello al Corso, Roma, Istituto nazionale di studi romani, 1996, pp. 81 e ss; cfr. G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, cit., XII, p. 82.

61 Ivi, LXXI, p. 28; G. Caporale, Ricerche archeologiche, topografiche e biografiche su la diocesi di

Acerra, Napoli, Jovene, 1893, pp. pp. 439-443.

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Per una analisi delle successioni episcopali di tutte le ventiquattro diocesi rinviamo a M. Spedicato, Il

mercato della mitra, cit. Al contempo, però, riteniamo possano costituire un valido strumento di confronto le

differenze sul reclutamento episcopale nelle diocesi di presentazione regia e in quelle pontificie messe in risalto, ad esempio, per la geografia ecclesiastica della Calabria moderna nel lavoro di R. Benvenuto, I vescovi in

Calabria nell’età post-tridentina (1564-1734), in Chiesa e società del Mezzogiorno, a cura di A. Cestaro, cit., pp.

39-82. Per le province pugliesi si rinvia, prima di tutto a M. Rosa, Diocesi e vescovi del mezzogiorno durante il

viceregno spagnolo in Studi storici in onore di Gabriele Pepe, cit., pp. 531-580. Si vedano anche tra i numerosi

lavori di M. Spedicato La lupa sotto il pallio, cit.; Id., Tridentino tradito, cit.; Id., Istituzioni ecclesiastiche e

società nella Capitanata, cit.; Id., Chiesa e governo episcopale nella Capitanata, cit.; Id., Poteri locali e potere vescovile nel Mezzogiorno moderno. Secc. XV-XVIII, Galatina, EdiPan, 2008. Un utile confronto sul corpo

episcopale regio e pontificio è offerto dal lavoro su Lecce, che oseremo definire quasi una enclave salentina di pertinenza romana nella più fitta geografia diocesana di regio patronato delle Puglie, in P. Nestola, I grifoni della

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Napoles la iglesia de Trivento, que es de nuestro patronazgo real, havemos nombrado y presentado a ella al obispo de Cherra, por las buenas parte que en su persona concurren como mas particular; me se lo entenderá V. S. de Condestable mayor de Castilla del nuestro Consejo y nuestro embaxador»63. Scelto il primo presule, Giovanni Fabrizio Severino, la Corona spagnola chiedeva alla Curia romana di emettere le bolle necessarie, come di fatto avvenne il 23 giugno 1568.