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c Il “mercato stretto” delle facciones cortesanas (1582-1653)

I vescovi di regio patronato: spazi, tempi e modalità di nomina

III.4. c Il “mercato stretto” delle facciones cortesanas (1582-1653)

Preso pieno possesso del diritto di nomina e avviata la “macchina” burocratica spagnola che se ne sarebbe occupata, gli anni di avviò concreto dell’iter per la nomina dei vescovi nelle diocesi di regio patronato coincidono con una fase, altrettanto importante e periodizzante della storia della Chiesa: la conclusione dei lavori tridentini.

Dal punto di vista delle nomine di regio patronato, questa fase concide con quello che Mario Spedicato ha definito il “mercato stretto” delle nomine, riferendosi genericamente al corpo diocesano che andò componendo la geografia del regio patronato, intendendo un serbatoio circoscritto cui attingevano la corte vicereale e il Consiglio di Italia per il conferimento dei benefici ecclesiastici. Abbiamo preso in prestito quest’espressione preferendo, però, circoscriverla a un periodo più breve rispetto a quello considerato da Mario Spedicato. Riteniamo, infatti, che quel “mercato” si aprì nel corso della seconda metà del Seicento, verso una maggiore varietà di candidati, dal punto di vista prima di tutto quantitativa, ma anche poi qualitativo.

La seconda fase, di cui vogliamo parlare ora, coincide con la stagione dei cosidetti vescovi tridentini, di cui la storiografia ha ormai ampiamente tracciato profili biografici, requisiti, carriere e attività pastorali e non è nostra intenzione soffermarsi sulla questione64. Prendiamo, però, spunto da questi studi per avviare delle considerazioni comparative tra

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La ricostruzione delle relazioni tra il Re e il suo ambasciatore presso la Santa Sede è avvenuta attraverso i volumi sul regio patronato conservati a Simancas e per la massima parte negli originali conservati presso l’Archivio degli Asuntos Exteriores, nel fondo della Santa Sede. Per la nomina di Fabrizio Severino sono state consultate la missiva del re Filippo II alla Santa Sede e la bolla di nomina pontificia, rispettivamente in AGS, Secretarias provinciales, L. 639, fol. 27v e 28r; ASV, Acta Camerari, vol. 7, f. 39.

64 Sugli episcopati italiani post-tridentini cfr. C. Donati, Vescovi e diocesi, cit.; G. Fragnito, Vescovi e

ordini religiosi in Italia all'indomani del concilio, in I tempi del concilio, a cura di C. Mozzarelli e D. Zardin, pp.

13-25; R. Po-chia Hsia, La controriforma. Il mondo del rinnovamento cattolico (1540-1770), trad. it., Bologna, Il Mulino, 2009, pp. 149-168

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diocesi di nomina papale o regia. Le analisi sulla fisionomia dell’episcopato, condotte ancora una volta da Mario Spedicato e da Mario Rosa, mettono in evidenza una sostanziale differenza che si andò tracciando proprio in questa fase tra il corpo vescovile designato dalla Santa Sede e quello, invece, scelto dalla corona spagnola. È stato largamente dimostrato ormai che l’episcopato di nomina pontificia nell’età post-tridentina assunse caratteri fortemente provinciali avviandosi verso “l’imborghesimento” - come è stato definito - del corpo ecclesiastico. Di contro, invece, nella geografia di regio patronato rimase un fisionomia episcopale di tipo aristocratico e cittadino65. In tal senso, nel Mezzogiorno d'Italia, il clero della Capitale divenne una riserva privilegiata di ecclesiastici. I personaggi cui si conferivano i benefici di regio patronato appartenevano a una ristretta rete di patronage, prossima all'apparato amministrativo tanto della corte vicereale quanto della struttura polisinodale castigliana, nell’ambito di un ceto sociale dal carattere internazionale, di provenienza italiana o spagnola, di livello medio-alto e che presentava al contempo buone capacità pastorali, intellettuali, organizzative e politiche66.

Seguendo l'Italia da Nord a Sud vediamo nella parte centro-settentrionale i modelli, per eccellenza, di vescovi tridentini - di nomina pontificia - nei cardinali Carlo Borromeo a Milano, Gabriele Paleotti a Bologna e a sud Annibale di Capua, arcivescovo di Napoli. Nelle diocesi di regio patronato modelli vescovili della Controriforma si rintracciano, per esempio, in Lelio Brancaccio a Taranto67, Geronimo Seripando a Salerno68, conosciuti per i loro profili pastorali ben radicati nei contesti dell’epoca. A questi, poi, aggiungiamo nomi altisonanti e che si inseriscono perlopiù nelle trame politiche regnicole. È il caso del benedettino Juan de Castro, fratello del viceré conte di Lemos, proposto nella terna vicereale per l’arcidiocesi di Taranto nel settembre 1599, votato all’unanimità del Consiglio - che diceva fosse meritevole di quest’incarico - e del Re69.

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Utili strumenti comparativi in questo senso sono offerti in M. Spedicato, Episcopato e processi di

tridentinizzazione nella Puglia, cit., pp. 9-66 e dai già citati lavori di M. Rosa, Diocesi e vescovi del Mezzogiorno, cit. e R. Benvenuto, I vescovi in Calabria, cit.. Rinviamo per questo anche ai lavori contenuti in Storia del Mezzogiorno, a cura di G. Galasso, R. Romeo, IX, Aspetti e problemi del Medioevo e dell’età moderna, II, cit., di M. Campanelli, Il governo della chiesa nel XVI e XVII secolo, E. Novi Chavarria, Pastorale e devozioni nel XVI e XVII secolo e L. Barletta, Chiesa e vita religiosa, pp. 343-482.

66 Cfr. D. Ligresti, Sicilia aperta (secoli XV-XVII). Mobilità di uomini e idee, Palermo, Associazione Mediterranea, 2006, p. 189.

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Si veda Brancaccio, Lelio in DBI e, più in generale sull’arcidiocesi di Taranto V. De Marco, La

diocesi di Taranto nell'età moderna (1560-1713), Roma, Ed. di Storia e Letteratura, 1988.

68 Cfr. Geronimo Seripando e la chiesa del suo tempo nel V centenario della sua nascita, a cura di A. Cestaro, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1997.

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Dovendo poi procedere all’analisi delle carriere dei vescovi di regio patronato la prima distinzione che facciamo riguarda i differenti “serbatoi” - spagnoli e italiani - cui attingeva la corona spagnola per la scelta dei candidati. Nel caso degli ecclesiastici italiani -, o meglio “regnicoli”, le scelte ricadevano, ovviamente, su esponenti della più antica nobiltà di spada, dalle casate dei Caracciolo, dei Carafa, dei Pignatelli, dei d'Avalos, quanto della nobiltà di toga, per esempio dei di Costanzo, i de Gennaro, già distintasi per meriti o che stava svolgendo incarichi di prestigio presso l'apparato burocratico napoletano. Gli ecclesiastici, inoltre, erano tutti già attivi e conosciuti tra il più insigne clero della Capitale, dove avevano ricoperto ruoli nelle istituzioni ecclesiastiche direttamente dipendenti dalla corte vicereale, come per esempio il clero preposto alla Cappella reale di Napoli - così come qualunque altra cappella reale dislocata nel vasto impero spagnolo - o ancora presso gli Incurabili di Napoli, grande opera assistenziale composta da un ospedale, un monastero femminile e uno di pentite70.

Quanto ai forestieri, e spagnoli in particolare, parte di essi avevano ricoperto ruoli di rilievo presso i tribunali spagnoli dell’Inquisizione, come nel caso di Geronimo Ruiz del Camargo, proposto ed eletto più volte nelle chiese del Regno, ma alla fine nominato in Spagna alla diocesi di Cordova71.

Altri erano cappellani reali. Un'altra parte ancora proveniva dalle istituzioni ecclesiastiche spagnole in Italia, per esempio dal clero romano della chiesa di Santiago degli spagnoli o dal collegio degli spagnoli di Bologna72. Accadeva lo stesso, d'altronde, nella scelta di italiani che ricoprivano posti presso le istituzioni italiane in Spagna, come nel caso degli ecclesiastici scelti tra il clero dell'Ospedale degli italiani di Madrid73. È il caso, per

70Una relazione vicereale sul governo del Regno di Napoli agli inizi del ‘600, cit., p. 147; G. Boccadamo, Maria Longo. L’ospedale degli incurabili e la sua insula, in «Campania Sacra», 30 (1999), pp. 37- 170; Ead., Teatini, istituzioni socio-assistenziali e monasteri femminili napoletano tra Cinque e Seicento, in

Sant’Andrea Avellino e i teatini nella Napoli del viceregno spagnolo. Arte religione società, a cura di D. A.

D’Alessandro, Napoli, M. D’Auria edtore, 2011, pp. 131-194.

71 Cfr. J. Gómez Bravo, Catálogo de los obispos de Córdoba y breve noticia historica de su iglesia…, Cordoba, Juan Rodriguez, 1778, II, pp. 622-627; Il Consejo de Inquisición e tutti i tribunali dislocati in Spagna erano prevalentemente e principalmente composti da ecclesiastici; per questo cfr. M. L. López Muñoz, Obispo y

consejeros eclesiásticos en los consejos de la monarquía española (1665-1833), cit., pp. 200-206; R. Rodriguez, Filippo II e il governo d'Italia, cit., pp. 107-119, 238-258.

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La presenza degli spagnoli a Roma è un argomento molto trattato dalla storiografia, per una ricognizione sugli studi rinviamo a M. A. Visceglia, Introduzione. Nuovi percorsi storiografici, in Ead., Roma

papale e Spagna, cit., pp. 15-36. Cfr. anche M. Barrio Gozalo, La iglesia y hospital de Santiago de los Españoles de Roma y el Patronato Real en el siglo XVII, in «Investigaciones históricas. Época moderna y contemporánea»,

24 (200), pp. 53-76. Sulla carriera degli ecclesiastici nell’ambito del sistema beneficiale in Spagna cfr. M. Barrio Gozalo, El sistema beneficial de la iglesia española en el Antiguo Regimen (1475-1834), cit., pp. 67-140.

73 Sull’Ospedale degli italiani a Madrid cfr. M. Rivero, Italiani in Spagna, spagnoli in Italia e A. Spagnoletti, Italiani in Spagna, spagnoli in Italia, in Spagna e Italia in Età moderna, a cura di F. Chacón, M. A. Visceglia, G. Murgia, G. Tore, cit., pp. 3-35.

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esempio, di Giovanni Battista Ferruzza, vescovo di Trivento - di cui si dirà più avanti - e Fabrizio Antinori, arcivescovo di Matera.

Vediamo cosa succede a Trivento. Diciamo da subito che in questa fase assistiamo al trionfo dell’assolutismo regio e dalla massima espressione delle forze politiche in gioco.

Giovanni Fabrizio Severino mantenne la diocesi di Trivento per tredici anni, dal giugno 1568 e fino al dicembre del 1581, quando il Consiglio di Italia, per la prima volta, fu investito dell’onere di discutere la nomina del vescovo di Trivento. Il viceré di Napoli Juan de Zuñiga y Requensens, nel frattempo, aveva provveduto ad avviare l’applicazione dell’alternativa, dicendo che la diocesi sarebbe dovuta andare a un “extrangero”. Per questo, da Napoli si avanzava una terna di candidati spagnoli, proponendo l’aragonese Pedro Lopez, il francescano Geronimo de Capilla, conosciuto come un buon ecclesiastico e storico74, e il dottor Vallejo che risiedeva da tempo ad Aversa e che il Viceré aveva personalmente conosciuto a Roma, durante il suo incarico presso l’ambasciata.

Ai tre, però, dietro richiesta del Consiglio d’Italia, si aggiunsero altri due candidati italiani, quasi a voler fornire una sorta di riserva cui attingere per offrire maggiori possibilità di scelta al sovrano75. In questo caso si presentavano ecclesiastici di più alto spessore rispetto ai primi candidati spagnoli appena citati, che risultavano meno conosciuti. Il primo regnicolo, infatti, era don Carlo Baldino, personaggio assai noto alla Curia napoletana del tempo. Nativo di Nocera dei Pagani egli visse sempre a Napoli, dove fu canonico del duomo di Napoli nonché professore di diritto canonico all’Università della Capitale. Nel 1585, inoltre, fu il primo ad essere nominato commissario del Sant’Uffizio76. Contestualmente alla sua candidatura a Trivento, il Baldino fu proposto anche in altre diocesi di regio patronato. A quel tempo, infatti, egli era stato già proposto per la sede di Acerra; fu poi designato a Crotone - sede che non accettò - e, infine, ad Oria che governò per due anni, trascorsi i quali fu trasferito dal pontefice a Sorrento77. Il secondo candidato regnicolo per Trivento era Giulio Cesare Mariconda, altro benemerito canonico della cattedrale di Napoli. Il Consiglio rispondeva di

74 Si dice infatti che avesse composto una “Cronica de S. Francisco de Paua”, come è ricordato in G.M. Roberti, Disegno storico dell'Ordine de’ minimi dalla morte del santo istitutore fino ai nostri tempi (1507-1907), Roma, società tipografica-editrice romana, 1902, I, p. 356.

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Questa e tutte le consulte per la diocesi di Trivento di cui si dirà, se non diversamente indicato, sono contenute in AHNM, Estado, leg. 2049, Consulte per la nomina dei vescovi di Trivento (1579-1684).

76 Per una sua biografia cfr. Baldino, Carlo in DBI; ma anche G. Romeo, Una città, due inquisizioni.

L’anomalia del Sant’Ufficio a Napoli nel tardo ‘500, in «Rivista di storia e letteratura religiosa», 24 (1988), pp.

42-67; E. Novi Chavarria, Monache e gentildonne, cit., p. 86; Ead., Procedure inquisitoriali e potere politico a

Napoli (1550-1640), in I primi Lincei e il Sant’Uffizio. Questioni di scienza e fede. Atti del convegno

dell’Accademia Nazionale dei Lincei, Roma 12-13 giugno 2003, Roma, Bardi, 2005, pp. 31-46.

77 B. Capasso, Memorie storiche della chiesa sorrentina, Napoli, dallo Stabilimento dell’Antologia legale, 1834, pp. 94-95

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non conoscere nessuno dei candidati spagnoli suggeriti dal Viceré, ad eccezione del dottor Vallejo, in quanto amico di uno dei reggenti. Si esprimevano non poche perplessità nei confronti del Baldino, per avere questi più volte dimostrato la sua contrarietà ad allontanarsi da Napoli, proponendo al suo posto il cappellano regio Juan de Heredia. Si approvava, infine, senza alcuna riserva, la presentazione del Mariconda, aggiungendo quella di un altro cappellano siciliano, Antonio Manella.

Passata la consulta al vaglio del Re, si rinviava la decisione a una seconda discussione, mancando notizie relative alle rendite della diocesi e alle pensioni gravanti su di essa. A distanza di un mese, nel gennaio 1582, a Madrid si aprì una nuova consultazione che integrava i dati omessi in precedenza. Secondo la relazione stilata nel 1574 dal Cappellano Maggiore di Napoli, la diocesi di Trivento aveva rendite annue per un valore di 1.100 ducati con una sola pensione di 200 ducati in favore del figlio di Geronimo de Torres. Riguardo gli ecclesiastici da proporre a Madrid si confermava quanto discusso nella prima consulta, aggiungendo alla rosa di candidati il portoghese Antonio de Sosa e l’italiano Antonio d’Avalos dei marchesi del Vasto. Senza troppi indugi il Re questa volta si esprimeva in favore di Giulio Cesare Mariconda, dandone immediata comunicazione all’ambasciata a Roma78. Del Mariconda si diceva che fosse di nobile famiglia e «de muy buena maestra y de cuya vida y letras tiene [el Consejo] muy buena relacion». A Napoli fu sempre riconosciuto come uno dei canonici “più eccellenti” del clero napoletano - come avvisa Romeo de Maio -79. Già ordinato sacerdote e professore di teologia, fu il primo allievo del seminario napoletano fondato dall’arcivescovo Mario Carafa e, per questo, avviato verso una prestigiosa carriera ecclesiastica80. Infatti, l’arcivescovo avrebbe voluto conferirgli l’incarico di revisore di bilancio del seminario, ma non incontrò il favore del papa Gregorio XIII che, invece, voleva la riduzione del numero dei canonici del capitolo napoletano. Il Mariconda continuò ad affiancare il Carafa partecipando, insieme al Baldino, anche ai lavori del sinodo del 1565. A Napoli si preoccupò della fondazione dell’ospedale di S. Filippo Neri nel 1574 e, finalmente, due anni dopo ottenne anche la dignità teologale presso il capitolo della cattedrale e, in seguito, ricoprì la carica di segretario nel primo Concilio Provinciale a Napoli nel 157681. Nel giugno del 1580, egli stesso, intercedendo presso il Consiglio di Italia, chiedeva che gli

78 AGS, Secretarias provinciales, L. 639, f. 73v.

79 Cfr. R. De Maio, Riforme e miti nella chiesa del Cinquecento, Napoli, Guida, 1973, pp. 229-240. 80

Un profilo biografico del Mariconda è tracciato in R. de Maio, Le origini del seminario di Napoli, Napoli, 1957, pp. 108-110.

81 Cfr. Napoli e i luoghi celebri delle sue vicinanze Napoli, Gaetano Nobile, 1845, II, p. 279; D. M. Zigarelli, Biografie dei vescovi e arcivescovi della chiesa di Napoli, cit., p. 326; M. Miele, I concili provinciali

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venisse concesso un posto da cappellano, al fine di seguire le orme dei suoi predecessori tessendo le lodi di Andrea Mariconda, celebre giureconsulto di Napoli, consigliere del seggio di Capuana, che rivestì diversi incarichi di nomina regia, come presidente della Sommaria ai tempi del Cattolico82. La sua richiesta però non fu accolta e poco dopo fu nominato a Trivento. Di lui si può dire che, per la diocesi molisana, incarnò il prototipo di vescovo tridentino, ma di questo ne parleremo più avanti, per ora diciamo solo che resse la diocesi per ben ventiquattro anni.

Nell’aprile del 1606, il viceré di Napoli, Juan Alonso Pimentel de Herrera conte di Benavente comunicava la vacanza di due diocesi regnicole, quella di Trivento e quella di Trani. Senza alludere minimamente all’alternanza tra regnicoli e forestieri e tanto meno all’entità delle rendite della mensa, si proponevano per la sede molisana quattro candidati spagnoli. Nell’ordine, il Viceré presentava Gonzalo de Rueda, già vescovo de L’Aquila; il francescano Hernando del Campo; il lettore del convento di San Francesco di Valladolid don Echeverria e, infine, Pedro Blasco del convento dei preti predicatori di Valencia. Tra questi spiccava sugli altri il nome del primo, Gonzalo de Rueda.

Originario di Granada era dottore in teologia distintosi al punto che il viceré conte di Benavente lo volle come maestro dei propri figli. Giunto per questo motivo nel Regno di Napoli, la famiglia vicereale lo ricompensò con benefici ecclesiastici, a partire dalla dignità di cantore a Nocera di Puglia e, in seguito, favorendo la sua candidatura nelle diocesi di nomina regia ottenendo da subito la mensa abruzzese de L’Aquila che egli resse dal 1605 al 1622. In seguito fu proposto più volte il suo trasferimento ad altre diocesi. Egli fu, infatti, eletto nel 1609 a Crotone, ma non prese mai possesso della diocesi e, poi, nel 1622 a Gallipoli83. Gli altri candidati proposti per Trivento, invece, non furono più candidati in nessun’altra diocesi e nulla si sa sulle loro successive carriere.

Probabilmente anche per quest’ultimo motivo, il Consiglio di Italia senza discutere affatto la carta vicereale, avanzava un’altra terna di candidati, corrispondente alle logiche e alle aspettative di Filippo III. Per questo si presentavano uno spagnolo, il francescano Thomas de Iturmendia e due italiani, il romano Tiberio Cavalleri e il milanese Fabio de Maestri,

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Cfr. P. Giannone, Istoria civile del Regno di Napoli, cit, VI, p. 140; AGS, Secretarias Provinciales, leg. 5, consulta 13 giugno 1580.

83 Per il profilo biografico di Gonzalo de Rueda si rinvia a B. Ravenna, Memoria istoriche della città di

Gallipoli, Napoli, Raffaele Miranda, 1836, pp. 469-473; F. Murri, Vescovi ed arcivescovi dell’Aquila, L’Aquila,

Piazza Duomo, 1997, pp. 157-160. Diversi furono le forme nominali con cui si tramanda la sua memoria. Dalle consulte del Consiglio di Italia il suo nome è Gonzalo de Rueda che fu certamente italianiazzato in Consalvo de Rueda, come risulta dall’opera appena citata. Nella Hierarchia catholica, invece, è chiamato Gundisalvus de Rueda, cfr. C. Eubel, Hierarchia catholica, cit., IV, p. 90.

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cappellano reale. Alla consulta il Re rispondeva scegliendo solo il vescovo per la diocesi pugliese, tralasciando qualunque considerazione su Trivento. Sappiamo, però, che dopo cinque mesi, nel settembre del 1606 il Re dava mandato a Gaston de Moncada, marchese de Aytona, di comunicare alla Curia romana la nomina del francescano Paolo Bisnetti, conosciuto con l’appellativo de Lago, per la sua provenienza da una località del perugino, prossima al lago Trasimeno. In realtà, il perugino era stato già eletto alla diocesi siciliana di Cefalù ma, come spesso accadeva, preferendo un altro candidato, in un secondo momento e prima che il vescovo prendesse possesso della diocesi, Filippo III optò per il repentino trasferimento del Bisnetti a Trivento, riservandogli una lauta pensione di 1.000 ducati sulla diocesi siciliana. Al suo posto, a Cefalù, fu nominato Martino Mira, oriundo della Catalogna che a Palermo fu canonico, maestro cappellano e abate di S. Lucia di Milazzo84.

Nel gennaio del 1607, quindi, si otteneva la bolla pontificia e il de Lago diventava vescovo di Trivento. Appartenente all’Ordine dei frati minori osservanti Paolo Bisnetti ne fu, prima, segretario generale e, poi, commissario e pro-ministro. Negli ultimi anni del suo episcopato tornò a Perugia, dove morì il 5 febbraio 162185. Questa volta fu il cappellano maggiore Juan Alvaro de Toledo a darne comunicazione a Madrid, inviando anche una terna di «sujetos mas benemeritos que ay en este Reyno para esta diñidad». La delega al Cappellano maggiore si presentava come un caso del tutto eccezionale motivato dall’assenza del nuovo viceré, il Cardinale Zapata che ancora non riusciva a prendere possesso dell’ufficio e a risiedere a Napoli, trovandosi al conclave per la successione di Paolo V86. Senza per questo intralciare il regolare avvicendamento nella diocesi, veniva comunque proposta una terna di napoletani. Essa era formata da due canonici della cattedrale di Napoli, il cinquantenne Curcio Palumbo e Giovanni Luigi Riccio. Il primo, era stato vicario generale dell’arcidiocesi di Napoli, nonché autorevole collaboratore presso il tribunale dell’Inquisizione, vicario delle monache a Napoli e membro della Compagnia dei Bianchi della Giustizia87. Giovanni Luigi

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Le cronotassi su Cefalù omettono del tutto questo passaggio, a noi noto attraverso le fonti notarili in ASCb, Notai, Trivento, De Bardis Giuseppe, scheda 3, 26 aprile 1609, ff. 29-20; Ivi, 2 gennaio 1611, ff. 1-6; Ivi, 19 febbraio 1618, ff. 72-73. Cfr. G. Misuraca, Serie dei vescovi di Cefalù con dati cronologici e cenni biografici,