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Il regio patronato nel sistema imperiale spagnolo

1529: la pace tra Carlo V e Clemente

II.3. Il regio patronato nel sistema imperiale spagnolo

La pretesa della Corona di esercitare il diritto di patronato risaliva all’età di Ferdinando d’Aragona che, in ragione delle numerose fondazioni ecclesiastiche oltre alla ferma e costante difesa del mondo cattolico da mori e turchi, rivendicava i diritti di presentazione sugli stessi benefici. Per questo, per esempio, nelle istruzioni date nel 1518 al viceré di Napoli Ramón de Cardona e all’ambasciatore a Roma Jerónimo de Vich in merito alle richieste da fare a Leone X, il sovrano insisteva nel chiedere conferma, oltre chiaramente dell’investitura feudale sul Regno, anche della riserva di “ventisei” chiese del Regno.

Carlo V, ancor prima di Barcellona, rivendicava il patronato su un numero, per altro, maggiore di diocesi del Regno di Napoli. È questo un punto ancora poco chiaro alla storiografia e che, neppure attraverso le fonti dai noi consultate, siamo riusciti a sciogliere. In effetti, non è noto quali fossero queste ulteriori due diocesi di regio patronato e, soprattutto, non ci sembra che prima del 1529 la Corona già esercitasse nomine vescovili su nessuna delle diocesi e arcidiocesi. Pensiamo piuttosto che possano essere i primi tentativi per ottenere il regio patronato. Per questo il sovrano scriveva:

«Item ya sabeys como los reyes de Spaña ganaron de poder de los moros enemigos de nuestra sancta fee catholica todos estos reynos y fundaron y dotaron todas las yglesias metropolitanes catedrales y colegiales y otros muchos monasterios y yglesias que en ellos ay; por eso está en possession de tiempo immemoral aca de presentar personas a los arcobispados y obispados y otras dignidades que en ello cavaren y Su Sanctidad a su pressentacion y instituto y provee de los tal arcobispados y obispados y diñidades a las personas por ellos nombrada y praesentados y por que mucha vezes acontesce que los que possen algunos de los dechos arcobispados, obispados y otras dignidades mueren en Corte de Roma y Su Sanctidad provee dellos sin nuestra nominacion y presentacion … y nosotros cobramos estos reynos con tan gastos y travaso que no provea Su Sanctidad ningun arcobispado, obispado ni otra dignidad destos reynos de que nos tengamos costumbre de pressentar sin nuestra nominacion y presentacion»33.

Il passo si riferisce indistintamente alla presentazione dei benefici ecclesiastici di tutti i domini spagnoli, denunciando un’interferenza da parte della Santa Sede che, non curante del patronato regio, procedeva alla nomina di vescovi, arcivescovi e di qualsiasi altra dignità risultasse vacante. Per questo si rivendicava la sottoscrizione definitiva di una bolla con cui

rendere effettivo il patronato regio. Ancora più incisive sono le parole del sovrano spagnolo in queste altre istruzioni:

«es cosa en derecho determinada que los reyes christianos son patrones en los obispados de las yglesias de sus reynos y assi en este Reyno [di sicilia] por no faltar nos ninguna de las preeminencias de los otros reyes christiano no devriamos dexar perder tal preeminencia, pues somos patron en los dichos obispados mayormente concurriendo en este Reyno otras causas por las quale se deve conservar tal preeminencia por que es la conservacion de la paz y tranquilidad deste dicho reyno e por consiguente de italia y de toda la christianidad porque como es notorio de las guerras y turbaciones que de luengo tiempo ha havido en este reyno no puede ser que no ayan quedado factores e affectiones por causad dellas y por esto es muy necessario para la conservacion de nuestro estado que sea bien muerado que no sean promovedos a las prelacias deste reyno hombres que no sean aerta y indubitamente feeles ellos y sus parentes y adherente de manera que en ellos no se pueda sospechar algunas affection siniestra a nuestro estado porque como claramente se vee los prelados queden en todos tiempos y mas en los obispados turbados no solo exciar e induzir factiones y turbaciones en las ciudades mas aun induzir los pueblos a defection y rebelion assi por que algunas de las dichas prelacias tienen fortalezas y estado en este reyno como por que por el credito que un prelado tiene en la ciudad y las afrentas de los clerigos y parentes dellos assi en la ciudad donde es prelado como cerca de donde esta su prelacia predeindu los sobre dechos malos y danos sus affectos qual en otros reynos y provincias y en este mas se ha visto ex perciencia muy clara y aunque por ser este reyno por las guerras passadas affligido y ampabrecido y haviendo nos de acusentar agora del por urgentissimas y mur necessaras causa los poblados en el que dan muy mas affligidos y necessitados y amyor afflichon les seria sino tuvessen esperanca que las prelacia y beneficios deste dicho reyno havessen de ser conferedas a naturales del por lo qual en el parlamento general que havenmos tenido a supplencion de tod este reyno havemos condescendido a otorgar los que no interponeremos y faremos con su sanctidad toda la obra y instancia que pudieremos para que las prelacias y nebeficios deste ojo reyno scan conferidas a naturales del y assi por las dechas causas seria cosa muy justa que contentando nos de nuestra preeminencia real solo en los patronazgo de las dichas prelacias su sanctidad no otrogasse ni concediesse ninguna dellla sino a nuestra presentacion»34.

L’acquisizione del diritto di patronato era evidentemente una questione politica, ma di questo ne abbiamo già parlato e ancora ne diremo.

Vogliamo ora rivolgere la nostra attenzione alla potestà di nominatione, collatione e praesentatione a lungo rivendicata e difesa dalla Corona spagnola nei propri domini35. Sulla natura di questo istituto giuridico del regio patronato si è sviluppato nel corso del XIX secolo un dibattito tra regalisti e scrittori ecclesiastici, sostenendo gli uni che si trattava di una regalia ecclesiastica ottenuta - e pretesa - in ragione dei più antichi diritti di fondazione, come abbiamo visto, e dagli altri considerato come un privilegio, neanche perpetuo36.

La materia del regio patronato sarebbe stata, in parte, ripresa di nuovo nell’ambito della politica regalista dei Borbone, con il concordato del 5 luglio 1741 tra il nuovo re di Sardegna e duca di Savoia, Carlo Emanuele III e il papa Lambertini37. In realtà, però, nessun’altro sovrano avrebbe più esercitato il diritto di nomina sulle diocesi del Trattato di Barcellona38. Inoltre, nel caso di Trivento venne sottratto anche qualunque tipo di titolo o memoria onorifica. Con il breve pontificio del 2 maggio 1754, al posto di Trivento il diritto di

35 Per i significati e gli aspetti più strettamente storico-giuridici rinviamo alle sintesi contenute in

Enciclopedia italiana di scienze, lettere ed arti, Roma, Istituto Enciclopedia Italiana, 1949, XXVI, pp. 524-526;

P. Colella, Patronato (diritti di), in Enciclopedia giuridica, Roma, Istituto Enciclopedia Italiana, 1990, XXII, ad

vocem; Patronato real in Q. Aldea, T. Marín, José Vives, Diccionario de historia eclesiástica de España,

Madrid, Instituto Enrique Flórez, 1993, pp. 1944-1948. Per cenni storici sul “real patronato” nell’età moderna si vedano cfr. F. Scaduto, Stato e chiesa nelle due Sicilie dai normanni ai giorni nostri (sec. XI-XIX), Palermo, Andrea Amenta, 1887, pp. 257- 278; C. Hermann, L’Eglise d’Espagne sous le patronage royal (1476-1834), Madrid, Casa de Velázquez, 1988, pp. 41-66; G. Brancaccio, Arcivescovati, vescovati, abbazie e benefici

ecclesiastici di giuspatronato regio nel Mezzogiorno spagnolo, in Id., Il Trono, la fede e l’altare. Istituzioni ecclesiastiche e vita religiosa nel Mezzogiorno moderno, Napoli, Esi, 1996, p. 227.

36 Manca qualunque traccia di discussione sulla natura o sull’esercizio del regio patronato nell’ambito dei dibattito sul regalismo anticurialista del XVII secolo. In tal senso, resta un utile punto di riferimento per gli studi sull’anticurialismo il lavoro di A. Lauro, Il giurisdizionalismo pregiannoniano nel Regno di Napoli.

Problemi e bibliografia (1563-1723), Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1974. Quest’ultimo lavoro è stato

commentato e analizzato in G. Galasso, La parabola del giurisdizionalismo, in La filosofia in soccorso dei

governi. La cultura napoletana del Settecento, Napoli, Guida, 1989, pp. 171-192. Si veda anche A. C. Jemolo, Stato e chiesa negli scrittori politici italiani del Seicento e del Settecento, Seconda edizione a cura di E.

Margiotta, Napoli, Morano, 1972. Assai emblematica nell’ambito dell’anticurialismo napoletano è la figura di Giovan Francesco de Ponte, si veda P. L. Rovito, De Ponte (Aponte, Da Ponte), Giovan Francesco, in DBI, anche S. Zotta, G. Francesco de Ponte. Il giurista politico, Napoli, Jovene, 1987.

37 Sulla politica concordataria del pontificato del Lambertini si veda M. Rosa, Riformatori e ribelli nel

‘700 religioso italiano, Bari, Dedalo, 1969 e, nello specifico, per quel che concerne portata, impatto e

conseguenze del Trattato del 1741 nell’organizzazione diocesana del Regno di Napoli Ivi, pp. 119-164. Per i rapporti tra Santa Sede e Corte borbonica per il conseguimento del Concordato cfr. G. Caridi, Dall’investitura al

concordato: contrasti giurisdizionali tra Napoli e Santa Sede nei primi anni del Regno di Carlo di Borbone, in

«Mediterranea. Ricerche storiche», 23 (2011), pp. 525-560. Per il testo del Concordato cfr. Trattato di

accomodamento tra la Santa Sede e la Corte di Napoli conchiuso in Roma tra i plenipotenziari della Santità di Nostro Signore pp. Benedetto XIV e della Maestà di Carlo, Infante di Spagna, re delle due Sicilie, di Gerusalemme & c. approvato e ratificato da Maestà Sua sotto il dì 8 di giugno 1751 e dalla Santità sua a’ 13 dello stesso mese ed anno, Napoli, per Domenico Lanciano, 1753, pp. 27-28.

38 Sul raggiungimento del Concordato nell’ambito del più piano di riforme istituzionali del Regno promosse da Carlo Emanuele III rinviamo a G. Galasso, Il Regno di Napoli. Il Mezzogiorno borbonico e

napoleonico (1734-1815), Storia d’Italia, XV/IV, Torino, UTET, 2007, pp. 129-134. Sul regio patronato dopo

l’età spagnola cfr. T. Sisca, Studio sui vescovadi di regio patronato in Italia, Napoli, Cav. Antonio Morano, 1880, pp. 62-85; R. De Martinis, Del regio patronato nelle province meridionali, cit., pp. 23-26.

nomina fu trasferito sulla diocesi di Caserta, città che alla stessa epoca era stata dichiarata “real sito”39.

La revoca di ogni tipo di patronato ecclesiastico avvenne, in definitiva, secondo un percorso legislativo che si concluse solo nel 1929 con il Concordato del Laterano, in cui si affermava la rinuncia «in modo assoluto e senza eccezioni, indistintamente al patronato regio su tutti i benefici maggiori e minori a seguito della revoca di qualunque diritto di patronato»40. Siamo ovviamente lontani dai tempi in cui i sovrani spagnoli esercitavano i loro diritti di patronato sulle chiese regnicole, ma è proprio intorno agli anni Settanta dell’Ottocento che si avviò, in Italia, il dibattito - su un piano giuridico - volto ad analizzare a fondo origini, limiti e portata del regio patronato. In questo contesto si susseguirono e si produssero in una sorta di “botta e risposta” gli opuscoli di Raffaele de Martinis e Tommaso Sisca, che tutt’oggi rappresentano il punto di partenza per lo studio del Trattato di Barcellona e della diffusione del patronato reale nella penisola italiana41. Brevemente basti dire che il diritto di regio patronato, oggetto del nostro lavoro, era del tipo cosiddetto “per grazia”, ossia concesso con un privilegio apostolico. Come scrive Fernadez Terricabras il patronato reale, che giuridicamente altro non era che un istituto di diritto canonico, nell’ambito della politica ecclesiastica della Monarchia spagnola era uno degli elementi più importanti42. Il diritto di nomina ai benefici ecclesiastici conferiva alla Corona un enorme potere sociale, politico e religioso che va inserito nel più vasto programma di composizione di un valoroso e leale corpo internazionale di uomini dalle competenze allo stesso tempo politiche, militari, amministrative ed ecclesiastiche.

Nell’ottica di un confronto più ampio con gli accordi conseguiti dalla Corona spagnola negli altri domini dell’Impero sembra evidente che, nel caso del Mezzogiorno d’Italia, si raggiunse un compromesso sul numero di diocesi da destinare al regio patronato, al quale

39 C. Eubel, Hierarchia catholica medii aevi, sive Summorum Pontificum, S. R. E. cardinalium,

ecclesiarum antistitum series ab anno 1198 usque ad annum ... perducta e documenta tabularii praesertim Vaticani collecta, digesta, Monasterii, Librariae Regensbergianae, 1913-2002, VI, p. 152; ACCT, b. 1, fasc. 2;

BSNSP, V. Canofilo, Per lo reverendo capitolo della cattedral chiesa di Trivento coll’università di Trivento,

Felice Jocca e Nazario di Paula, Napoli 8 agosto 1786, p. 1; M. A. Noto, Un principato nel destino di due casate: il complesso feudale di Caserta tra gli Acquaviva e i Caetani (secoli XVI-XVIII), in Feudalità laica e feudalità ecclesiastica nell’Italia meridionale, a cura di A. Musi, M. A. Noto, cit., pp. 266-274. Sulla diocesi di

Caserta cfr. M. Campanelli, Le istituzioni ecclesiastiche nella Diocesi di Caserta tra Cinque e Seicento in Caserta e la sua Diocesi in età Moderna e Contemporanea a cura di G. De Nitto, G. Tescione, II, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1995, pp. 189-251.

40 P. Colella, Patronato (diritti di), cit. 41

Parlano espressamente del regio patronato della Monarchia spagnola T. Sisca, Studio sui vescovadi di

regio patronato in Italia, cit., R. De Martinis, Del regio patronato nelle province meridionali, cit.; Id., Le ventiquattro chiese del trattato di Barcellona fra Clemente VII e Carlo V, Napoli, Tipografia degli

Accantoncelli, 1882. 42

I. Fernadez Terricabras, Felipe II y el clero secular. La aplicación del concilio de Trento, Madrid, Sociedad estatal para la commemoracion de los centenario de Filipe II y Carlos V, 2000, pp. 173 e ss.

sappiamo corrispondeva anche un larga fetta di benefici ecclesiastici dislocati in tutto il Regno. D’altronde era impensabile e improponibile che il papato potesse privarsi di un numero maggiore o totale di diocesi nel Mezzogiorno d’Italia, territorio non solo con la più fitta rete diocesana - seppure di piccola estensione e con basse rendite - ma anche quello che più di qualsiasi altro mantenne ininterrottamente un diretto dialogo pastorale, oltre che politico e sociale, con lo Stato pontificio, come recenti ricerche vanno dimostrando43.

Il regio patronato concesso nel Regno di Napoli fu l’ultimo tassello del più vasto programma del governo monarchico, che reclamò ed ottenne il diritto di nomina degli arcivescovi, vescovi e dignità in tutti i reynos. E, per altro, non era di certo un’esclusiva dei sovrani spagnoli quella di rivendicare privilegi di questo tipo per le dignità ecclesiastiche. A partire dagli ultimi decenni del Quattrocento si assistette, per l’appunto, alla concessione, più o meno lenta, del regio patronato in molti altri contesti politici italiani ed europei, con criteri e secondo logiche differenti tra loro, talvolta anche solo con la presentazione al pontefice di una terna di preferenze o mediante accordi finalizzati a conferire i benefici a soggetti che rientravano nelle grazie di re e prìncipi44.

La differenza, però, sostanziale tra Monarchia spagnola e gli altri contesti politici consisteva nel fatto che alla prima spettava la “nomina” effettiva dei vescovi. Non si trattava di avanzare solo delle candidature, bensì di dare al pontefice un nome esatto, secondo i criteri e le modalità che spiegheremo più avanti.

In Spagna i sovrani riuscirono a ottenere il diritto di nomina regia su tutte le diocesi con un risultato raggiunto gradualmente, a partire dalla fine del XV secolo e fino a tutta la prima metà del Cinquecento. Si trattò di ratificare privilegi già ottenuti dal Cattolico e resi poi perpetui dall’impegno politico di Carlo V. In un primo momento, nel luglio 1493, Alessandro VI concesse a Ferdinando d’Aragona la presentazione, solo per una volta, di un certo numero di vescovi, dignità e prebende. In seguito, nel 1507, Giulio II promulgò una bolla simile per la sola Corona di Aragona e l’anno seguente anche per la Castiglia. Adriano VI estese il

43 Sull’italianità del papato e, in generale, sui rapporti tra Papato e Regno di Napoli si veda il recente lavoro di A. Menniti Ippolito, 1664. Un anno della chiesa universale, cit.; cfr. anche A. Spagnoletti, Note sui

rapporti tra Roma e l’Italia nel XVI e nella prima metà del XVII secolo, in Studi storici dedicati a Orazio Cancila, a cura di A. Giuffrida, F. D’Avenia, D. Palermo, Palermo, Associazione Mediterranea, 2011, II, pp.

413-444.

44 Sull’estensione dei diritti di nomina, presentazione o collazione dei vescovi in altri contesti politici italiani ed europei rinviamo a quanto si dice in R. Bizzochi, Chiesa e aristocrazia nella Firenze del quattrocento, cit.; A. Prosperi, La figura del vescovo fra Quattro e Cinqucento, cit., pp. 242-243; G. Greco, I vescovi del

Granducato di Toscana in età medicea, in Istituzioni e società in Toscana, a cura di C. Lamioni, cit., II, pp. 655-

680; e più, in generale, G. Greco, La chiesa in Italia nell’età moderna, Roma, Laterza, 1999, p. 39; A. Menniti Ippolito, 1664. Un anno della chiesa universale, cit. pp. 56 e ss. Un’utile sintesi e confronto sul panorama generale del corpo diocesano nell’Europa moderna è contenuta in M. Rosa, Clero cattolico e società europea, cit., pp. 3-52.

privilegio alla diocesi di Pamplona e, finalmente, il 6 settembre 1523 Carlo V assunse, con la Eximiei devotionis affectu, il diritto di patronato su tutte le chiese spagnole. La bolla fu poi confermata da Clemente VII nel 1530 e, sei anni dopo, da Paolo III, rendendola valida per tutti i successori45. La possibilità di nominare i vescovi di tutte le diocesi spagnole rispondeva a un progetto più ampio della Corona spagnola di garantirsi l’unione politica e religiosa e salvaguardare la confessione cattolica di quella parte di Impero. Rispondeva, probabilmente, a ragioni religiose anche il conferimento del diritto di patronato nel Nuovo Mondo. La Corona spagnola, infatti, esercitava il patronato regio anche nei territori oltreoceano46. E così, man mano che la Corona estendeva i propri domini otteneva il regio patronato su di essi. Questo accadde nel Regno di Portogallo, dove la nomina regia fu estesa alle diocesi di Ceuta - sulle coste settentrionali dell’Africa - e Elvas - a confine tra Castiglia e Regno di Portogallo -. Lo stesso discorso fu valido anche per il Ducato di Milano, su cui la Monarquía, all’indomani della conquista, ottenne il diritto di nomina sulla diocesi di più recente istituzione: Vigevano. La diocesi, infatti, fu eretta nel 1530, su istanza del duca Francesco II Sforza, che si impegnò a dotare la sede episcopale di rendite adeguate. Vigevano era la diocesi più piccola del Ducato di Milano, per estensione e numero di abitanti e aveva rendite di circa 3.200 scudi. Non si deve certo credere che si trattasse di un “contentino” dato dal Pontefice al sovrano spagnolo, il quale esercitava comunque, attraverso le forme del placet e dell’assenso regio, il controllo su tutta la maglia beneficiale dello Stato in linea con la politica regalistica della casa d’Asburgo e di composizione di un classe politico-ecclesiastica leale alla Corona e agli interessi dello Stato47.

Si deve a Carlo V lo sforzo maggiore per rendere via via perpetui i diritti di nomina per quel che riguardava gli altri domini della Corona in Italia. Nel caso del Regno di Sicilia è

45 Sul regio patronato in Spagna cfr. M. Barrio Gozalo, El real patronato y los obispos espanoles del

Antiguo Régimen (1556-1834), Madrid, Centro de Estudios Políticos y Constituzionales, 2004; Id., El clero en la Espana moderna, Cordoba, Imprenta San Pablo, 2010; I. Fernandez Terricabras, Felipe II y el clero secular, cit.,

p. 175.

46 Cfr. G. Pizzorusso, M. Sanfilippo, La Santa Sede e la geografia del Nuovo Mondo in Dagli indiani

agli emigranti. L’attenzione della chiesa romana al nuovo mondo, «Archivio storico dell’emigrazione italiana»,

1 (2006), 1492-1908, pp. 23-60.

47 RAH, Salazar y Castro, K-7, f. 11r. Cfr. A. Borromeo, La corona spagnola e la nomina agli uffici

ecclesiastici nello Stato di Milano da Filippo II a Filippo IV, in Lombardia borromaica Lombardia spagnola, 1554-1659, a cura di P. Pissavino, G. Signorotto, Roma, Bulzoni, 1995, pp. 553-578; M. C. Giannini, Un caso di stabilità politica nella monarchia asburgica: clero, società e finanza pubblica nello Stato di Milano durante la prima metà del XVII secolo. Linea per uno studio integrato, in Lo conflictivo y lo consensual en Castilla: sociedad y poder politico (1521-1715). Homenaje a Francisco Tomás y Valiente, editado por F. J. Guillamón

Álvarez, J. J. Ruiz Ibáñez, Murcia, Universidad de Murcia, 2001, pp. 129-144; G. Signorotto, Milano spagnola.

certo che si trattasse della conferma di una concessione già fatta in favore del Re Cattolico nel 148748.

Contesti diversi nel tempo e nello spazio avevano garantito alla Monarquía di assumere un privilegio, quello delle nomine vescovili, che andava di pari passo al programma di rafforzamento del potere regio nell’intero sistema imperiale spagnolo.

48 Per il Regno di Sicilia si rinvia a F. D’Avenia, La feudalità ecclesiastica nella Sicilia degli Asburgo in Feudalità laica e feudalità ecclesiastica, a cura di A. Musi, M.A. Noto, pp. 280-282. Per il Regno di Sardegna, invece, cfr. R. Turtas, Storia della chiesa in Sardegna dalle origini al Duemila, Roma, Città nuova,