I vescovi di regio patronato: spazi, tempi e modalità di nomina
III.1. Tra Napoli, Madrid e Roma: il processo di nomina vescovile
Nel Trattato di Barcellona manca qualunque riferimento alle modalità del reclutamento episcopale. È certo, però, che si possa effettivamente parlare di un doppio processo di nomina in quanto, prima la corte spagnola e poi la Curia romana esaminavano, in due distinti momenti, il candidato da eleggere.
Tra gli anni Settanta e Ottanta del Cinquecento sia la monarchia spagnola che lo Stato Pontificio individuarono, nell’ambito dei rispettivi apparati burocratici e in modo del tutto autonomo l’uno dall’altro, gli organi formalmente preposti alla discussione e alla valutazione degli ecclesiastici da destinare alle diocesi di nomina regia1.
Andando con ordine, per quanto riguarda la Monarchia spagnola bisogna aspettare le riforme del Rey prudente, che formalizzarono le procedure in base alle quali dare effettivo avvio alle nomine vescovili di regio patronato. Nel 1554, infatti, venne istituito il Consiglio di Italia, livello intermedio tra il sovrano - che ormai aveva stabilito in modo permanente la sua corte in Castiglia - e i domini spagnoli in Italia. Inserito nel vasto piano di rafforzamento e consolidamento della struttura polisinodale dei Consejos e, quindi, dell’apparato centrale di governo e della Monarchia, con il Consiglio di Italia Filippo II introduceva un organo cui affidare la trattazione esclusiva degli affari relativi ai domini spagnoli in Italia, controllando
1 Studi sulle nomine dei vescovi nelle diocesi di regio patronato sono stati svolti per tutti i reynos del sistema imperiale spagnolo e, com’è ovvio che fosse, i criteri adottati erano i medesimi in ognuno di essi. Per questo segnaliamo, in primo luogo, per il Regno di Napoli M. Spedicato, Il mercato della mitra, cit., pp. 191- 200; per un utile e doveroso confronto con la Spagna rinviamo, invece, ai numerosi lavori di Barrio Gozalo e, in particolare, M. Barrio Gozalo, El real patronato y los obispos espanoles del Antiguo Régimen (1556-1834), cit., pp. 44-107; I. Fernandez Terricabras, Felipe II y el clero secular, cit., pp. 211-227. Sul reclutamento dei prelati da parte della Curia romana, invece, cfr. M. Faggioli, La disciplina di nomina dei vescovi prima e dopo il
Concilio di Trento, in «Società e storia», 92 (2001), pp. 221-256; Id., Problemi relativi alle nomine episcopali dal Concilio di Trento al pontificato di Urbano VIII, in «Cristianesimo nella storia», XXI/3 (2001), pp. 531-564;
D. Gemmiti, Il processo per la nomina dei vescovi, Roma, LER, 1989. Si veda anche, quanto si dice sulla selezione dei vescovi in età pretridentina, in A. Prosperi, La figura del vescovo fra Quattro e Cinqucento, cit., pp. 221-264.
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così le forze politiche attive nel Regno2. Allo stesso Consiglio si affidavano anche le redini per il reclutamento degli ecclesiastici da destinare alla fitta rete dei benefici ecclesiastici regi - diocesi, dignità, badie, prebende - dislocati in tutto il Regno di Napoli.
Prima dell’intervento di Filippo II è difficile capire chi e come si occupasse della designazione dei vescovi, senza contare la pluralità delle residenze regie che certamente giocò un ruolo non indifferente nella conservazione della eventuale documentazione volta a volta prodotta a tale scopo. È probabile che se ne dovessero occupare i più stretti collaboratori del sovrano - riuniti prima nel Consiglio di Aragona fondato da Ferdinando il Cattolico nel 1494 e poi nel Consiglio di Stato, sorto per volere di Carlo V nel 1521 - che erano chiamati, in prima istanza, a trattare indistintamente sulle più disparate materie dei reynos che componevano il sistema imperiale spagnolo. È, altresì, plausibile che all’indomani del Trattato, e ancora per gran parte del XVI secolo, in assenza di criteri precisi per la selezione del corpo degli ecclesiastici, si ricorresse a un colloquio segreto tra il sovrano e il proprio consigliere3. Era, comunque, altrettanto frequente che, dopo la firma del Trattato del 1529, di fronte a casi di vacanza delle sedi diocesane la Santa Sede prorogasse il governo episcopale del vescovo, talvolta con l’inevitabile ricorso al cumulo dei benefici o inviando amministratori apostolici.
Bisogna aspettare il 1579 quando Filippo II, nel disciplinare il funzionamento del Consiglio di Italia, oltre a ricordare che tutti i prelati, anche quelli di regio patronato, avrebbero dovuto rispettare l’obbligo di residenza, a proposito delle loro nomine scriveva:
2 Davvero molto ricca è la produzione storiografica italiana - e altrettanto lo è quella spagnola - dedicata al Consiglio di Italia e al ruolo dallo stesso assunto nell’ambito della trama istituzionale e relazionale tra centro e periferia. Per primo dobbiamo ricordare il lavoro dello spagnolo M. Rivero Rodriguez, Filippo II e il governo
d’Italia, trad. it., Nardò, Controluce, 2011, ma si vedano anche A. Alvarez-Ossorio Alvariño, «Una forma di Consiglio unito per Napoli e Milano»: alle origini del Consiglio d’Italia (1554-1556), in «Dimensioni e
problemi della ricerca storica», 1 (2003), pp. 163-196; G. Galasso, Il Regno di Napoli, I, Il Mezzogiorno
spagnolo (1494-1622), cit., pp. 576-582 e G. Galasso, Introduzione, in Nel sistema imperale l’Italia spagnola, a
cura di A. Musi, Napoli, Esi, 1994, in particolare p. 18; R. Sicilia, Due ceti del Regno di Napoli. “Grandi del
Regno” e “Grandi togati”, Napoli, Esi, 2010, pp. 151-174. La storiografia è, ormai, notoriamente concorde nel
ritenere che l’intervento di Filippo II nella formazione di un apparato burocratico di questo tipo fu funzionale a garantire il pieno controllo delle periferie, limitando così eventuali autonomie di intervento delle corti vicereali, cfr. in particolare M. Rivero Rodriguez, Filippo II e il governo d’Italia, cit., pp. 88-96 e C. J. Hernando Sánchez,
Los virreyes de la monarquía española en Italia. Evolución y práctica de un oficio de gobierno, in «Studia
historica. Historia moderna», 26 (2004), p. 67. 3
Nel caso delle diocesi spagnole era il Consiglio di Castiglia a occuparsi delle nomine episcopali e a partire dal 1588 ebbe anche un’apposita segreteria per il Real patronato. Per quel che riguarda la struttura organizzativa della monarchia prima dell’intervento di Filippo II è ancora Rivero Rodriguez a fugare i nostri dubbi; a lui rinviamo per conoscere le forme di governo della monarchia spagnola dai re Cattolici a Carlo V, cfr. M. Rivero Rodriguez, Filippo II e il governo d’Italia, cit., pp. 12-37.
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«todos las nominas que vienen de Italia, de oficios y beneficios, se ordene a los virreyes, que las embien dirigidas a nuestras manos proprias o de nuestro Presidente el qual las haga leer en Consejo, y que con brevedad se me consulte lo que sobre ellas parezerà porque no se de lugar a negociaciones y ruegos que suelen ser causa de turbar la buena eleccion»4.
Riferimenti espliciti alle modalità di nomina si trovano anche nelle istruzioni impartite dalla Corona ai viceré di Napoli e agli ambasciatori spagnoli a Roma. Si legge, per esempio, dalle istruzioni che saranno poi impartite da Filippo III al viceré conte di Lemos:
«se sepa que iglesias y beneficios son a mi presentacion de las veinte y quatro prelacias por la capitulacion de Barcelona. Reservadas elegireis dos personas calificadas que juntamente con mi Capellan mayor inquieran y se informen con cuidado de lo supra dicho y haga una lista della y del valor de casa, con mucha particularidad y distincion, poniendo el titulo que ay para casa y el original que de ella muy bien guardado y aca se me embiará con brevedad una copia autorizada della y si algunas se hallaren occupadas y usurpadas pertenecientes a mi pressentacion o collacion, procurareis por aquella via y modo que se puede y debe reducirlo a que se nueva a su derecho antiguo. Y la misma diligencia ordenareis, que se haga por lo que toca a los officios que ay en el Reyno»5.
Venivano, così, fissati i primi criteri che erano comuni a quelli previsti per il reclutamento degli altri funzionari del Regno e prevedevano sempre la preliminare
4 BNE, Ms. 988, Instruccíones al Consejo de Italia, 20 maggio 1579, ff. 150-155, cit. in C. Giardina, Il
supremo Consiglio d’Italia, in «Atti della Real Accademia di Scienze, Lettere e Belle Arti di Palermo», XIX/I
(1934), pp. 133-137. Prima delle istruzioni del 1579, che resero operativo il Consiglio di Italia, spettava ai reggenti territorialmente competenti risolvere gli affari del reyno loro assegnato, attraverso una eventuale corrispondenza privata con viceré e ministri, conservata personalmente dagli stessi reggenti. La decisione finale era poi presa dal sovrano con il despacho a boca, cfr. M. Rivero Rodriguez, Filippo II e il governo d’Italia, cit., pp. 210-219; F. Benigno, L’ombra del re. Ministri e lotta politica nella Spagna del Seicento, Venezia, Marsilio, 1992, pp. 14-15.
5 AHNM, Estado, leg. 2010, Istruzioni date da Filippo III al viceré Pedro Fernández de Castro Andrade y Portugal conte di Lemos, 3 settembre 1610, art. 105. La raccomandazione impartita al Viceré sulla presentazione dei vescovi nelle diocesi napoletane di regio patronato, rimase immutata in tutte le istruzioni ai viceré di Napoli. I testi delle istruzioni sono stati editi in G. Coniglio, Declino del viceregno di Napoli (1599-
1689), Napoli, Giannini, 4 vv., 1990-1991. Cfr. anche G. Galasso, Il Regno di Napoli, I, Il Mezzogiorno spagnolo (1494-1622), cit., pp. 582-587; M. Rivero Rodriguez, Doctrina y práctica política en la monarquía hispana; Las instrucciones dadas a los virreyes y gobernadores de Italia en los siglos XVI y XVII, in
«Investigaciones históricas: Época moderna y contemporánea», 9 (1989), pp. 197-214. Quanto contenuto nelle disposizioni date ai viceré ricalcava ciò che era stato già stabilito per le diocesi spagnole nel 1588. Per questo cfr.
Instrución que debe observar la Cámara en las consultas a S. M. para la provisión de prelacías, dignidades y prebendas del real patronato, in J. A. Escudero, El Consejo de la Camara de Castilla y la reforma de 1588, in
«Annuario de Historia del Derecho Espanol», 67/2 (1997), pp. 925-941; C. De la Fuente Cobos, E. Adrados Villar, La documentación sobre el Patronato eclesiástico de Castilla, in «Hispania Sacra», 47 (1995), pp. 625- 679.
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comunicazione da parte del Viceré della vacanza degli uffici - giudici della Vicaria, avvocati fiscali, auditori di provincia, cappellano maggiore -. Veniva dunque proposta una terna di candidati che sarebbe poi stata discussa dal Consiglio di Italia e sottoposta alla decisione finale del sovrano6.
Che si trattasse di una prassi già consolidata - di uno estilo acostumbrado - si legge anche dagli indirizzi dati agli ambasciatori spagnoli presso la Santa Sede. Carlo V, nel fornire le istruzioni l’ambasciatore Enriquez de Guzman conte di Olivares, diceva:
«en las presentaciones de obispados y otras diñidades se use el estilo ordinario en las presentacion de obispados, abadias y otras diñidades de que por concession de los Summos Pontifices tenemos yo y mis Corona llamamente el patronazgo en España, usareys del estilo acostumbrado para la conservacion desto con todas las pre eminencia de ellos»7.
Passiamo, quindi, a vedere effettivamente luoghi, attori e modalità del reclutamento episcopale. L’intero procedimento si svolgeva, nell’ordine, tra Napoli, Madrid e Roma8. Nella capitale del Regno il Cappellano Maggiore aveva il pieno controllo di tutti i benefici ecclesiastici di regio patronato, preoccupandosi di comunicare tempestivamente al Viceré la vacanza degli stessi. A quest’ultimo spettava la formazione di una terna di candidati da sottoporre agli organi madrileni, nel rispetto del privilegio dell’alternativa, da trasmettere con proprio “viglietto” al Consiglio d’Italia a Madrid. Introdotto da Carlo V con la prammatica de officiorum provisione del 1550, il privilegio dell’alternativa era stato fortemente voluto dalla periferia dell’Impero. Rimontano ai tempi del Cattolico le prime richieste da parte delle aristocrazie locali che, riunite nei Parlamenti generali del Regno, chiedevano una presenza e
6 Per questo, oltre alle istruzioni appena segnalate, rinviamo alla documentazione del Consiglio di Italia sulle nomine dei maggiori ufficiali del Regno conservata in AHNM, Estado, leg. 2037. Sulla questione si veda anche G. Muto, Meccanismi e percorsi della mobilità socio-professionale nell’apparato ministeriale: i
funzionari della Sommaria di Napoli tra XVI e XVII secolo, in Felipe II y el Mediterráneo, II, Los gruppos sociales, editado por E. Belenguer Cebrià, Madrid, Sociedad Estatal para la Conmemoracion de los Centenarios
de Felipe II y Carlos V, 1999, pp. 379-394. Si vedano anche i contributi di C. J. Hernando Sanchez, Espanoles y
italianos: nacion y lealtad en el Reino de Napoles durante las guerras de Italia; A. Spagnoletti, El concepto de naturalezza, nacion y patria en Italia y el Reino de Napoles con respecto a la monarquia de los Austrias; M.
Rivero Rodriguez, La preeminencia del Consejo de Italia y el sentimento de la nacion italiana in La Monarquía
de las naciones. Patria, nación y naturaleza en la monarquía de España, editado por B. J. García García, A.
Alvarez Ossorio Alvariño, Madrid, Fundación Carlos de Amberes, 2004, pp. 423-529.
7 RAH, Salazar y Castro, K-7, f. 11r. Anche in questo caso, il testo rimase pressoché invariato nei suoi contenuti, per questo rinviamo a Istruzioni di Filippo III ai suoi ambasciatori a Roma, 1598-1621, a cura di S. Giordano, Roma, Ministero per i beni e le attività culturali, 2006, pp. 3 e ss.
8 Per quanto riguarda la dimensione organizzativa del potere e la pluralità delle sfere decisionali della corte madrilena rinviamo alle recenti note di A. Musi, Le sfere della decisione politica nella prima età moderna:
caso-necessità, razionalità-emotività, in Studi storici dedicati a Orazio Cancila, a cura di A. Giuffrida, F.
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una partecipazione sempre maggiore di napoletani - o regnicoli - nella composizione dell’apparato istituzionale, che si andava “hispanizzando”9. Così Carlo V fissò dei criteri in base ai quali procedere all’assegnazione degli incarichi tanto civili, quanto ecclesiastici rispetto alla “nazionalità” dei candidati designati. Nel caso di benefici ecclesiastici e dei vescovadi bisognava rispettare l’alternanza tra un regnicolo e un forestiero10.
La carta vicereale doveva contenere notizie sull’entità della rendita episcopale e sulle pensioni che eventualmente gravavano su di essa. Un percorso che sin dalle sue origini poteva incontrare diverse eccezioni. L’iter di nomina, per esempio, poteva iniziare direttamente a Madrid, senza attendere il Viceré. Questo accadeva quando, in sede di consulta, proponendo il trasferimento di un presule a un’altra diocesi, si avanzava il nome di nuovi candidati per la sede che sarebbe rimasta vacante. Non mancarono casi in cui il Consiglio, riscontrando negligenze vicereali o nei periodi di sede vacante, preferiva procedere alle consultazioni in totale autonomia. Non siamo riusciti a ricostruire la partecipazione del Consiglio Collaterale al processo di nomina, almeno non attraverso attestazione della loro consultazione con il Viceré, ma è certo l’intervento di alcuni reggenti del Collaterale nel promuovere la candidatura di propri conoscenti o propri familiari. È, quanto, emergerà, per esempio, a proposito degli avvicendamenti episcopali di Trivento come nella designazione di Giovanni Battista Capaccio vicario di Pozzuoli, diocesi in cui era vescovo Martin de Leon al tempo anche consigliere del Collaterale.
Un altro strumento - certo ma non per questo efficace - della partecipazione delle forze politiche regnicole alle nomine di regio patronato è attestato dalle “grazie” richieste nei Parlamenti generali del Regno. Non è chiaro quanto effettivamente fosse sistematico l’utilizzo di questa prassi, eppure, talvolta, i Parlamenti contenevano anche presentazioni di candidati ai benefici ecclesiastici. È quanto si verifica, per esempio, con la “supplica calorosa” fatta, nel 1557, dalla nobiltà regnicola a Filippo II, al fine di proporre per la diocesi di Tropea Marco Antonio Bozzuto, cavaliere napoletano ascritto al seggio di Capuana, fratello del cardinale Annibale Bozzuto e del vescovo di Lucera Scipione Bozzuto. Il sovrano rispondeva di aver già provveduto alla nomina e che avrebbe, eventualmente, tenuto conto del nominativo proposto. Il Bozzuto, però, non sarebbe nemmeno entrato nelle rosa di candidati
9 Nuova collezione delle prammatiche del Regno di Napoli, XI, Napoli, Stamperia Simoniana, 1805, p. 38; rinviamo anche a quanto si dice a proposito dell’apparato amministrativo del Mezzogiorno d’Italia e dunque del mantenimento degli equilibri socio-politici del Regno in A. Musi, Mezzogiorno spagnolo. La via napoletana
allo stato moderno, Napoli, Guida, 1991, in particolare p. 98; Id., L’Italia dei Viceré. Integrazione e resistenza nel sistema imperiale spagnolo, Roma, Avagliano, 2000, pp. 198-200.
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di regio patronato; in seguito sarebbe stato eletto vescovo di Amalfi, diocesi che resse dal 1565 al 157011.
Giunta a Madrid, la proposta vicereale veniva discussa dal Consiglio di Italia, che poteva approvarla integralmente o parzialmente; il verbale della seduta, la consulta appunto, era, poi, trasmesso al Re. In via del tutto arbitraria il sovrano poteva scegliere tra i soggetti presentati dal Viceré e dal Consiglio d’Italia, oppure avanzare una sua preferenza a prescindere dai pareri forniti o, ancora, semmai fosse stato insoddisfatto dei nominativi ricevuti, chiedere altri candidati o maggiori informazioni su quelli già proposti12. Una volta designato il nuovo presule, il sovrano, con una doppia missiva, comunicava il responso all’Ambasciatore a Roma, dando mandato di informare il Papa che avrebbe provveduto a emettere la bolla pontificia di nomina13.
Da questo momento toccava alla Curia romana proseguire, attraverso il consueto ma - aggiungiamo noi - formale processo concistoriale. Iniziamo col dire brevemente di cosa si trattava. Prima il Tridentino e, poi, le riforme di Sisto V avevano lentamente fissato i criteri per la selezione dei vescovi e gli organi cui conferire i compiti di valutazione degli stessi. La Congregazione concistoriale - introdotta nel 1588 dalla bolla Immensa aeterni Dei - aveva il
11 Cfr. A. Cernigliaro, Sovranità e feudo nel Regno di Napoli (1505-1557), II, Napoli, Jovene, 1983, p. 1012; F. Pansa, Istoria dell’antica repubblica d’Amalfi e di tutte le cose appartenenti alla medesima, accadute
nella città di Napoli e suo Regno, Napoli, Paolo Severini, 1724, I, p. 273.
12 Su un totale di oltre 380 nomine registrate nelle consulte del Consiglio di Italia, dagli anni Settanta del Cinquecento alla fine dell’età spagnola, solo cinquantatre furono per cooptazione diretta del sovrano. In certi casi è probabile che giocarono un ruolo di rilievo anche i confessori reali, di cui non abbiamo riscontri concreti per la scelta dei presuli del Regno di Napoli, ma non lo escludiamo, considerato l’alto riferimento di orientamento politico, oltre che di direzione spirituale, che ebbero, come d’altronde la storiografia va dimostrando. Si vedano, in tal senso, M. Barrio Gozalo, El sistema beneficial de la iglesia española en el
Antiguo Regimen (1475-1834), San Vicente del Raspeig, Publicaciones de la Universidad de Alicante, 2010, pp.
96-97; B. Comelia Gutiérrez, Los nombramientos episcopales para la Corona de Castilla bajo de Felipe III,
según el Archivo Historico Nacional: una aprocimacíon, in «Hispania Sacra», 122 (2008), p. 710; M. Amparo
López Arandia, Dominicos en la corte de los Austrias: el confesor del Rey, in «Tiempos modernos», 20 (2001/1), pp. 1-30; M. Barrio Gozalo, Las órdenes religiosas y el confesor real en la España a mediados del
siglo XVIII, in Religione, conflittualità e cultura. Il clero regolare nell'Europa d'antico regime, a cura di M. C.
Giannini, Roma, Bulzoni, 2006, «Cheiron» 43-44 (2005), pp. 371-396; I. Poutrin, Los confesores de los Reyes
de España: carrera y función (siglos XVI y XVII), in Religión y poder en la Edad Moderna, editado por José
Luis Betrán Moya, Antonio Luis Cortés Peña, Eliseo Serrano Martín, Granada, Universidad de Granada, 2005, pp. 67-82; J. García García, El confesor fray Luis Aliaga y la conciencia del rey, in I religiosi a corte, a cura di F. Rurale, cit., pp. 159-194; F. Rurale, Il confessore e il governatore in La Lombardia spagnola, a cura di E. Brambilla, G. Muto, cit., pp. 343-370; Id., Confessori consiglieri di principi: alcuni casi dell'area estense, in
Archivi, territori, poteri in area estense(secc. XVI-XVIII). Atti del convegno, Ferrara, 9-12 dicembre 1994, a cura
di E. Fregni, Roma, Bulzoni, 1999, pp. 289-316.
13 Per tutto quanto attiene ruolo, nomina, residenza e attività degli ambasciatori spagnoli presso la Santa Sede cfr. Istruzioni di Filippo III ai suoi ambasciatori a Roma, 1598-1621, a cura di S. Giordano, cit.;
Diplomazia e politica della Spagna a Roma. Figure di ambasciatori, a cura di M. A. Visceglia, «Roma moderna
e contemporanea», XV (2007); M. Barrio Gozalo, El barrio de la Embajada de España en Roma en la segunda
mitad del siglo XVII, in «Hispania. Revista Española de Historia», 227 (2007), pp. 993-1024; Id., La embajada de España ante la Corte de Roma en el siglo XVII. Ceremonial y prática del buen gobierno, in «Studia Historica.
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compito di formare un dossier sul candidato e sullo stato della diocesi. La prima parte del processo informativo consisteva in un interrogatorio standard da rivolgere a più testimoni - dai tre ai quattro - che conoscevano personalmente il candidato, ma che non dovevano essere consagunei. Si raccoglievano così notizie imparziali sull’idoneità morale e religiosa dell’ecclesiastico14. Per la seconda parte del processo, invece, si chiamavano a testimoniare alcuni rappresentanti del clero diocesano - due o al massimo tre chierici - al fine di prendere informazioni sullo stato degli edifici ecclesiastici e sulle condizioni pastorali, ma anche e