“È venuto il tempo di compiere il mio grande atto. Fra alcuni giorni tutto sarà finito. Questo memoriale, di cui preparo due copie, l'una che porterò indosso d'or innanzi, l'altra per inviare ad un giornale, ha il solo scopo di dichiarare – in caso che si volessero travisare le mie
intenzioni o spiegare l'avvenuto come un accidente fortuito – il processo in cui io venni nella determinazione di morire in modo tanto eccezionale”.
Il romanzo, pubblicato a Roma nel 1904 nella «Biblioteca della Nuova
Antologia», ebbe numerosi edizioni e fu tradotto in tedesco, inglese, olandese,
russo. Sicuramente più che mai è avvisabile negli Ammonitori, l’influenza di
Gor’kij e più in generale della letteratura russa, soprattutto nella riproposizione del
tema della comunità, come vincolo sociale dell’individuo e nella considerazione
negativa della solitudine, che lega in un unico file rouge i tre protagonisti del
romanzo: il tipografo Stanga, il poeta Crastino e il pittore Quibio.
Nell’adattamento televisivo, diversamente dalle altre trasmutazioni, il regista
romano decide di manipolare la materia romanzesca, introducendo, all’interno delle
parti narrate e sceneggiate, sequenze tratte da una biografia di Cena, scritta da una
sua ex compagna di università, Felicina Sacchetti Parbis, perché era convinto che
«non potremo intendere bene il romanzo se prima non avremo conosciuto qualche
altro aspetto della personalità del suo autore». Così facendo interrompe la
narrazione del romanzo per lasciare spazio alle citazioni enfatiche della Parbis:
Giovanni Cena approvava tacitamente, egli scintillava il nero occhio pensoso. Gli amici suoi fraterni di quegli anni, furono tutti artisti, poeti musici, pittori, scultori già noti e per divenire. Amava, particolarmente, le sculture di Leonardo Bistolfi, creature dolorose che Cena sentiva legate da una parentela ideale all’anima sua, ugualmente slanciate verso forme superiori di vita. La simbolica opera “ La bellezza della morte”, ove il defunto Igegnere Brandis, che diresse il traforo del Frejus, era rappresentato con le membra possenti e dalla terra fiorente al suo fianco, la vita si elevava con un grembo carico di doni, ebbe una grande influenza sul Cena e sulla sua interpretazione positiva della morte. Amava altresì le opere del pittore amico Giuseppe Pelilzza da Volpedo ed ammirava sopra ogni altra, “il quarto stato”, a cui dedicò un acuto studio. Quest’opera commuoveva profondamente il suo spirito umanitario, il suo amore per gli umili, la sua volontà di redenzione sociale di tutti gli esseri umani che sentiva soffrire d’intorno a se. Ma la sua anima vibrava di un sentimento diverso, alle visioni delle aurore montane e dei meriggi pastorali di Giovanni Segantini, o forse coglieva un riflesso dell’amore inebriante che egli portava alla natura; all’immobiliato
canavese natio; alle memorie dell’infanzia contadina, alla mamma dorata, cui dedicava nel 1897, il poemetto Madre in occasione della di lei morte. Oh! Nobile amico, io piansi lacrime vive, quando lessi quel volumetto spasimante in cui gettavi un altissimo grido d’amore e di dolore, elevando un monumento imperituro alla santa dolcissima donna, che ti aveva dato la vita. Un monumento quale nessun milionario potrà erigere alla sua mamma//
interrotte dal piglio ironico di Gregoretti:
Beh! Adesso può bastare con Felicina Sacchetti Parbis e le sue lacrime vive!
Una parte dei tagli operati sul testo appare ispirata, oltre che alle generiche esigenze
di riduzione del numero di pagine, anche alla necessità di apparentare il testo di
partenza alla produzione letteraria coeva. Tale dinamica si coglie nell’intento
didascalico sotteso alla realizzazione di Romanzo popolare italiano, di favorire la
pratica comunicativa della letteratura di consumo. Dobbiamo tener presente che la
serie era destinata a diffondere presso il pubblico una «morale della favola»
(Menduni, 2002): la socializzazione culturale e linguistica dei testi sceneggiati,
divenendo veicolo di un sistema di valori, di principi etici e politici, mirava così
all'elevazione morale del telespettatore. In questo processo notevoli sono i
riferimenti all’intertestualità operata da Gregoretti, con l’inserimento addirittura di
sequenze dialogiche prelevate ‘a tema’ da “Cuore” di De Amicis:
A questo punto diremmo che data la evidente parentela di questi personaggi col mondo delle famiglie del cuore di De Amicis abbiamo visto lo spazzacamino /il discolo/ il babbo indurito dall’alcool che tutto ad un tratto si inteneriva/ il piccolo morto/ il muratorino /il carbonaio c’è solo l’eccezione della prostituta/ sarebbe giusto fare apparire dal fondo del corridoio in una sera qualsiasi il piccolo Enrico con la madre e la sorella/ che vengono a visitare i diseredati delle soffitte/ come nel capitolo “Ottobre” di “Cuore”//
ENRICO: salimmo fin sotto il tetto di una casa del corridoio lungo/mia madre picchiò all’uscio
MADRE DI ENRICO: buongiorno/siete voi quella povera donna raccomandata dal giornale?
DONNA: si signora! sono io!
MADRE DI ENRICO: e bene! noi vi abbiamo portato un poco di biancheria DONNA: per me? tutta questa roba? grazie.
ENRICO: e quella a ringraziare e benedire che non finiva più//
Su un piano poi più specificamente linguistico, vorrei sottolineare come il
meccanismo di riduzione, su cui ruota tale operazione televisiva, comporti la
penalizzazione dell’aspetto descrittivo, che nel tasto di partenza mette in luce la
coscienza laica, positivista di Stanga, il protagonista più autenticamente
autobiografico del romanzo di Cena:
C'è dunque una società sotterranea dove la soperchieria, la lotta, la solidarietà, sono praticate all'insaputa dell'altra, ma con la stessa intensità. Qualche sommovimento lancia ogni tanto alla superficie un cadavere. E tutto ciò viveva accanto a me: ne sentivo le pulsazioni quando rincasavo tardi la sera e udivo dei sussurri o delle risse negli angiporti: qualche volta avevo inteso accanto a me, nell'ombra, due parole che mi causavano un fremito di terrore e subito dopo mi aveva colto un moto di fiducia e quasi di compiacenza: “No, è Stanga!” Mi conoscevano dunque: avevano una polizia anch'essi: io ero nella lista degl'innocui o degl'insignificanti... Tutto ciò nelle tenebre. Alla luce del sole nient'altro che uno sguardo d'odio, di provocazione, di vittoria, come quello che avevo veduto luccicare un momento sulla faccia di quel mingherlino... (Gli ammonitori, pp.50-51)
Si confermano in questo modo alcune caratteristiche della transocodificazione già
constatate nei prodotti testuali precedenti, e che qui hanno lo scopo anche di
attenuare l’istinto mistico e giustizialista all’interno di una radice profondamente