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Popolarizzazione dei testi e pratiche di letteratura oralizzata

Come già ampiamente evidenziato, i dati sull’alfabetizzazione nell’Italia della

Restaurazione danno un quadro di estrema arretratezza. Cattaneo evidenzia la

natura sociale del problema in quanto «il numero dei fanciulli incolti non

corrisponde ad inopia locale di mezzi d’istruzione, poiché quasi due terzi si

trovano in Comuni provvisti di scuole; e lo si deve attribuire al poco pregio in cui

le povere famiglie tengono ancora questo nuovo bene del nostro secolo.

Pochissima è l’istruzione del basso popolo e gli altri ordini di persone s’istruiscono

più da se stessi che per opera pubblica»40.

40

Luigi Mascilli Migliorini, Letteratura e luoghi della lettura, in Storia dell’editoria nell’Italia contemporanea, cit., p. 105.

Da ciò è condizionato il processo di modernizzazione intellettuale in Italia,

dal momento che «un’istruzione così limitata servirà solo a far circolare in maggior

numero libriccini di preghiera, piccoli almanacchi figurati e a rendere leggibile

qualche proclama governativo»41. In più una forte battuta d’arresto proviene

dall’ipoteca che il cattolicesimo esercita sul liberismo italiano, imprimendo una

linea moderata che porta a guardare con diffidenza quanto avviene in altre realtà

europee, ai processi di laicizzazione dei costumi, frutto di una mobilità sociale.

Tutto ciò si traduce nell’egemonia quantitativa di testi religiosi pubblicati: libretti

di preghiere, sunti dottrinari, catechismi. Ciò che si avverte, dunque, è che

nell’Italia della Restaurazione il piacere della lettura fatica a espandersi, stretta

dalle politiche illiberali e dall’assenza di risolute iniziative di istruzione pubblica.

Dopo l’Unificazione, col rafforzarsi di un sistema statale di istruzione, si

intensificano le azioni che mirano alla diffusione della lettura, come la creazione

della Biblioteca Popolare fondata nel 1861 da Antonio Bruni da Prato, nata dalle

reali carenze delle istituzioni bibliotecarie cittadine. I dati, sulle associazioni alla

Biblioteca e sull’utilizzazione del suo patrimonio librario, indicano difficoltà ad

avviare alla lettura ceti nuovi e popolari. Anche perché è esplicito il disegno di fare

della lettura uno strumento di apprendimento, nel quale vengano confermate e non

dissolte le preesistenti distinzioni tra le classi sociali. Bruni nel 1868 scrive: «noi

non vogliamo spandere in mezzo al popolo una istruzione che lo inviti ad

41

abbandonare il proprio stato e ad aspirare ad una condizione cui non possa mai

giungere; il nostro principio è anzi di fargli amare questo stato medesimo»42

riscontrando un modo nuovo di intendere l’accesso al sapere delle classi dirigenti

nazionali che, invece di incentivare e favorire le pratiche di lettura, le avrebbero

isterilite rendendole proprie di una cerchia ristretta. I contadini erano solo

parzialmente integrati nell’insieme del pubblico lettore europeo del XIX secolo.

Mentre nelle città, il libro era divenuto oggetto di consumo quotidiano, alcuni

settori del mondo contadino erano ancora dominati da una maniera tradizionale di

lettura. Per loro i libri erano ancora beni rari e rispettati, per lo più incontrati in un

contesto religioso. Rappresentavano la generazione degli ascoltatori, non ancora

trasformatisi in generazione di lettori: spesso la lettura era per loro un’esperienza

collettiva, integrata in una cultura orale. In particolare la lettura ad alta voce era

considerata come un importante fattore capace di oltrepassare le barriere espressive

locali ed era fondamentale in Italia perché superava le difficoltà di una lingua

nazionale non ancora affermatasi. Inoltre essa è capace di assicurare una

comunicazione sociale, una capacità di dialogo tra le classi che nessun altro testo

scritto è in grado di garantire. Nel caso dei feuilleton è interessante notare, a

proposito dei rituali di lettura, la declamazione di romanzi fatta dalle dame di

compagnia alle nobildonne di un tempo, o più semplicemente la lettura che dei

romanzi popolari si faceva nelle famiglie dopocena. Come scrive Lamartine, infatti

42

«la lettura è un avvenimento per la vita del cuore (…). Il sublime stanca, il bello

inganna, solo il patetico è infallibile in arte»43, cercando così di spiegarci come solo

il narrare anche leggendo è la sola forma di letteratura popolare, annunciando che

la grande stagione del romanzo che rivoluziona soggetti, attese e forme della lettura

è oramai nel suo pieno vigore.

Un esempio. Nelle Affinità elettive compaiono due scene di lettura ad alta

voce. Una si apre con alcune considerazioni sul modo di leggere del protagonista

maschile, che amava farlo davanti ai familiari e agli amici riuniti nell’ascolto44;

l’altra vede un momento d’ira di Eduardo quando si accorge che Carlotta gli guarda

nel libro da dietro le spalle. Siamo ormai nel primo decennio dell’Ottocento e il

libro sa ormai catturare il proprio lettore, sa sorprendere, creare pause e un senso di

attesa con le sole parole stampate che lo compongono. Eduardo vorrebbe

continuare a usare la voce per creare emozione, vorrebbe assumere il potere che

deriva che deriva dal farsi attore e dalla comunicazione corporea, quella che Carlo

Sini ha definito “la scrittura originaria dell’esperienza”45. Leggendo ad alta voce a

chi non aveva il libro di fronte, Eduardo poteva sorprendere con fatti inaspettati,

43

Luigi Mascilli Migliorini, Letteratura e luoghi della lettura, cit., p. 112. 44

“Aveva una voce armoniosa e profonda, e già si era fatto conoscere e apprezzare, in altri tempi, per la dizione animata e sensibile di testi poetici e di discorsi [...]. Una sua particolarità era di non sopportare che, quando leggeva, gli guardassero nel libro. Prima quando leggeva poesie, commedie, racconti, ciò era in rapporto col desiderio, intenso e peculiare ad ogni dicitore – come al poeta stesso, al commediografo, al narratore – di sorprendere, di aprire intervalli, di creare un senso di attesa: simili effetti, voluti ad arte, restano infatti gravemente impediti, se qualcuno precede con lo sguardo chi legge”( Johann Wolfgang von Goethe, Le affinità elettive (1809), introduzione e traduzione di Giorgio Cusatelli, Garzanti, Milano, 1999, parte I, pp. 31-32.

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creare attesa, suscitare emozioni. Poteva insomma gestire l’effetto del testo

utilizzando il contesto vivo dell’enunciazione. È un potere, in fondo, quello di chi

legge ad alta voce a un uditorio: un potere che possiede finchè è l’unico ad avere di

fronte il libro.