ANDREA CAPPELLANO E GUITTONE D’AREZZO: IL RECUPERO DELL’ELEGIA NEL MEDIOEVO
2. Ovidio, Cappellano e Guittone: un’ottica di continuità
3.5 L’amor cortese
138 A.CAPPELLANO, De amore, p. XX. 139 Ivi, p. XX. 140 Ivi, pp. XX-XXI.
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La concezione amorosa, letteraria e culturale dell’amor cortese rappresenta il sentimento amoroso del mondo aristocratico e feudale, al cui centro spicca la figura del cavaliere, sintesi delle grandi virtù di quell’universo, come la misura, che è l’abilità nel trovare un equilibrio fra gli istinti e le passioni e i buoni costumi; la prodezza, che si manifesta nel valore militare; la gioia, quel sentimento di pienezza e armonia che il cavaliere vive quando realizza imprese giuste ed onorevoli.
Allo stesso tempo, però, il cavaliere desidera e dona il suo amore alla dama, l’altra figura attorno alla quale ruota la relazione amorosa cortese. La donna cortese è sublime, irraggiungibile, a tratti persino divina, e degna di ogni fedeltà e servitium. Il cavaliere, che è amante e poeta, serve con umiltà l’amata, che riconosce il corteggiamento o con l’accettazione del servizio amoroso, la quale si può tradurre in un premio, come un bacio o uno sguardo gentile, o con il distacco. La dama, infatti, oscilla fra merce e orguelh, fra grazia ed orgoglio, sapendo mantenere misura ed equilibrio fra i due estremi, perché è questo che tiene in vita la relazione stessa. Infatti, se la donna concede merce, cioè il godimento amoroso desiderato, il cavaliere vivrà l’amore come joi, che è pienezza vitale e felicità, ma in questo modo si annullerebbe la distanza indispensabile fra l’amante e l’amata per l’affinamento cortese. Se invece la dama si atteggia con distaccato orgoglio, si incorre nel rischio di distruggere la tensione che lega lei e l’amante, che vivrà l’esperienza amorosa come dolor o come cossir, cioè la meditazione sull’abbandono. Proseguendo, la passione amorosa che lega la dama e il cavaliere è esclusiva, davanti ad essa tutto si svaluta e perde di significato, come già avveniva nell’amore elegiaco latino. La relazione amorosa cortese non nasce all’interno del matrimonio, anche perché al tempo si configurava più come legame politico ed economico che sentimentale. Allora nella logica cortese l’amore nasce all’interno di relazioni illecite, nate fra cavalieri e donne già sposate, a cui essi offrono umilmente il loro servitium e la loro devozione, senza pretendere o aspettarsi qualcosa in cambio. Com’è ovvio, l’amore per una donna già sposata poteva comportare rischi notevoli, soprattutto se si fossero diffuse delle maldicenze ad opera dei malparlieri. Da qui derivano altri topoi dell’amor cortese: la necessità di tenere segreta la relazione, parlare poco dell’amata e celare il suo nome, tenuto nascosto sotto il titolo di Midons.
Qui suum igitur cupit amorem diu retinere illaesum, eum sibi maxime praecavere oportet, ut amor extra suos terminos nemini propalatur, sed omnibus reservetur occultus141.
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(Andre Cappellano, De amore, II, 25)
[Chi vuole il loro amore mantenere inn istato, si dè molto guardare che ìl suo amore non manifesti a più che debbia, anzi lo deve tenere celato a tutti]
L’amor cortese, poi, ha una forte componente erotica e terrena, con accese note sensuali. Tuttavia, l’effettivo possesso dell’amata si raggiunge molto raramente. Per tale ragione il più delle volte l’amor cortese è inappagato, e quindi infelice. Parallelamente, però, l’esperienza amorosa non è solo ed esclusivamente terrena, dal momento che essa è intesa anche come perfezionamento dell’animo e principio di elevazione morale. Lo stesso Cappellano sottolinea come le azioni turpi e disoneste portino l’amore alla sua conclusione. Insomma, solo chi ha un cuore cortese può amare, e parallelamente la stessa esperienza amorosa è un percorso formativo che ingentilisce l’animo e conduce al raggiungimento della fin’ amor, cioè la condizione di armonia e bellezza interiore che il cavaliere ottiene dopo quel percorso formativo che è l’esperienza amorosa.
Effectus autem amoris hic est, quia verus amator nulla posset avaritia offuscari, amor horridum et incultum omni facit formositate pollere, infimos natu etiam morum novit nobilitate ditare, superbos quoque solet humilitate beare, obsequia cunctis amorosus multa consuevit decenter parare. O, quam mira res est amor, qui tantis facit hominem fulgere virtutibus tantisque docet quemlibet bonis moribus abundare!142.
(Andrea Cappellano, De amore, I, 8)
[Questo è l’efetto dell’amore, che quelli ch’è diritto amante non può essere avaro, e quelli ch’è aspro e no adorno e quelli ch’è di vil gente, sì ‘l fa ben costumato; e superbi fa umili e l’amoroso molti servigi fae con umiltade ad altrui. Molto è gran cosa l’amore, che fa l’uomo così vertudioso e ben costumato]
La forte ambivalenza fra il desiderio sensuale inappagato e la tensione spirituale e nobilitante su cui l’amor cortese si costruisce si definisce mezura, misura, una delle virtù cortesi di cui il cavaliere è simbolo e che rappresenta la capacità di mantenersi in equilibrio. Equilibrio, insomma, ma tra cosa? Tra la joi derivante dalla concessione di merce dell’amata e il dolor che si prova quando lei è orgogliosa e distaccata; tra un desiderio tutto carnale per una donna già coniugata che probabilmente non si concederà e la conseguente consapevolezza della propria condanna all’inappagamento; tra la componente erotica e sensuale, che volge alla dimensione terrena e la spinta nobilitante di quel percorso formativo che è l’amor cortese, che può portare ad un’elevazione spirituale.
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Quindi, queste sono le nuove contraddizioni, inevitabili, su cui si erge l’elegia della stagione cortese e medievale. Nonostante i paradossi della tradizione classica fossero stati risolti da Ovidio con la didascalica dell’Ars e, soprattutto, dei Remedia, sembra che il genere non sappia vivere senza di essi, e lo stesso Ovidio, con la sua ultima produzione, era ricaduto nella trappola di un’elegia di gusto greco, dove il dolore e la sofferenza erano generalizzati e non necessariamente legati al mal d’amore, dimostrando così che il genere era stato solo apparentemente superato. E, allo stesso modo, il non avvenuto sorpasso di tali ambivalenze ritorna, seppur in forma diversa, anche nell’elegia di Cappellano, come specchio della frizione fra le dimensioni terrena e spirituale dell’amore cortese e come riflesso dei moti, dei contrasti interiori che l’amante infelice vive nel profondo dell’animo.