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L’elegia, il mos maiorum e il legame con la società

2.5 I Remedia amoris

2.5.3 Il superamento dell’elegia come genere letterario

2.5.3.1 L’elegia, il mos maiorum e il legame con la società

La poesia elegiaca imponeva al poeta di dedicarsi all’otium desidiosum, alle piacevolezze d’amore, ad una vita di nequitia ed emarginazione, spingendolo a rinunciare al proprio ruolo civile e politico. Tutto ciò cozzava orgogliosamente con i valori del mos maiorum ed esprimeva la speranza dell’elegia di creare nuovi principi che, tuttavia, non vengono trovati: proprio in questa incapacità di fondazione di modelli autonomi e di una nuova etica sta la prima delle contraddizioni interne al genere elegiaco.

Vediamo così il paradosso dell’elegia preovidiana: una poesia che si vuole generata dal reale, condizionata da Amore, dalla donna, dalle vicende della relazione; e che finisce per praticare, per strade diverse, un rifiuto quasi sistematico del reale medesimo, una fuga verso il mito o la creatività fantastica39.

Ovidio scioglie questo primo paradosso promuovendo una poesia elegiaca non più avulsa, emarginata rispetto alla realtà, ma unita alle tradizioni culturali, sociali, ideologiche ed istituzionali del principato augusteo.

Negli anni della produzione erotica ovidiana la Roma di Augusto si era fatta sostenitrice di un’ideologia meno austera, più tollerante ed inclusiva. L’otium poi non era più percepito come mera esclusione dalla realtà sociale, ma era diventato uno svago complementare all’impegno civile e aveva il diritto di godere di un proprio spazio. Infatti, il civis che con Augusto aveva compiuto il proprio dovere di soldato poteva beneficiare delle piacevolezze della relaxatio animi o della vita mondana e galante, degli agi, della

39 M.LABATE, L’arte di farsi amare: modelli culturali e progetto didascalico nell’elegia ovidiana, Pisa, Giardini, 1984, p. 42.

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ricchezza e dello splendore urbano e monumentale di una Roma ormai al centro del mondo.

Gli Amores, l’Ars amatoria e i Remedia amoris sono attraversati da relazioni frivole e galanti che trovano terreno fertile nelle feste e negli spettacoli organizzati per celebrare i tronfi delle campagne vittoriose di Augusto e nella varietà di luoghi propizi agli incontri in cui gli amanti mettono in scena i corteggiamenti come i portici, il foro o i teatri che, descritti all’interno delle opere ovidiane, sono esaltazione dello sfarzo urbanistico che Roma vive sotto il principato di Augusto. Insomma, Ovidio con la sua elegia libera e anticonformista si inserisce perfettamente all’interno del contesto politico, istituzionale e culturale augusteo e si fa interprete della società del tempo, coniugando insieme l’ufficialità dell’universo urbano e la frivolezza del mondo galante, superando così quel contrasto fra la sfera civile e la sfera privata di cui l’elegia preovidiana si nutriva e la condizione di emarginazione dalla società che il poeta-amante riservava per sé.

Ovidio riesce a fondere insieme la dimensione pubblica con quella galante anche per mezzo di un uso disinvolto dei moduli e dei principi dell’ideologia augustea ed imperiale. È interessante notare, allora, come il codice che regola le relazioni del mondo galante è lo stesso codice secondo cui la Roma imperiale governava i suoi territori. Ciò, chiaramente, ha poi riflesso nei due serbatoi tematici e metaforici fondamentali dell’elegia: la militia e il servitium amoris.

Il disegno ideologico su cui si basava l’imperialismo romano ruotava attorno ai concetti di clementia e fides, che garantivano solidità alle conquiste territoriali e, parallelamente, la base per ulteriori espansioni. Inoltre, la fides populi Romani doveva salvaguardare le condizioni di societas e amicitia assicurate ai popoli sottomessi, impedendo così che gli alleati, una volta diventati fedeli a Roma, non subissero danni o minacce da parte di altri nemici. Dalla fedeltà che i popoli sottomessi prestavano dipendevano la gloria e la dignitas di Roma, che si dimostrava una forza unita, stabile e accentratrice. Ora, l’elegia ovidiana più delle precedenti assimila il dominio militare, politico e culturale della Roma imperiale al dominio che Amore ha sull’amante elegiaco: le conquiste di Roma sono le stesse che Amore compie nei confronti dei suoi schiavi ed entrambi, sia i popoli sottomessi che i prigionieri d’amore, per necessità si sottomettono alle regole di coloro che li soggiogano, rispettivamente per godere dei diritti e della protezione di Roma e per il sadomasochistico e distorto piacere a cui l’amante, bersaglio delle frecce del suo padrone, non riesce a sottrarsi.

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Amore è dio capriccioso, instabile più dell’aria agitata dalle sue ali, non è capace di fides che non sia ambigua: eppure il poeta elegiaco non sa farne a meno, non può vivere libero.

La sottomissione ad Amore assimilata all’assoggettamento dei popoli all’impero romano assume così i tratti di della accettazione consapevole di un’esperienza e di una passione che alterna gioie e successi a dolori e sconfitte.

Come già si anticipava, l’assimilazione del dominio di Marte a quello di Amore ha delle conseguenze nel campo metaforico della militia amoris, per il quale si riconoscono due poli di aggregazione. Il primo fa capo all’immaginario della guerra che Amore, faretrato e violento, muove nei confronti dell’amante: l’esperienza amorosa è quindi dolorosa e devastante. Il secondo polo di aggregazione, invece, si basa sull’idea che la guerra contrapponga non più Amore e l’amante, ma l’amata (o un rivale in amore) e colui che ama: è una guerra di litigi, fughe, delusioni ed effimere conquiste. Nell’elegia latina il legame di Amore e Marte viene sviluppato come mai prima, proprio perché l’ideologia imperiale promuoveva l’idea di un popolo fatto di cittadini-soldati, nervo di quei formidabili eserciti che avevano portato Roma ad essere il centro del mondo. Insomma, la Roma imperiale era una naturale produttrice di metafore belliche, che vedono grande impiego proprio nel genere letterario dell’elegia.

Tuttavia, anche nell’ambito della militia amoris Ovidio è un innovatore. Se i poeti elegiaci a lui precedenti impiegavano le metafore militari in senso antifrastico, a sottolineare l’idea che essere “soldati d’Amore” equivaleva a non essere “soldati di Roma” (coerentemente con il rifiuto dei doveri di civis proclamato dall’elegia canonica), con Ovidio l’immaginario bellico non solo è più ricco ed espressivo, ma la dimensione antifrastica è assolutamente superata. La metafora militare diventa ancora una volta un modo per dimostrare il superamento della tensione fra la sfera pubblica e la sfera privata, attraverso la messa in discussione di una delle caratteristiche primarie dell’amante elegiaco tradizionale: la nequitia. Una vita completamente dedita all’amore, fatta di inettitudine, esclusione e pigrizia portava con sé il ripudio dei doveri del civis romanus e una moltitudine di non valori, come inertia, ignavia, mollities, ovviamente in contrasto con il mos maiorum e con l’ideologia del principato augusteo. Nell’elegia ovidiana, però, la coniugazione della dimensione erotica e di quella bellica non ha nulla di antifrastico o parodico. E visto che la guerra è capace di sviluppare nei soldati qualità personali sia fisiche che mentali, la stessa cosa può fare Amore, che alla guerra è assimilato senza nessuna ironia. È questa sincera, reale e credibile sovrapposizione della sfera amorosa

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alla sfera bellica che porta i non valori dell’elegia tradizionale ad essere trasformati in principi coerenti e perfettamente integrati con le esigenze della guerra e con il contesto culturale, sociale e politico della Roma di Augusto.

Chi ha detto che l’amore è per uomini fiacchi, insofferenti di impegni e disagi? È invece, come la vita militare, cosa adatta ai giovani soltanto, capaci di affrontare coraggiosamente interminabili viaggi al seguito della fanciulla: scalate, fiumi gonfi di pioggia, neve, traversate invernali. Ci vuole resistenza per sopportare la notte e le intemperie nelle veglie dell’addiaccio; ci vuole un corpo non fiacco per le azioni di forza (una porta da abbattere); ci vuole perizia e temerarietà per le sortite notturne, attraverso nemici dormienti; bisogna superare plotoni di sentinelle40.

Insomma, l’accusa di nequitia rivolta agli amanti e rivendicata dai poeti elegiaci preovidiani diventa così ingiustificata e l’amore assume un compito vicino e complementare a quello del servizio militare. L’amore con Ovidio, allora, non è più un universo separato, che nega al poeta l’impegno civile, politico e militare e, conseguentemente, non ha più la pretesa di riformulare l’intero universo etico dell’uomo: l’amore ora riconosce lo spazio che gli viene concesso, senza aver più la presunzione di configurarsi come un’esperienza totalizzante. Questa innovazione è presentata da Ovidio in modo non antifrastico, ma certamente giocoso. Ed è proprio questa leggerezza che contiene in sé un’importante proposta culturale e letteraria: l’elegia non si propone più come uno spazio alternativo, chiuso, escluso ed esclusivo, autosufficiente e autoreferenziale, ma diventa una realtà complementare, conciliato e sovrapponibile a tutti gli altri settori della vita.

La conciliazione dell’elegia con il resto della realtà coinvolge anche l’ambito del servitium amoris, che più di tutti esprimeva la condizione di degradante sottomissione dell’amante e il senso di esclusione e chiusura rispetto alla società. Nel servitium amoris è compreso quell’immaginario secondo il quale l’amante è schiavo dell’amore e della domina amata, mettendo a frutto un repertorio linguistico già ricco ai tempi dell’impero, fondato sul lavoro servile. Nell’elegia tradizionale dichiararsi schiavi dell’amore o dell’amata rappresentava una forte presa di posizione, perché ciò si traduceva in una provocatoria e dichiarata rinuncia alla propria condizione di libertà, tanto importante per la Roma imperiale.

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Così come è accaduto per la militia amoris, anche il raggruppamento metaforico del servitium nell’elegia ovidiana subisce una trasformazione che la porterà ad una sempre maggiore apertura ed integrazione con l’ideologia e la cultura del tempo. L’operazione ovidiana prende le mosse già a partire dagli Amores, dove il collegamento con la nequitia inizia ad assottigliarsi sensibilmente. Ma è nelle due opere elegiache didascaliche che il concetto di servitium amoris viene rivoluzionato, non più inteso solo ed esclusivamente come masochistica condizione di prigionia e sottomissione. Infatti, nell’Ars amatoria il servitium diventa un mezzo per conquistare l’amore e dar sfogo alla capacità artistica dell’amante, mentre nei Remedia amoris la sottomissione esagerata è un modo per enfatizzare la noia e la monotonia del sentimento amoroso, soluzione fondamentale per potersene liberare. Superata l’idea che il servitium possa configurarsi solo come uno stato di servilismo e triste assoggettamento, Ovidio poi compie un’ulteriore operazione: il servitium amoris viene perfettamente integrato con i diversi settori che, insieme, costituiscono la vita civile. Infatti, eliminati nel servitium amoris i tratti di servilismo esagerato, vengono mantenuti quelli che, come la kolakeia o l’amicitia, si configurano come comportamenti necessari all’arte di piacere e dell’inserimento nella società. Per esempio, un’occasione molto importante all’epoca era quella del viaggio ed offrire la propria compagnia a qualcuno, soprattutto se questi era un uomo di potere, era significativo in termini di dovere e di condivisione di rischi. Gli stessi Remedia amoris consigliano, tra i vari rimedi contro l’amore, di intraprendere dei viaggi per allontanarsi dai luoghi frequentati dall’amata, di evitare la solitudine e trovare conforto nell’amicizia: tutti segnali di rinuncia di un servilismo eccessivo e di apertura verso quelle caratteristiche del servitium amoris che sono utili all’inserimento in società.

Esiste, insomma, una profonda omogeneità fra la servitù amorosa e le tendenze e le necessità culturali del vivere (ora) in una società di corte41.

Insomma, l’elegia con Ovidio deraglia dai suoi binari tradizionali di opposizione ai principi della morale quiritaria e della società augustea, sanando quella contraddizione che voleva vedere l’elegia come fondatrice di valori nuovi rispetto al mos maiorum, creazione che di fatto non avviene. Con i suoi testi libertini, galanti ed anticonformisti, con le sue ambientazioni mondane, con l’integrazione dei moduli della propaganda augustea nella natura dell’elegia e con la progressiva apertura del genere verso altri

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settori, Ovidio risulta essere un grande interprete della società imperiale, e non emarginato o escluso da essa come poteva avvenire per i suoi predecessori. In questo modo, l’elegia ovidiana inizia a vedere risolto il suo primo paradosso, basato sulla giustapposizione fra dimensione privata e galante e quella pubblica e civile. Integrando la seconda nella prima, l’amante-poeta inizia a vedere un primo spiraglio di apertura in quella torre d’avorio nella quale si era chiuso polemicamente ed orgogliosamente.