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ANDREA CAPPELLANO E GUITTONE D’AREZZO: IL RECUPERO DELL’ELEGIA NEL MEDIOEVO

4. Il Trattato d’amore: l’opera e le influenze letterarie

4.2 La vista e la gnoseologia d’amore

Già Cappellano in apertura del libro primo introduce la fisiologia amorosa, che corrisponde al processo di innamoramento, in cui la vista ha un ruolo decisivo, perché è la visione della bellezza della donna che innesca l’esperienza amorosa. Quando la passione ha origine, l’innamorato inizia ad immaginare e pensare all’amata. Il pensiero ossessivo ed insistente della forma, che è ciò che Cappellano chiama immoderata cogitatio, scende nel cuore e suscita emozioni e piacere nell’innamorato, ignaro del fatto che sta andando incontro alla morte.

Come si anticipava, all’interno del Trattato d’amore vengono recuperate le stesse dinamiche fisiologiche amorose già teorizzate nel De amore e inserite da Guittone nel sonetto ottavo Lo porporigno colore de l’ale. In più, il sonetto quarto Amor dogliosa morte si po' dire propone una para-etimologia di Amore la quale, come quella che Cappellano aveva avanzato nel libro primo, sottintende la componente violenta, cacciatrice e mortale di Amore.

Amor est passio quedam innata procedens ex visione et immoderata cogitatione formae alterius sexus, ob quam aliquis super omnia cupit alterius potiri amplexibus et omnia de utriusque voluntate in ipsius amplexu amoris praecepta compleri160.

(Andrea Cappellano, De amore, I, 3)

[Amore si è una passione naturale, la quale si muove per veduta o per grandissimo pensiero di persona ch’abia altra natura, per la quale cosa alcuno desidera d’averla sovre ogne altra cosa: ciò che ll’amore demanda per lo volere d’ambedui]

Pascion di morte la Scriptura spone, unde dico mortal en cui si pone, e’ ‘n mortal si vede condicïone per dexiderio d’un ardor ferale disceso de essa pascïon di morte dentro dal core, in de l’alma nata, ‘maginando pensosamente forte la forma qual sia a lui atalentata, che consuma, ardendo, la ria sorte, morte nel viso avendo figurata161.

(Guittone d’Arezzo, Trattato d’amore VIII, 4-14)

Lo stesso Ovidio nei Remedia amoris aveva descritto Amore come un principio aggressivo e pericoloso. Tuttavia, nonostante i Remedia si ponessero l’obiettivo di

160 A.CAPPELLANO, De amore, pp. 6-7.

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contrastare e sconfiggere l’amore infelice di matrice elegiaca, essi offrono un sistema di precetti medici assolutamente privo di una base filosofica o scientifica. In altre parole, Ovidio proponeva una teoria erotica fatta di rimedi pratici, tratti dalla propria esperienza quotidiana e personale, che però non erano supportati da nessun fondamento gnoseologico o scientifico, proprio a causa della convinzione dell’elegia latina di essere autosufficiente, completa ed avulsa da qualsiasi altra esperienza che non fosse l’amore. Solo in seguito alle discussioni medievali sulla natura di Amore si è sentita la necessità di combattere la brutalità distruttiva del sentimento amoroso deviato ed infelice a partire da più solide basi scientifiche, filosofiche e conoscitive. Con il Medioevo, allora, la confutazione dell’amore e la guarigione da esso passeranno inevitabilmente attraverso la conoscenza di ciò che lo determina: il nome e la natura. Per questa ragione nell’elegia medievale tanta importanza assumono le discussioni sulla definizione, sull’essenza, sul processo di nascita di Amore, perché solo ciò che è stato indagato a fondo e conosciuto nella sua identità e nelle sue manifestazioni potrà essere veramente sconfitto. Non sarà un caso, allora, che Guittone riprenda la definizione e le dinamiche della fisiologia amorosa codificate da Cappellano: chiunque volesse parlare di Amore in termini adeguati nel Medioevo doveva necessariamente passare attraverso le basi filosofico-gnoseologiche poste in nuce da Cappellano.

Insomma, come per Cappellano così per Guittone, l’innamoramento è innescato dalla visio, ossia dalla vista. Rispetto all’autore del De amore, però, Guittone compie un passo in più. Cappellano aveva sì dato una prima determinazione ad Amore, ma l’intento principale della sua opera non era offrire una definizione del sentimento, ma comporre un manuale che permettesse a Gualtieri di trovare risposta ai suoi quesiti in materia per permettergli di dirigere i freni della passione. Lo scopo di Guittone, invece, è ben diverso. L’ambizione della corona guittoniana è proprio quella «di far conoscere la reale essenza del falso amore (in quanto amor carnalis) di contro alla vera natura dell’amore divino, l’amor spiritualis»162. Far conoscere, dunque.

Così nell’elegia medievale si assiste ad una trasformazione fondamentale: quella che fino all’altezza di Ovidio era stata una teoria erotica diventa adesso una teoria erotica e, soprattutto, conoscitiva di Amore, portando l’elegia ad una prima (ma con Guittone – si

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vedrà – non completamente riuscita) apertura verso le componenti filosofico-gnoseologiche.

Sulla scia delle teorie conoscitive di derivazione arabo-aristotelica diffuse al tempo, sia l’amore che la conoscenza hanno origine dalla vista. Quindi gli uomini amano nella stessa maniera in cui conoscono. Per questo la novità, o l’ambizione, filosofico-conoscitiva del Trattato d’amore è continuamente ribadita nell’equazione vedere = conoscere, nell’impiego di parole-chiave ricorrenti legate alle componenti visiva e conoscitiva e, soprattutto, nella parola-cardine della corona guittoniana, dalla quale l’autore parte per dar vita alla propria gnoseologia d’amore: la figura.

4.3 La figura

Che nella tradizione cortese la fenomenologia amorosa abbia origine dalla visio corporalis della donna amata è ormai noto. Ciò su cui è importante riflettere, però, sono le implicazioni che tale concezione comporta. L’idea che l’innamoramento tragga origine dall’immagine dell’amata apre la strada, nella poesia d’amore, alla possibilità di allargamento della parola poetica ad altri campi legati, appunto, all’immagine. Guittone e i suoi seguaci, allora, parleranno d’amore non solo attraverso l’uso del lessico e delle metafore, ma anche per mezzo della visionarietà che deriva dall’inserimento delle immagini iconiche e figurative (o della loro descrizione) nel codice Escorialense. Sarà proprio questa compenetrazione fra parola poetica ed immagine a caratterizzare la sperimentazione poetica guittoniana del Trattato d’amore volta, oltre a cantare d’amore, a svelarne la natura, che ora si può conoscere perché, grazie alle immagini figurative, è posta sub oculis ai lettori.

Per conoscere quale sia la natura di Amore saranno necessari due elementi: la definizione e la visualizzazione. All’interno del sonetto Lo porporigno colore de l’ale Guittone ricalca la più celebre descrizione di Cappellano, che presenta Amore come una passione innata e naturale che nasce dalla visione dell’amata e dal pensiero ossessivo che ne deriva. Definito Amore a livello teorico, per poterlo cogliere a fondo sarà necessario vederlo. Proprio per l’importanza che la vista assume nelle teorie della conoscenza di matrice araba e aristotelica diffuse al tempo, nel Trattato d’amore si può riconoscere una forte tendenza alla visualizzazione della figura o immagine di Amore.

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Nella corona guittoniana il concetto di figura rinvia a due primi significati distinti: l’immagine intesa come apparenza esteriore percepibile dalla vista e l’immagine come rappresentazione personificata o metaforica di un concetto astratto.

Nel primo caso, la potenza visualizzatrice della poesia guittoniana si esprime proprio nella particolarità del manoscritto che tramanda il Trattato d’amore, l’Escorialense, che è un codice figurato. I testi guittoniani, infatti, non solo sono preceduti dall’apparato testuale delle rubriche, che ne riassumono il contenuto, ma sono accompagnati dalle miniature – effettivamente dipinte o sostituite dalle istruzioni che il miniatore avrebbe dovuto seguire nella realizzazione dell’immagine – che raffigurano le fattezze di Amore secondo l’iconografia della tradizione e la prosopopea ovidiana. Tali figurazioni di Amore conferiscono al ciclo la fisionomia della poesia per pittura163, funzionale agli intenti pedagogici e moralizzanti dell’opera.

Il secondo significato attribuito al concetto di figura è ciò che nel Trattato d’amore spinge Guittone a compiere un’operazione di personificazione allegorica dell’astratto. In altre parole, all’interno della corona si assiste ad una concretizzazione di Amore e della fenomenologia dell’animo dell’amante, che Guittone realizza per mezzo di alcuni espedienti. Innanzitutto, i sonetti sono legati dal filo conduttore del vezer, il vedere, che prende forma grazie al ricorso al lessico della vista e all’uso dei verba videndi – come «guarda» o «vei» (Trattato d’amore I, 1 e 9), «veduto» e «veder» (Trattato d’amore III, 1 e 3), «isguardo» (Trattato d’amore X, 6) o «sguarda» e «occhi» – volti a suggerire, appunto, la nuova visibilità di un concetto astratto come la passione amorosa:

[E]sso meraviglioso guai’ ch’e’ dico se mostra cieco: è cieco lo su’ stato, sí cum’ uom che non vede et è orbato e non conosce da[l] loglio lo spico, […]164

(Guittone d’Arezzo, Trattato d’amore VII, 1-4)

Ma soprattutto è il concetto stesso di figura ad essere centrale e necessario all’interno di questo processo di concretizzazione dell’astratto. La parola-chiave figura, oltre alle due specificazioni di cui si è già trattato, nasconde un ulteriore valore polisemico. Infatti, la figura indica anche ciò che è

163 G. D’AREZZO, Del carnale amore: la corona di sonetti del codice Escorialense, p. 25.

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letteralmente riferibile agli attributi, alle fattezze visibili di Amore, metaforicamente rinviante alla psico-fenomenologia dell’innamoramento (l’inferno fisico delle sofferenze dell’amante) e simbolicamente indicante il polo negativo del dissidio tra Bene e Male (l’inferno spirituale dell’anima recidiva condannata ai tormenti eterni)165.

Ora, quali sono le operazioni che Guittone compie sui piani letterale, metaforico e simbolico?

«Le fattezze visibili di Amore»166 sono le caratteristiche fisiche che Amore ha nella sua iconografia. Sul piano letterale, Guittone rende visibile Amore costruendo la sua prosopopea, ovvero la personificazione, frutto di suggestioni sia di derivazione ovidiana – come la fanciullezza, la nudità, la cecità o il fatto di essere dotato di ali ed armato – che medievale, come la presenza di artigli e la somiglianza con gli uccelli rapaci. A causa di questo suo aspetto, Amore viene spesso avvicinato alle due creature leggendarie e spaventose che condividono la sua stessa natura crudele: il grifone e la sirena. Il grifone è la fusione mostruosa di un leone feroce e di un volatile predatore, considerato nel Medioevo come una personificazione del diavolo, che con le sue grinfie assale e distrugge i peccatori. La sirena, allo stesso modo, con le sue fattezze per metà umane e per metà rapaci, era una creatura ingannatrice capace di far naufragare nel peccato chiunque ascoltasse le sue lusinghe.

Insomma, per mezzo della prosopopea e grazie alle miniature che corredano il codice Escorialense, Guittone pone sub oculis la figura di Amore e, parallelamente, suggerisce che la sua vera natura è quella violenta ed aggressiva di un esercito in guerra, quella mortifera di un rapace che caccia la sua preda e quella peccaminosa ed ingannevole delle sirene.

A questo punto Guittone agisce sui piani metaforico e simbolico allo scopo di rendere visibili le dinamiche psico-fenomenologiche che agiscono nel processo di innamoramento e i tormenti eterni a cui l’anima che cede all’amore-passione sarà condannata nell’aldilà. Dal momento che ogni attributo di Amore provoca un effetto sulla mente, sul corpo o sull’anima dell’innamorato, è proprio la prosopopea del sentimento che contribuisce a rendere visibili le conseguenze che Amore ha nella fisiologia umana e nello spirito. Allora, le ali di Amore, simbolo della sua volubilità e del suo animo voglioso, ingabbiano l’innamorato nelle trame di un desiderio peccaminoso, sempre

165 G. D’AREZZO, Del carnale amore: la corona di sonetti del codice Escorialense, p. 36.

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crescente ed insaziabile. Le armi di cui è dotato lacerano la carne con ferite mortali e tormentano il cuore. E ancora, il veleno nascosto nella faretra priva l’uomo di ogni virtù, guasta tutto l’essere e condanna l’anima alla sofferenza eterna dell’Inferno. Infine, la passione carnale, alata e dalle zampe uncinate, a causa del suo aspetto si confonde con i «tanti diavoli e diavoletti dell’immaginario e dell’iconografia medievale»167 e, come il Diavolo, conduce all’assoggettamento della volontà umana al Male, nella cui morsa tentatrice l’innamorato resta prigioniero:

[…] trade certo ogn’amatore, quando, retinendol, a mort’ el mena per luxing[h]e d’algun piacer tutore. E nullo è più mortal venen né pena d’ogni loxinga, che l’om tien di fuore, né ha[n] li amanti più crudel catena168.

(Guittone d’Arezzo, Trattato d’amore XII, 9-14)

Resi visibili gli attributi di Amore, le dinamiche psico-fisiologiche dell’innamorato e il Male che deriva dalla scelta di abbandonarsi ad un amore carnale e svelata la sua natura ingannatrice, peccaminosa ed infernale, Guittone si serve della conoscenza acquisita in materia per costruire, da un lato, la condanna della libido cortese e, dall’altro, la celebrazione dell’amor spiritualis, che è l’unico vero.

Per costruire la condanna dell’amor cortese, per ammonire i lettori e colpire il loro animo, Guittone prende spunto dalla letteratura religiosa, agiografica e omiletica e dalla retorica giuridica. L’intento pedagogico e moralizzatore del Trattato d’amore è ispirato all’impostazione suasoria dei sermoni e all’esemplarità delle narrazioni delle vite dei santi, volti ad infondere comportamenti giusti. Ma se da un lato il Trattato d’amore vuole guidare verso una corretta condotta di vita per mezzo dell’ispirazione omiletica ed agiografica, dall’altro si riallaccia alla prosa giuridica e alla retorica del tribunale per denunciare la pericolosità e la peccaminosità di Amore, trattato come un criminale. L’influenza della predicazione emerge, per esempio, nelle frequenti condanne dei piaceri della carne, contrapposti allo spirito, che recuperano la dialettica tra gli slanci terreni e le aspirazioni nobilitanti e celesti tipica della letteratura religiosa. Ancora, il sonetto quinto, La forma d’es[s]a morte dolorosa, che il primo sonetto ad illustrare gli effetti devastanti

167 G. D’AREZZO, Del carnale amore: la corona di sonetti del codice Escorialense, p. 34.

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di Amore, ha il tono severo della predica religiosa, potenziato ulteriormente dal linguaggio aspro e di invettiva. Gli stessi exempla inseriti nel Trattato d’amore, quello profano di Aristotele e quello biblico di Salomone, erano fra i più impiegati all’interno della letteratura religiosa, e lo stesso si può affermare per la metafora della zizzania e del grano, di matrice evangelica, che allude ala capacità di discernere il Bene dal Male:

[E]sso meraviglioso guai’ ch’e’ dico se mostra cieco: è cieco lo su’ stato, sí cum’ uom che non vede et è orbato e non conosce da[l] loglio lo spico169.

(Guittone d’Arezzo, Trattato d’amore VII, 1-4)

Proseguendo, all’interno dei sonetti compaiono espliciti richiami alle Sacre Scritture. Ne Lo porporigno colore de l’ale, ad esempio, viene citata la Lettera di Giacomo 1, 14-15, in cui viene ribadito che il vero amore è in Dio e che l’amore carnale è passione mortale. Per quanto concerne la sfera giuridica, già la didascalica dei Remedia amoris si era aperta alla sua influenza, al punto tale che nell’opera ovidiana si possono individuare termini propri della difesa e dell’accusa e della contesa legale. All’interno del Trattato d’amore non compare il lessico tecnico giuridico, ma in generale si può riconoscere nei sonetti una costruzione sintattico-retorica coesa, volta alla persuasione e al sostegno della tesi della peccaminosità di Amore. Per sottolineare la valenza autoritativa di ciò che sta sostenendo, poi, Guittone in alcuni casi ricorre all’uso della prima persona singolare, e lo stesso vale per l’impiego delle formule logico-sintattiche o assertivo-conclusive su cui la condanna guittoniana si incardina.

Rientra nel tentativo guittoniano di colpire i lettori il ricorso all’immaginario elegiaco di matrice classica, di cui si è già discusso, e che, proprio nella corona, sembra vivere di un’energia nuova, cupa e apocalittica, forse proprio in virtù di questa volontà moralizzatrice e persuasiva, a tratti intimidatoria, di dissuadere i lettori dal cadere nel peccato dell’amore terreno. Guittone riesce a dare una nuova, spaventosa, valenza alle immagini e alle metafore elegiache perché egli è quel poeta che più di tutti potenzia il binomio di ἔρος-θάνατος, che adesso conosce un tale potere accentratore da assorbire in sé gli altri due poli metaforici di ἔρος-πόλεμος ed ἔρος-νόσος.

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