• Non ci sono risultati.

L’iconografia di Amore e l’interpretatio nominis

ANDREA CAPPELLANO E GUITTONE D’AREZZO: IL RECUPERO DELL’ELEGIA NEL MEDIOEVO

2. Ovidio, Cappellano e Guittone: un’ottica di continuità

2.5 L’iconografia di Amore e l’interpretatio nominis

Chiude la catena che lega le tre opere l’iconografia di Amore. Rappresentato anche al di fuori dei Remedia come un essere in carne ed ossa, Cupido è un puer privo di abiti e vista, con le ali rosse e faretrato e dotato di una torcia funeraria e nuziale, che riassume simbolicamente la vicinanza di ἔρος a θάνατος.

Legerat huius Amor titulum nomenque libelli: "Bella mihi, uideo, bella parantur" ait. […]

81A.CAPPELLANO, De amore, pp. 294-295.

77

Nec te, blande puer, nec nostras prodimus artes, Nec noua praeteritum Musa retexit opus. […]

Et puer es, nec te quicquam nisi ludere oportet: Lude; decent annos mollia regna tuos83. (Ovidio, Remedia amoris, 1-24)

[Amore aveva letto il titolo di questo libriccino e c’era anche il suo nome: “guerra – disse – lo vedo: mi si muove guerra”.

[…]

Non tradisco te, seducente fanciullo, né l’arte che è mia,

e una nuova Musa non ha disfatto la trama del mio precedente lavoro. […]

Sei un fanciullo: nulla se non il gioco è a tua misura: gioca; ai tuoi anni di addice un governo dolce]

Di nuovo:

Otia si tollas, periere Cupidinis arcus Contemptaeque iacent et sine luce faces84. (Ovidio, Remedia amoris, 139-140)

[Se scacci l’ozio, non ha più forza l’arco di Cupido, e la sua torcia giace abbandonata e spenta]

Nella corona di sonetti guittoniani i dettagli iconografici di Amore sono tutti riassunti nel sonetto terzo Poi ch’ai veduto Amor cum’ si ritrae per essere poi sviluppati singolarmente nei testi successivi, allo scopo di mettere in risalto la perniciosità di tutti gli elementi costitutivi di Amore. Allora, Cupido è un adolescente perché il suo aspetto giovanile è posto in relazione al comportamento degli innamorati, che sono incoscienti e si ribellano alla ragione e, come Cupido, non possiedono costanza nei comportamenti e nel giudizio. Egli è privo di indumenti, a simboleggiare la privazione «d’ogni virtù e d’ogni diritura, | d’allegraç’ e di gioi a maravellia» (Trattato d’amore VI, 3-4) ed è privo di vista perché è caeca libido che a sua volta rende cieca la sua vittima, che recupererà dignità e cognizione di causa solo quando riaprirà gli occhi, cioè quando si pentirà dell’errore commesso. «Lo porporigno colore de l’ale» rimanda sia alla sfera patologico-fisica, per la vicinanza del colore rosso delle ali a quello del sangue, che quella ignea delle fiamme: ciò sottolinea di nuovo la pericolosità di un desiderio carnale che come la malattia contagia e come il fuoco consuma.

83 OVIDIO, Rimedi contro l’amore, pp. 72-75.

78

Lo porporigno colore de l’ale segna che ’l ditto guai’ sia passïone di tormenti e di dolor mortale, ché pur di porpora è ’l color penale. Pascion di morte la Scriptura spone, unde dico mortal en cui si pone; […]85

(Guittone d’Arezzo, Trattato d’amore VIII, 1-6)

In ultimo, la violenza della passione che colpisce gli innamorati e l’idea della battaglia che squassa i sentimenti e l’animo dell’innamorato sono rappresentati dalle tre armi di cui Amore è dotato: l’arco, le frecce e la torcia.

L’iconografia di Amore di matrice medievale, insomma, è estremamente vicina a quella di tradizione ovidiana. Solo una caratteristica che si può trovare nella rappresentazione di Cupido nel Medioevo è assente nella definizione classica: gli artigli. Contaminato dalla necessità di moralizzazione tipica del Medioevo, Amore personificato vede sottolineata la violenza della sua natura dalla presenza di grinfie, che lo rendono vicino ad un rapace. Questo dettaglio mette in risalto la duplice natura che Amore ha nel mondo cortese: da un lato si caratterizza per una forte componente terrena e sensuale, ma dall’altro ha un nuovo potere di innalzamento e nobilitazione, sconosciuto all’universo latino. Cappellano per primo avvicina Amore all’astore, uccello simbolo della cavalleria feudale e recuperato poi da Guittone a sottolineare, appunto, la pericolosità di un sentimento che, come il rapace, uccide le sue prede con le sue zampe unghiute.

Come si è già visto, lo scopo del De amore è insegnare a dirigere i freni della passione amorosa e, specificatamente nel libro terzo, insegnare a fuggire l’amore e “giamai ubidire alcuno suo comandamento” (De amore, III, 33). Parallelamente, anche il Trattato d’amore di Guittone, nonostante il titolo fuorviante, si pone in contrapposizione ad una particolare declinazione di amore, l’amore carnale, avviando un programma di moralizzazione volto a promuovere l’amor spiritualis, contrapposto a quello carnalis. A questo punto, un dato presente nell’elegia medievale e assente all’interno della trattazione erotico-didascalica ovidiana è l’etimologia della parola amore, perché la confutazione di Amore avviene sì per mezzo della conoscenza della sua natura, ma prima di tutto parte dalla sua determinazione. Il sonetto Lo porporigno colore de l’ale del Trattato d’amore ricalca indiscutibilmente la definizione di Amore offerta da Andrea

79

Cappellano. Amore, allora, è sia per Guittone che per Cappellano passio, cioè un desiderio, che nasce dalla vista della forma, cioè dell’immagine della donna dotata di bellezza, il quale cresce a dismisura e si alimenta a causa di un pensiero ossessivo: immoderata cogitatio.

Amor est passio quedam innata procedens ex visione et immoderata cogitatione formae alterius sexus, ob quam aliquis super omnia cupit alterius potiri amplexibus et omnia de utriusque voluntate in ipsius amplexu amoris praecepta compleri86.

(Andrea Cappellano, De amore, I, 3)

[Amore si è una passione naturale, la quale si muove per veduta o per grandissimo pensiero di persona ch’abia altra natura, per la quale cosa alcuno desidera d’averla sovre ogne altra cosa: ciò che ll’amore demanda per lo volere d’ambedui]

disceso de essa pascïon di morte dentro dal core, in de l’alma nata, ‘maginando pensosamente forte la forma qual sia a lui atalentata che consuma, ardendo, la ria sorte, morte nel viso avendo figurata87.

(Guittone d’Arezzo, Trattato d’amore VIII, 9-14)

Nello specifico, Andrea Cappellano presenta la para-etimologia di amore a partire dal verbo amo, cioè “prendere all’amo”, che rimanda sia all’aggressività di Amore, che come un pescatore cattura ed imprigiona le sue prede, che alla brama dell’innamorato che vuole conquistare l’amata.

Dicitur autem amor ab amo verbo, quod significat capere vel capi. Nam qui amat, captus est cupidinis vinculis aliumque desiderat suo capere hamo. Sicut enim piscator astutus suis conatur cibiculis attrahere pisces et ipsos sui hami capere unco, ita vero captus amore suis nititur alium attrahere blandimentis totisque nisibus instat duo diversa quodam incorporali vinculo corda unire vel unita semper coniucta servare88.

(Andrea Cappellano, De amore, I, 7)

[Amore è detto da “amo” verbo, il quale significa pigliare o essere preso, però che quelli ch’ama si è preso di catene d’amore e altrui vuole prendere col suo amo. Come il pescadore che con sua esca e con suo amo s’ingegna di prendere i pesci, e così è quelli ch’è preso d’amore: con sue arti si pena di trarre a ssè altriu, e mette tutta sia ossa di ffare di dui cuori uno, o, fatti, di mantenere in uno volere]

86 A.CAPPELLANO, De amore, pp. 6-7.

87 G. D’AREZZO, Del carnale amore: la corona di sonetti del codice Escorialense, p. 102.

80

Nel Trattato d’amore, invece, accanto alla parafrasi della para-etimologia di amore di Cappellano, Guittone inserisce una interpretatio nominis anche all’interno di Amor dogliosa morte si po' dire, in cui il sostantivo è scomposto in due parti, entrambe portatrici di significato.

Amor dogliosa morte si pò dire, quasi en nomo logica spoxicione; ch’egli è nome lo qual si pò partire en «a» e «mor», che son due divixione. E «mor» si pone morte a diffinire: lo nome, en volgara locucione, è con un «te»; l’«a» ven[e] da langire, e ’n latin[o] si scrive entergessione. Und’io l’appello e dritamente el nomo dal «mor» morte, da l’«a» guai’ merveglioso; e ben è certo da meravegliare,

che, guai porgendo Amor ta’, ciascun uomo ch’a lui s’è dato l’a per delic[i]oso,

bene en onta faendol consumare89.

(Guittone d’Arezzo, Trattato d’amore IV, 1-14)

Viene qui ribadita la sovrapposizione di Amore e Morte, grazie alla scomposizione di amore in «a! mor», ossia “ah, muore”, esclamazione di dolore che scaturisce da uno stato di sofferenza mortale. Allo stesso modo, anche al verso 12 la lezione «Amor ta’» richiama l’ambiguità della lezione «a morte» o «Amor te» del sonetto decimo.

Amor te, pegio che s’il fa signore, di varii guai e di matesse fere, per vano isguardo pascivo en core90.

(Guittone d’Arezzo, Trattato d’amore X, 4-6)

Come si vedrà successivamente, l’inserimento dell’interpretatio nominis di Amore e la definizione della sua natura sono le conseguenze dell’introduzione di una novità fondamentale nell’elegia medievale: la dimensione filosofica legata alla gnoseologia d’amore.

L’elegia di tradizione classica era avulsa dalla filosofia e nella produzione ovidiana solamente i Remedia amoris avevano introdotto, e in minima parte, una piccola

89 G. D’AREZZO, Del carnale amore: la corona di sonetti del codice Escorialense, p. 87.

81

componente filosofica, rappresentata dal potere curativo della diatriba. Il Medioevo, con la diffusione delle discussioni sulla natura del sentimento amoroso, sente la necessità di contrapporsi alle forme deviate di Amore costruendo le proprie interpretazioni a partire da una più solida base filosofica, utile a conoscere la vera natura del sentimento, svelarne le storture e le falsità e capire come liberarsene e guarire. La gnoseologia d’amore di matrice medievale partirà allora dall’interpretazione del nome e dalla figura.

3. Il De amore

Dopo aver analizzato in una prospettiva più ampia quali sono gli elementi che pongono il De amore e il Trattato d’amore all’interno del percorso di evoluzione dell’elegia che da Ovidio arriva alla tradizione medievale, ora si focalizzerà l’attenzione sulle singole opere con l’obiettivo di esaminarne nello specifico le caratteristiche e gli aspetti di novità.

Il De amore di Andrea Cappellano conosce un’enorme diffusione nell’Europa e soprattutto nell’Italia del Medioevo, al punto che ogni autore che voglia parlare d’amore deve fare i conti con esso. Tuttavia, nonostante il grande successo dell’opera, poco si sa dell’identità del suo autore e diverse sono le ipotesi avanzate nel corso degli anni. Tra i contributi più importanti si ricorda quello offerto da Pio Rajna91, che sulla base di riferimenti cronologici interni riteneva che Andrea Cappellano potesse essere, appunto, il cappellano di Maria di Champagne, contessa della corte di Troyes, una delle più raffinate e vivaci della Francia del tempo. Successivamente, il critico tedesco Kernein aveva rivisto i dati raccolti da Rajna ed era giunto ad una conclusione diversa. Kernein nell’articolo Alla ricerca di un autore: Andrea e il “De amore”92 sostiene che Cappellano fosse un funzionario, prima capellanus e poi promosso a cambellanus, non a Troyes, ma presso la corte di Parigi del re Filippo Augusto, fratellastro di Maria di Champagne. Conseguentemente, è probabile che il «Gautier» destinatario dell’opera non fosse un personaggio immaginario, ma un collega più giovane di Cappellano e, come lui, funzionario di corte. Se l’identità di Cappellano presenta delle difficoltà di definizione, anche la data di composizione è incerta, ma sulla base di alcuni riferimenti si può comunque iporizzare che il testo sia stato composto negli anni vicini al 1185.

91 P.RAJNA, Tre studi per la storia del libro di Andrea Cappellano, in Studi di Filologia Romanza V, 1891, pp. 193-265.

92 A.KERNEIN, Auf der Suche nach einem autor: Andreas, Verfasser von “De amore”, in

82

Per quanto concerne le fonti d’ispirazione dell’opera, il precedente letterario più illustre è certamente Ovidio con l’Ars amatoria e i Remedia amoris.

Dall’erotica didascalica ovidiana Cappellano eredita lo studio del fenomeno amoroso e la suddivisione della materia narrata in tre parti, che corrispondono ai tre libri di cui il De amore si compone: i libri primo e secondo si richiamano all’Ars ed insegnano, rispettivamente, ad acquisire l’amore e a conservarlo, mentre il libro terzo, ispirato ai Remedia amoris, insegna a liberarsene. Infine, l’influenza ovidiana emerge anche nelle frequenti citazioni ed espressioni dell’autore latino all’interno del trattato, «sempre piene di rispettosa e ammirata memoria»93 e non limitate alla sterile emulazione. Per esempio, il passo

[…] non habet unde suum paupertas pascat amorem94

. (Andrea Cappellano, De amore, I, 6)

[[…] perciò che povertà nonn à onde il notrichi]

è un calco del v. 749 dei Remedia amoris, che recita appunto «Non habet unde suum paupertas pascat amorem»95. Allo stesso modo, il v. 422 «A cane non magno saepe tenetur aper»96, spesso citato come proverbio nel Medioevo, ritorna nel De amore.

Videmus enim quandoque falcones de genere levium magnos fasianos et perdice sua detinere virtute; nam a cane non magno saepe tenetur aper97.

(Andrea Cappellano, De amore, I, 12)

[E talora sì vedemo il falcone laniero pigliare i gran fagiani e le pernice per sua possa, però che spesso aviene che piccolo cane prende gran porco]

Accanto ai Remedia amoris, riecheggiano all’interno del De amore passi tratti dalle altre opere ovidiane, come l’Ars amatoria, i Fasti o le Heroides.

Quid deceat, non videt ullus amans98. (Ovidio, Heroides, IV, 154)

Quia: “Quid deceat, non videt ullus amans”99.

93 A.CAPPELLANO, De amore, p. XVII.

94 Ivi, De amore, pp. 10-11.

95 OVIDIO, Rimedi contro l’amore, p. 120.

96 Ivi, p. 100.

97 A.CAPPELLANO, De amore, pp. 42-43.

98 OVIDIO, Eroidi, a cura di L. Paolicchi, Roma, Salerno Editrice, 2004, p. 120.

83

(Andrea Cappellano, De amore, I, 20)

[Perciò che niuno amante <vede> quel che ssi conviene]

Nel De amore, tuttavia, compaiono suggestioni di altri autori latini, non solo Ovidio. Si possono riconoscere echi di Orazio, Seneca, Cicerone, Virgilio o Isidoro di Siviglia, insieme ad una notevole frequentazione delle Sacre Scritture, l’auctoritas più citata nel trattato dopo Ovidio. Proseguendo, è probabile che Cappellano conoscesse la cultura araba, di cui si riconosce l’influenza nel De amore, anche se questo rappresenta un ambito ancora scarsamente indagato. Ad ogni modo, compaiono nel testo alcune citazioni di Giannino, noto al tempo per le traduzioni di Ippocrate e i commenti a Galeno, e opere di materia amorosa come il Libro del Fiore o Il collare della colomba e dell’amore e degli amanti, dedicato all’elogio della castità100.

Il De amore, insomma, si configura come il risultato di suggestioni ed ispirazioni culturalmente diverse, alcune più influenti di altre. Lo scopo dell’opera, infatti, è offrire al lettore una sintesi di tutte le esperienze letterarie che trattano di materia amorosa precedenti ad esso, coniugandole insieme. Cappellano, allora, raccoglie quanto era stato detto sull’amore fino agli anni in cui egli opera ed organizza le informazioni all’interno di una trattazione sistematica che fonde insieme elementi di matrice classica, la tradizione cortese e cavalleresca e l’impianto didattico-didascalico. In questo modo Cappellano realizza una summa di argomento erotico in tre libri, indirizzati all’amico e collega Gualtieri, che aveva mosso curiosità a riguardo e aveva posto dei quesiti allo stesso Cappellano. Per questo Cappellano decide di farsi maestro del giovane Gualtieri, così come aveva fatto Ovidio con i decepti iuvenes dei Remedia e gli indirizza un’opera che, al di là dello specifico argomento di ogni libro, in generale vuole insegnare a dirigere i freni della passione amorosa.

Est igitur primo videre, quid sit amor, et unde dicatur amor, et quis sit effectus amoris, et inter quos possit esse amor, qualiter acquiratur amor, retineatur, augmentetur, minuatur, finiatur et de notitia amoris mutui, et quid unus amantium agere debeat altero fidem fallente101.

(Andrea Cappellano, De amore, I, 2)

[È dunque prima da vedere che cosa sia l’amore, onde l’amore sia detto, che sia lo suo effetto, entr’a quali possa esere, come l’amor s’acquisti e se ritegna, acresca, menomi e

100 Cfr. A.CAPPELLANO, De amore, p. XVIII. Per queste due opere, si veda L.MASSIGNON, La passion

d’Al-Hallâj e J.C.VADET, L’ésprit courtois en Orient.

84

finisce; e di conosciere l’amore cambiato, e quello che ll’uno degli amanti debia fare quando l’altro lo ‘nganna]