ANDREA CAPPELLANO E GUITTONE D’AREZZO: IL RECUPERO DELL’ELEGIA NEL MEDIOEVO
4. Il Trattato d’amore: l’opera e le influenze letterarie
4.1 Gli elementi elegiaci nel Trattato d’amore
I tre principali aggregati metaforici dell’elegia latina, ossia ἔρος assimilato a πόλεμος, νόσος e θάνατος, e le conseguenti implicazioni letterarie sopravvivono nel percorso di evoluzione che il genere compie da Ovidio fino al Medioevo.
Il Trattato d’amore, si è detto, è un’opera dal carattere dottrinale e dal chiaro intento moralizzatore. Con la sua fortissima invettiva anti-erotica, la corona non solo insegna che il vero amore è in Dio e non nella carnalità, ma soprattutto vuole impressionare i lettori, affinché comprendano che il perseguire un amore terreno e sensuale equivale a condannare la propria anima al dolore e alla dannazione eterna. Forse è proprio in virtù di questa decisa volontà persuasiva che le metafore elegiache classiche recuperate dal moralizzatore Guittone all’interno della raccolta sono rinvigorite da una nuova e cupa intensità, proprio perché il loro obiettivo non solo è convincere, ma impressionare. Le stesse scelte lessicali mirano all’esagerazione, a sottolineare la pericolosità che deriva dall’infrazione dei limiti nella condotta da parte degli amanti. Frequentissimi, allora, saranno nella corona i giochi di parole che avvicinano “amore” e “amaro”, o gli
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accostamenti di “amore” e “veleno”, o “amore” e “morte”. Ad ogni modo, visto che nel Trattato d’amore il binomio ἔρος e θάνατος conosce una potenza nuova, tale da assorbire in sé ogni altro polo metaforico, questo verrà trattato singolarmente e successivamente.
Il repertorio di similitudini legato al binomio ἔρος-πόλεμος, la sovrapposizione degli amanti ai soldati, l’avvicinamento della potenza distruttrice del desiderio alle ferite di guerra e alla devastazione degli incendi è largamente impiegato nel Trattato d’amore e con esso ritornano, ovviamente, le metafore della militia, del servitium amoris e della schiavitù degli innamorati.
Anche il lessico è fortemente connotato in senso militaresco, come si evince da alcune parole-chiave messe in risalto dalla rima nel sonetto decimo Già per l’arco si mostra esser guerere, tutto incentrato sulla descrizione delle armi di Cupido. In esso ricorrono sostantivi come «guerere» (v. 1), «feridore» (v. 2) o «guere» (v. 9) e forme verbali legate ad azioni di forza o scontro, come «isferar» (v. 19) o «eventri» (v. 20). Il topos ἔρος-πόλεμος non è raro nella corona e riemerge in quelle parole che alludono alla lotta, alla distruzione e alle ferite, come «destruggendo» (Trattato d’amore XI, 10), «innavrato» o «piagato» (Trattato d’amore I, 10-13) o in quelle che rinviano al potere di assoggettamento e dominazione di Amore sugli amanti, come «sforso» (Trattato d’amore IX, 6).
ch’Amor, cum’ vei, si pinge figurato: è innavrato ciascuno amante
per van simbla[n]te enfin al morire150. (Guittone d’Arezzo, Trattato d’amore I, 9-11)
L’Amore della raccolta guittoniana è, insomma, un nemico armato, così come voleva la tradizione classica. Unghiuto come i rapaci, cela la sua aggressività dietro una facciata di seduzione e apparenze. È proprio questa natura ingannevole a renderlo pericolosissimo, al punto tale da spingere Guittone a condurre una vera campagna di propaganda contro di lui, come se il poeta in prima persona stesse combattendo una guerra e reclutando altri uomini per contrastare la sua forza.
Guai per l’arco sí mostra esser guerere, per le saitte mortal feridore,
le quai desegnan l’esser, unde fiere a morte peggio che s’il fa signore
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di vari guai e di mattezze fere per vano isguardo pascivo en core151.
(Guittone d’Arezzo, Trattato d’amore X, 1-6)
Il lessico militare e il metaforismo della battaglia, insomma, ricorrono costantemente, così come le altre immagini, che dal binomio ἔρος-πόλεμος derivano. Tra queste, si ricordi la schiavitù di Amore, che mette in catene l’amante, prigioniero e soggiogato nel corpo e nella mente. Come già aveva sottolineato Cappellano, tutti indiscriminatamente possono cadere vittima della schiavitù di amore, dagli uomini più onorevoli ai più savi e meritevoli, come Salomone e Aristotele, sapienti per eccellenza, i cui episodi sono citati come exempla negativi nel Trattato.
Anche la sfera ignea, complementare alla metafora bellica, rimanda alla potenza distruttiva comune ad Amore e alle guerre. La violenza del fuoco e del desiderio carnale ritorna, allora, in molti testi del Trattato d’amore. All’inizio, l’amore carnale è ingannevole, e nasconde la sua vera natura, per questo il fuoco della passione sembra dolce, come si suggerisce nel sonetto Caro amico, guarda la figura.
e lo venen ch’e’ porge cum dolsura carnal d’arsura ad ogn’amadore, […]152
(Guittone d’Arezzo, Trattato d’amore I, 5-6)
Tuttavia, ben presto quella che all’inizio sembrava «dolsura» si rivela essere una fiamma che porta dolore e l’alterazione quasi mostruosa dei tratti fisiognomici dell’amante, dilaniato fino alla morte, proprio come fa la guerra.
‘maginando pensosamente forte la forma qual sia a lui atalentata, che consuma, ardendo, la ria sorte, morte nel viso avendo figurata153.
(Guittone d’Arezzo, Trattato d’amore VIII, 11-14)
L’elemento igneo, poi, ritorna anche in Già per l’arco di mostra esser guerere, in cui l’associazione della passione carnale al fuoco è assolutamente resa esplicita dalla comune natura delle due entità, mortifera e devastante.
151 G. D’AREZZO, Del carnale amore: la corona di sonetti del codice Escorialense, p. 110.
152 Ivi, p. 72.
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L’arco si spon lo fonte del piacere, unde avene sman[i]ante furore; dal fuoco, unde accese son le guere, e’ par che sia un encendivo ardore, il qual s’ntend’ e[n] lo fiero volere che per nulla copia si stuta fiore; ché dil fuoco simel natura tene, ché quanto più matera lui si gionge, più arde, consumando ciò che ’nvene; e a nul’altr’a bastança si conçonge154.
(Guittone d’Arezzo, Trattato d’amore X, 7-16)
Insomma, è proprio il fuoco a causare le battaglie e per via di esso Amore assume l’aspetto di una passione incendiaria, che si alimenta sempre per colpa di un desiderio feroce e mai appagato che, come il fuoco, cresce man mano che si aggiunge combustibile e, al suo aumentare, aumenta anche la sua potenza devastatrice.
Per quanto riguarda l’assimilazione di ἔρος a νόσος, così come nell’opera di Cappellano, anche nella corona guittoniana Amore è dipinto come una patologia, prima mentale e poi fisica. Non solo la passione carnale viene esplicitamente definita «malatia» nella cobla Quando, donque, guarire, ma fin da subito, come già aveva fatto Ovidio, Guittone sottolinea la necessità e l’importanza dei rimedi medici per il mal d’amore. Parallelamente, però, constata che molti malati d’amore rifiutano le cure, recuperando così il paradosso dell’elegia latina che riconosceva nell’Amore una fonte di infermità, malattia e dolore che però il poeta-amante vuole tener viva, ostacolando in ogni modo la guarigione, masochisticamente chiuso nella sua sofferenza e schiavo del desiderio e della sua arte.
E quasi el dexire d’esser curato d’uom sí piagato dico esser carante, remedïo dottante il su’ largire155
.
(Guittone d’Arezzo, Trattato d’amore I, 12-14)
Pur essendo una grave patologia e pur avendo una violenza tale da contagiare chiunque, il mal d’amore è assolutamente curabile. Pertanto, coloro che possiedono nobiltà d’animo devono lottare per non subire l’onta di essere schiavi della passione carnale, che è figlia
154 G. D’AREZZO, Del carnale amore: la corona di sonetti del codice Escorialense, p. 110.
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del Diavolo. Infatti, chiunque rifiuti le cure al mal d’amore, non solo si macchia di disonore, ma diventa seguace del «lo Nemico».
Quando, donque, guarire De sì gran malatia Sì liger uom porria, ben seria disorato, qual più fosse pregiato, nol voler consentire; però prenda ‘l dexire en cui regna barnagio de non sofrir tal onta, chè pur di pregio smonta lo Nemico obedire156.
(Guittone d’Arezzo, Trattato d’amore II, 1-11)
Appurato che Amore è un male e dimostrata la necessità della guarigione, Guittone recupera precisamente quanto era già stato codificato da Cappellano nel De amore, sviluppando l’aspetto mentale del morbo amoroso, causato in primo luogo dall’immoderata cogitatio e da un desiderio irragionevole, smisurato e senza freni, che rende gli innamorati carichi di una folle passione, di un «matto voler» che impedisce loro di esercitare correttamente il comportamento, la ragione e la morale.
E certo ben è natural figura
de esso amor, cui guai e morte appello, sí come se mostra per li simblanti dei mortai ditti amorusi amanti, faendosi a ragion catun ribello, matto voler seguendo a dismisura157.
(Guittone d’Arezzo, Trattato d’amore V, 9-14)
Denudati di ogni virtù, di ogni senso di giustizia e di ogni capacità di discernimento, Amore colpisce con tormenti e sofferenze gli amanti, ormai incapaci di sostenere una così misera condizione. Essi mostrano il volto pallido e scarno e il deperimento conseguenti all’innamoramento e come i ciechi si aggrappano a tutto, anche a ciò che non va bene.
Dona dexir cum pene e cum paura, e cciò sofrendo l’amante sottillia e tollei sí di conoscer la cura,
156 G. D’AREZZO, Del carnale amore: la corona di sonetti del codice Escorialense, p. 80.
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ch’al pegio ’n tuto cum’ orbo s’apillia158. (Guittone d’Arezzo, Trattato d’amore VI, 5-8)
Tra le infermità fisiche elencate, oltre all’indebolimento del corpo di cui lo stesso Cappellano aveva parlato, Guittone si sofferma soprattutto sulla cecità dell’innamorato, che è una condizione sia corporale che, soprattutto, spirituale.
[…] è cieco lo su’ stato,
sí cum’ uom che non vede et è orbato e non conosce da[l] loglio lo spico, cum’ per novel si vede e per antico en catun mortal ditto ennamorato, che ben è peço che a morte piagato, in esser di provedença nemico.
E cieco è ben, certo, ciascun amante di canoxença e d’ogni discrecione159
.
(Guittone d’Arezzo, Trattato d’amore VII, 2-10)
La passione amorosa nel mondo elegiaco latino veniva definita caeca libido e sia Cappellano che Guittone, che riprendono l’iconografia amorosa ovidiana, dipingono Amore come un fanciullo nudo ed orbo. Tuttavia, nella raccolta guittoniana la cecità di Amore e degli innamorati ha una valenza maggiore rispetto al De amore e non a caso ricorre a più riprese. Il Cupido del Trattato d’amore è cieco perché è incapace di esercitare correttamente virtù e ragione e questa cecità è trasmessa poi agli innamorati: in questo modo, le caratteristiche di Amore, cieco razionalmente e spiritualmente, si sovrappongono e vengono a coincidere con i caratteri psicologici tipici degli amanti. Insomma, per colpa delle basse tentazioni delle pulsioni sensuali gli innamorati non sono più in grado né di vedere, né di esercitare quelle facoltà razionali che caratterizzano il loro essere umani.
Ad ogni modo, il riferimento alla cecità è particolarmente importante all’interno del Trattato d’amore non tanto e non solo per il rimando allo stato di infermità fisica e spirituale che deriva dalla vicinanza di ἔρος e νόσος, ma anche e soprattutto perché la questione della cecità o, meglio, della vista, apre la strada ad una novità: l’introduzione della gnoseologia d’amore.
158 G. D’AREZZO, Del carnale amore: la corona di sonetti del codice Escorialense, p. 95.
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