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Silvia Cervia

3. ANALISI CRITICA DELL’INPUT: FRAMING E PROSPETTIVE DI RICERCA

che ha avuto uno sviluppo incrementale a partire all’incirca dagli anni Settanta, impedisce una restituzione puntuale dei contributi e delle conoscenze che sono andate sedimentandosi. Le pagine che seguono offrono quindi solo una sintesi che si basa su ricognizioni ben più articolate e ricche (Cervia, 2018). È inoltre necessario considerare come l’operazione che ci accingiamo a compiere rischi di contribuire ad oscurare il portato artificiale ed artificioso insito in qualsiasi processo di categorizzazione su cui anche una “semplice” sintesi si basa. Per arginare almeno in parte tale rischio ricorreremo, in prima istanza, alla categorizzazione proposta altrove (Ibidem), mutuata dalla sociologia della conoscenza, che in questa sede non intende avere altro fine se non quello di sottolineare la molteplicità di letture possibili e, contestualmente, la parzialità di ciascuna.

La tipizzazione proposta distingue tra indagini centrate sugli elementi esterni alla scienza, ovvero sulla scienza come istituzione sociale, e indagini centrate sugli elementi interni alla scienza, volte, invece, ad analizzare il significato storicamente attributo alla scienza. Nel processo di scaling tra la tipizzazione fondata sulle categorie della sociologia della conoscenza e quella proposta dalla letteratura mainstream abbiamo considerato come le indagini centrate sugli elementi esterni possano essere caratterizzate da un focus di tipo individuale e da un livello analisi micro, che abbiamo riportato a quella che nella retorica dominante viene riconosciuta come la prima fase di sviluppo della ricerca; ma possano essere caratterizzate anche da una focalizzazione organizzativo-relazionale (livello meso) piuttosto che sistemico- istituzionale (livello macro), che abbiamo ricondotto alla seconda fase di sviluppo della ricerca; mentre abbiamo assunto che le indagini centrate sugli elementi interni della scienza dovessero essere considerate all’interno dell’ultima fase di sviluppo. Nel procedere del testo forniremo alcuni elementi di periodizzazione che, in virtù della retorica che sostiene la narrazione dominante, risulta utile tener presenti.

Le analisi centrate sugli elementi esterni alla scienza, ad un livello di osservazione micro-sociologico, possono essere fatte risalire agli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso. Una traiettoria di ricerca che, sulla scia dell’azione femminista di recupero intenzionale della memoria del contributo delle donne alla scienza (Erlicher e Mapelli, 1991), ha progressivamente decostruito il paradigma del deficit model che imputava la scarsa presenza femminile nell’alta formazione e nella ricerca scientifica alla scarsa predisposizione e motivazione femminile a dedicarsi a tali ambiti (Wajcman, 1991), mettendo in evidenza la stretta connessione esistente tra fattori di carattere biologico, sociale e psicologico nel determinare le performance scolastiche di ragazzi e ragazze (Halpern e al., 2001). Si è andata così sviluppando la critical filter hypothesis che imputa al processo educativo le differenti probabilità delle donne rispetto agli uomini (e, ad esempio, dei neri rispetto ai bianchi) di proseguire i propri studi in ambito scientifico (Sells, 1980). Non solo, le ricerche condotte nell’ambito della psicologia sociale hanno portato alla luce come le “scelte” professionali, e più in generale le scelte di vita, siano guidate dalla congruità di ruolo (Eagly et al., 2002), evidenziando la scarsa compatibilità tra la costruzione sociale del femminile e quella di scienziato, con i suoi spiccati tratti eccentrici e antisociali (Eccles 2006) e la “ghettizzazione” di genere dei campi scientifici5 (Rossiter, 1995).

Sul finire degli anni Settanta e poi con gli Ottanta ha fatto la propria comparsa una nuova linea di ricerca, che assumiamo come riferimento culturale della seconda stagione delle politiche, dedicata alla (scarsa) produttività scientifica delle donne (Cole, 1979). Le ricerche condotte hanno ben presto evidenziato correlazioni statistiche significative con altre variabili, come ad esempio la condizione maritale (Ferber e Loeb, 1973). L’attenzione si è così andata concentrando sul livello meso (organizzativo) e, poi, sul livello macro. Dal primo punto di vista è emersa chiaramente la frizione esistenze tra sfera privata e organizzazione del lavoro nella scienza (Aisenberg et al., 1988), costruita attorno all’idea di vocazione e

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Strettamente collegata con la costruzione sociale delle discipline scientifiche lungo un continuum che va dal polo femminile, biologia e scienze della vita, a quello maschile, rappresentato da fisica e ingegneria (Blickenstaff, 2005).

quindi di dedizione totale (c.d. greedy institution; Coser, 1974); e sono andate moltiplicandosi ricerche dedicate ad analizzare l’impatto del processo di managerializzazione e di crescente orientamento alla cultura della performance individuale ed istituzionale (Prichard et al., 1997) piuttosto che la relazione tra stili di leadership, appartenenza di genere e clima organizzativo (Goode et al., 1998). Dal secondo punto di vista la ricerca ha progressivamente puntato la propria attenzione anche su elementi di distorsione sistemici. Il riferimento, in questo caso, sono gli anni Novanta e le già citate ricerche di Agnes Wold e Christine Wennerås (1997) e del MIT (1999). Tali ricerche hanno inaugurato un filone di studi dedicato alle distorsioni sistemiche dei processi di valutazione, che agirebbero tanto a livello soggettivo, in termini di pregiudizi sessisti nei valutatori (Steinpreis et al., 1999; Foschi, 2000), che a livello oggettivo, evidenziando forti bias di genere nei criteri adottati (Garcia de León, 2005). Su questa linea possono essere collocati tanto gli studi che si sono dedicati ad analizzare i meccanismi di reclutamento basati sulla cooptazione (Van den Brink, 2011) che quelli dedicati alle distorsioni determinate dalla standardizzazione dei curricula in termini di CV body-building pressure (Dubois-Shaik e Fusulier, 2015).

Per individuare l’origine della riflessione attorno agli elementi interni alla scienza che avrebbe alimentato l’ultima stagione delle politiche è necessario risalire alle riflessioni femministe che sono andate sviluppandosi a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso che condividono con altri movimenti politici ed intellettuali una prospettiva critica sulla scienza come forma di sapere e di pratiche socialmente e storicamente collocate6 (Benton et al., 2001). In questa fase compare per la prima volta il frame “Gender and Science” tramite il quale si intende sottolineare la natura artificiale di entrambi i concetti (Fox Keller, 1978) e a partire dal quale si sviluppano le epistemologie femministe che affrontano il tema degli effetti dell’androcentrismo sul sapere e sulla scienza attraverso framework irriducibili tra loro. L’empirismo femminista, postula l’esperienza sensibile come fonte primaria di giustificazione della nostra conoscenza, e sostiene, quindi, l’impossibilità di emendarla dai valori sociali, ivi compresi i bias sessisti e androcentrici, che orientano le ipotesi di lavoro e la raccolta dei dati. In questo quadro la partecipazione femminile alla scienza permetterebbe lo sviluppo di percorsi di ricerca fondati su bias opposti, lasciando che sia l’esperienza a identificare le teorie più convincenti (Longino, 1990). Similmente le epistemologie del “punto di vista” ritengono che l’aumento della partecipazione femminile alla scienza possa giovare ai processi conoscitivi ma in ragione di un assunto differente: sarebbe la posizione di subalternità che caratterizza la condizione femminile a garantire alle donne una prospettiva nuova e diversa in grado di apportare un vantaggio conoscitivo (Harding, 1991). La possibilità di giungere ad una conoscenza universale viene, infine, messa in discussione dal femminismo postmoderno che nega l’esistenza di posizioni più (o meno) adatte di altre per produrre conoscenza (Haraway, 1997). In questa prospettiva la conoscenza scientifica si disvela quale “sapere situato” e le “prospettive parziali” divengono l’unica prospettiva possibile (McCarthy, 2004). Con il nuovo Millennio assistiamo alla nascita di una nuova prospettiva di ricerca, la già citata gendered innovation, che si auto-indicizza come paradigma empirico capace di operativizzare la critica femminista alla scienza (il singolare è proprio della stessa narrazione scientifica) richiamando esplicitamente brani tratti dai testi di Sandra Harding. Oltre alla già richiamata concretezza, questo framework si caratterizza per la stessa ownership dell’asserzione fondata sulle “stagioni delle politiche”, essendo riconducibile al lavoro di uno specifico gruppo di ricerca che ruota attorno alla storica della scienza americana Londa Schiebinger, che ha proposto/imposto la propria prospettiva e il modello derivato dalla sistematizzazione delle pratiche di ricerca identificate nelle scienze della natura (in particolar modo medicina) prima attraverso un libro (2008) e poi tramite un’infrastruttura digitale7.

4. ANALISI CRITICA DELL’OUTPUT: TRA SELEZIONE E INDICIZZAZIONE

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