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Norma De Piccoli, Silvia Gattino, Simonetta Miozzo, Gabriella Tanturri, Mariasusetta Grosso

1.2 Dalle ineguaglianze di salute alla Medicina di Genere: prospettive multifattorial

Quali i fattori alla base delle ineguaglianze di salute in una prospettiva di genere? Mentre il dato secondo cui per le donne si rileva una percentuale maggiore di malattie durante il loro corso di vita e gli uomini

hanno una aspettativa di vita inferiore è confermato almeno in tutti i Paesi Occidentali e, per certi versi, non costituisce una novità, le ragioni che spiegano queste differenze non sono invece univoche.

Se i primi studi sociologici che si sono occupati del tema risalgono alla metà degli anni ’70, con il lavoro di Constance Nathanson (1975), dovremo aspettare circa vent’anni perché il tema venga analizzato in modo puntuale (Moore, 2010). A questo proposito ricordiamo Lesley Doyal (1995), la quale ha evidenziato come i diversi livelli di malattia per le donne derivino da ineguaglianze strutturali, quali un reddito inferiore e il lavoro casalingo non retribuito. Questa riflessione si sviluppa parallelamente a un’altra, che sottolinea che le differenze di morbilità tra uomini e donne potrebbero essere spiegate anche in termini di differenze di genere nel riportare la malattia, in modo particolare la maggiore accettabilità sociale nell’ammettere la malattia, nel discutere i sintomi e nel cercare aiuto da parte delle donne (Hibbard et al. 1986).

Di particolare interesse, sempre in ambito sociologico, è il cosiddetto approccio a ‘scelta obbligata’ (constrained choice) sviluppato da Chloe Bird e Patricia Rieker (2008). Secondo questo modello la salute è condizionata dal genere in quanto le scelte di salute sono limitate dal sesso biologico, dalle possibilità esistenziali e dalle esperienze legate al genere, ovvero quello che Doyal nel 2000 aveva descritto come “ostacoli di genere”.

Lo sguardo psicologico è stato, su questi aspetti, un po’ defilato e talvolta è stato accusato di riduzionismo e semplificazione e di analizzare solo marginalmente i ruoli del maschile e del femminile (Kolk et al. 1999). Anche la prospettiva sociologica è stata accusata di riduzionismo, per aver posto una esclusiva enfasi sui processi culturali (Bekker, 2003). Senza qui entrare nei dettagli di tale dibattito, a partire proprio da queste criticità Marrie Bekker (2003) propone un modello multidimensionale di genere e salute (Rollero, 2014) con l’obiettivo di descrivere come le relazioni tra sesso e genere abbiano degli effetti sulla salute e sul benessere. Esso considera che il sesso-biologico incide sia direttamente sulla salute sia sul genere, poiché a uomini e donne vengono attribuiti ruoli, caratteristiche, stereotipi, mansioni differenti. La relazione tra sesso, genere e salute può essere mediata da tre fattori: 1) un diverso posizionamento sociale tra uomini e donne (differenti professioni, diversa quantità e qualità del lavoro di cura, ecc.); 2) caratteristiche personali legate al genere (il riferimento è ad aspetti somatici, psicologici, cognitivi e comportamentali, come ad esempio un diverso rapporto con il proprio corpo, gli stati dell’umore); 3) procedure diagnostiche e terapeutiche. A questo proposito è stato dimostrato che gli stereotipi di genere condizionano non solo gli stili comunicativi tra medico e paziente, ma anche la diagnosi e il trattamento (Balsa et al. 2003).

Poiché le differenze tra uomini e donne riguardo la biologia, le condizioni di vita, i comportamenti e l’assunzione di rischio sono cause importanti delle disparità di genere nella salute e nella malattia, è necessario considerare che l’impatto del genere non è limitato a patologie riferite alla riproduzione, ma è rilevante anche in patologie non sesso-specifiche. La scienza medica è ancora oggi caratterizzata da una cecità di genere (Lagro-Janssen, 2007; Verdonk et al., 2009), che conduce a una scarsa comprensione delle specificità di donne e uomini, poiché la maggior parte delle conoscenze relative alla salute e alla malattia si basano sulla figura maschile, considerata come prototipo del corpo umano, mentre le donne sono sottorappresentate e identificate principalmente dai loro attributi riproduttivi (Parker et al., 2017).

È necessario sviluppare analisi e riflessioni scientifiche nel rispetto delle differenze di genere. A questo riguardo si comincia a dimostrare che le patologie assumono forme e manifestazioni differenti in uomini e donne e che, coerentemente con queste evidenze scientifiche, anche le misure preventive, le procedure diagnostiche e i trattamenti dovrebbero essere differenti. Queste ultime considerazioni richiamano la necessità di sviluppare la cosiddetta Medicina di Genere2.

“In base all’indicazione dell’OMS, si definisce Medicina di Genere lo studio dell’influenza delle differenze biologiche (definite dal sesso) e socio-economiche e culturali (definite dal genere) sullo stato di salute e di malattia di ogni persona. Infatti, molte malattie comuni a uomini e donne presentano molto spesso differente incidenza, sintomatologia e gravità. Uomini e donne possono presentare inoltre una diversa risposta alle terapie e reazioni avverse ai farmaci. Anche l’accesso alle cure presenta rilevanti diseguaglianze legate al genere” (Ministero della Salute, 2018, p. 4).

Pertanto, la medicina di genere non è la medicina delle donne, ma un approccio diverso e innovativo alle diseguaglianze di salute, a partire dall’insorgenza sino all’evoluzione della malattia, strettamente connesse tanto a una differente appropriatezza diagnostico-prescrittiva, quanto a diseguaglianze sociali, culturali, etniche, psicologiche, economiche e politiche (De Piccoli, 2014; 2015).

In Italia la legislazione in questi ultimi anni si è occupata di questo tema: ricordiamo in breve il DDL Lorenzin, approvato dal Senato il 22 dicembre 2017, che garantisce per la prima volta nel nostro Paese che la medicina venga orientata al genere in tutte le sue applicazioni a livello nazionale, sia nella sperimentazione clinica dei farmaci, sia per tutto il percorso clinico.

Il 13 giugno 2019 è stato firmato dalla ministra della Salute Giulia Grillo il decreto con cui viene adottato il Piano per l’applicazione e la diffusione della Medicina di Genere, previsto dall’articolo 3 della Legge 3/2018, approvato in Conferenza Stato-Regioni il 30 maggio 2019, ponendo l’Italia all’avanguardia in Europa nel campo della Medicina di Genere3.

Forse questo è uno dei casi in cui, per certi versi, la legislazione supera la prassi. In Italia iniziative specifiche relative alla Medicina di Genere sono state, sino ad ora, episodiche; la maggior parte dei corsi di Laurea di Medicina, salvo qualche rara e meritevole eccezione, non prevedono corsi approfonditi sul tema. Sarebbe invece importante sviluppare una formazione in tema di Medicina di Genere a diversi livelli: per gli studenti di Medicina, affinché i futuri medici, di tutte le specialità, siano sensibilizzati e informati; per gli Specializzandi e i professionisti della Sanità già usciti dal percorso formativo accademico, affinché possano integrare, nella loro professionalità clinica, le evidenze scientifiche sul tema. Un percorso formativo specifico dovrebbe essere previsto, inoltre, per coloro che hanno un rapporto diretto con cittadini e cittadine, ovvero i medici di medicina generale e coloro che sono preposti al triage ospedaliero. Si tratta infatti delle figure professionali che si trovano all’ingresso del percorso di cura che, se erroneamente indirizzato, potrebbe ritardare l’efficacia di un iter terapeutico appropriato.

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