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Silvia Cervia

4. ANALISI CRITICA DELL’OUTPUT: TRA SELEZIONE E INDICIZZAZIONE 1 Notazioni metodologiche

4.2 Analisi dei documenti di programmazione comunitaria

Abbiamo detto di come la narrazione mainstream riconosca nel rapporto ETAN (N.4) l’origine della prima stagione delle politiche comunitarie in tema di Genere e Scienza. L’analisi tematica condotta sul rapporto ne evidenzia invece una poliedricità che le ricostruzioni mainstream elidono del tutto. Non si tratta solo, secondo il gruppo delle esperte ETAN, di sostenere le carriere delle donne nella scienza agendo sui processi di socializzazione alla scienza o di rappresentazione di modelli di riferimento in ambito scientifico, ma di valutare attentamente anche variabili di carattere istituzionale che, a vario livello, possono frapporsi al raggiungimento di una effettiva parità nella scienza. I riferimenti sono espliciti e diretti alla legislazione (Ibidem, p. 66), alla pretesa neutralità dei criteri utilizzati per le selezioni, rispetto ai quali si chiede più trasparenza e la messa in campo di meccanismi di auto-valutazione e auto-riflessività delle commissioni stesse allo scopo di individuare eventuali bias di genere (Ibidem, p. 45), ma anche a quelli cui si ricorre per attribuire promozioni e assegnare ruoli di responsabilità (Ibidem, p. 55). Non solo, il rapporto contiene anche osservazioni dedicate ai contenuti della ricerca: “effettuare ricerche su un solo sesso e applicare i risultati a entrambi è un procedimento scarsamente scientifico. […] La decisione del Consiglio svedese della ricerca medica di non finanziare progetti su un solo sesso, senza debita giustificazione, dovrebbe ispirare altri organismi di finanziamento” (Ibidem, p. 43).

Per trovare documenti più propriamente ascrivibili all’approccio che la narrazione dominante riconduce alla prima “stagione” delle politiche è necessario rivolgere lo sguardo ad altri due documenti della Commissione Europea pubblicati nel 1993 (N.1) e nel 1999 (N.3). Si tratta di un rapporto e una comunicazione derivanti dalla presentazione pubblica e dalla successiva discussione di “studi” commissionati dalla stessa Commissione. Tanto nei documenti che nei meeting promossi dalla Commissione per discutere i contenuti delle relazioni l’attenzione verteva attorno agli ostacoli e alle barriere tipiche delle carriere femminili, e insisteva sulla necessità di convincere le donne ad investire, in termini di formazione e carriera, sulla scienza. Tuttavia, tali documenti, così come il Rapporto ETAN, possono essere difficilmente indicizzabili come policies, si tratta, come il tipo di documento evidenzia, di Report, di studi che non hanno trovato corrispettivi programmatici diretti e concreti. Lo stesso Rapporto ETAN, approvato in vigenza del V Programma Quadro per la scienza ha avuto come unico effetto concreto quello di evidenziare la scarsità di dati disponibili e la loro elevata eterogeneità, legittimando così un finanziamento di un programma di monitoraggio ad hoc sulla partecipazione delle donne al V PQ (1998- 2002), noto come Genderwatch. Tramite tale monitoraggio il fenomeno della scarsa partecipazione femminile alla scienza ha trovato una sua fatticità: il numero di donne che aveva beneficiato dei finanziamenti comunitari era risultato effettivamente scarso, e quindi era legittimo ed opportuno un intervento pubblico in materia. Assumendo questo ‘dato di fatto’ il rapporto di monitoraggio identifica un nesso di causalità con l’assenza di indicazioni esplicite in favore di una ricerca con le donne, per le donne e sulle donne, al punto che il Sesto Programma Quadro (2002-2006) introduce uno strumento trasversale, i c.d. Piani di Azione di Genere (GAP), quali strumenti obbligatori per tutti i progetti finanziati nell’ambito degli Integrated Projects and Networks of Excellence grants (linea finanziata con ben 15 M di euro; Marchetti e Raduma, 2010).

Si trattava di piani di azione specifici, i GAP appunto, che dovevano essere obbligatoriamente presentati dai partecipanti alle call di questo settore attraverso i quali i proponenti stessi si assumevano l’obbligo di considerare la rilevanza della questione di genere all’interno del progetto presentato, valutando tanto i termini della partecipazione femminile che le eventuali implicazioni di genere connesse con l’oggetto della ricerca, ed individuando azioni orientate a migliorare entrambe le dimensioni che

insistano su un elemento di criticità, ovvero l’assenza di un sistema di monitoraggio (e di relativo regime premiante/sanzionatorio) sullo stato di avanzamento degli impegni presi, sottolineando contestualmente come l’analisi dei contenuti dei GAP evidenziasse una significativa difficoltà dei proponenti di distinguere tra i due piani richiamati, ovvero il piano della partecipazione femminile alla scienza e quello della rilevanza del genere nei contenuti (Ibidem).

Su questo aspetto non possiamo che restituire la voce a quella parte della letteratura femminista, di matrice neo-istituzionalista, che aveva rivelato l’assenza, all’interno dei dati di monitoraggio, dell’evidenza relativa all’eccessiva onerosità dei GAP, sottolineando come si trattasse di un’osservazione personale del Capo Unità della DG Ricerca (Mergaert et al., 2014). D’altro canto, lo stesso Gruppo di Helsinki aveva manifestato il proprio disaccordo sul draft del Settimo PQ in ragione dell’eliminazione dell’inserimento del genere tra le variabili trasversali della valutazione e dei GAP come importanti strumenti per il mainstream di genere (Ibidem, pp.13-14). Da questo punto di vista il Settimo PQ viene considerato un “passo indietro” rispetto all’approccio mainstream8 che era stato introdotto dal Sesto PQ (Ibidem).

Il Settimo Programma Quadro è menzionato quale atto inaugurale della “seconda stagione delle politiche” europee in materia. Tale indicizzazione si deve all’introduzione da parte del Work Programme relativo all’anno 2010 (e mantenuto nei Work Programme successivi) di una linea specifica di finanziamenti, i già richiamati structural changes. Si tratta di finanziamenti mirati specificamente alla promozione di un “cambiamento strutturale” all’interno delle organizzazioni proponenti, la cui valutazione, erogazione, monitoraggio, ecc. ruotavano integralmente attorno alla predisposizione di un piano di azione da parte dell’istituzione e destinato all’istituzione stessa, con lo scopo di promuovere un cambiamento al proprio interno.

L’analisi condotta sui Work Programme permette di sottolineare come l’introduzione della linea di finanziamento dedicata agli structural changes non abbia ampliato la gamma di azioni a sostegno della partecipazione femminile alla scienza ma sia andata a sostituirsi sia in termini economici che di tipologia di topic alle linee presenti nei Work Programme precedenti e destinate a ricognizioni sistematiche di azioni positive per favorire la partecipazione femminile nei ruoli decisionali della scienza (N.7); o volte ad introdurre il diversity management (N.8), piuttosto che interventi destinati a favorire lo scambio interistituzionale in materia (N.9).

In sostanza, dopo aver finanziato ricerche volte a identificare buone pratiche e a favorire lo scambio interistituzionale, l’azione comunitaria investe su programmi operativi, fortemente orientati all’azione. Si chiarisce fin da subito che non ci si attendevano progetti di analisi ed intervento ma piuttosto programmi operativi, capaci di agire sulle dinamiche di discriminazione già note (N.10). Un approccio il cui taglio manageriale troverà una propria rappresentazione plastica con l’introduzione del label “Gender Equality Plan” nel Work Programme per il 2012 (N.14).

In riferimento a tale PQ la narrazione mainstream trascura di considerare come tale programma abbia emanato una call destinata a finanziare un progetto volto a colmare il vulnus rilevato attraverso l’analisi del contenuto dei GAP, che permettesse di identificare chiaramente le implicazioni di un’attenzione alla partecipazione femminile ai percorsi di ricerca, da un lato, e alla questione del genere nei contenuti e metodi della ricerca, dall’altro. Tale progetto ha prodotto un Toolkit (N.12) rivolto alla comunità scientifica la cui disseminazione e divulgazione è stata a sua volta finanziata dallo stesso PQ. Tale documento si presenta come una guida pratica per la comunità scientifica, un manuale che non manca di richiamare, fin dall’esergo, le ragioni scientifiche su cui si basa tale approccio: migliorare la conoscenza scientifica e la sua

8 La questione dell’opportunità di un approccio mainstream ha sollevato ampi dibattiti in letteratura. Parte della critica femminista ha messo in discussione tale approccio per il rischio di parcellizzazione del genere come passe-partout che venendo disperso in mille rivoli non poteva essere in grado di garantire un adeguato monitoraggio né l’expertise necessaria per poterlo opportunamente declinare, depotenziando del tutto qualsiasi possibilità di produrre un cambiamento (Moser, 2005; Prügl, 2009).

obiettività (con citazione diretta del testo di Sandra Harding del 1991). Il messaggio veicolato è il seguente: ci poniamo in continuità con la tradizione femminista (al singolare, celando dietro questa declinazione la pluralità e anche la contraddittorietà tra le posizioni femministe in campo) compiendo un ulteriore passo in avanti, grazie alla operativizzazione che proponiamo, una traduzione in procedure e pratiche capace di cambiare e orientare la scienza verso una oggettività effettiva.

Passando ora ad esaminare i contenuti di Horizon 2020 ci soffermeremo, in ossequio al principio di economicità, sui contenuti che giustificano l’indicizzazione di tale programma come apripista della “terza stagione” delle politiche, limitandoci a ricordare che i Work Programme biennali del programma hanno continuato a finanziare anche i progetti di structural changes che prendono il nome di institutional changes9.

Nell’introdurre il genere come priorità trasversale del PQ il regolamento istitutivo provvede a declinare il ruolo che tale “dimensione” avrà nelle diverse fasi di operatività del programma. Merita di essere evidenziato come il Regolamento istitutivo del programma introduca il genere tra le priorità trasversali, all’interno della lettera l, quella dedicata alla “ricerca e all’innovazione responsabili” (n. 16, art. 14). La retorica agita dalle istituzioni legittima la presa in carico della questione Genere e Scienza da parte delle politiche comunitarie, quale driver per l’innovazione e la responsabilità sociale della ricerca, riservandosi poi di “verificarne” l’operatività introducendo il genere tra le dimensioni di rilevanza per la valutazione in itinere (Ibidem, art. 31) ed ex post (Ibidem, art. 32).

Il Regolamento istitutivo di Horizon 2020 recepisce inoltre i contenuti del Toolkit del 2009 (Ibidem, art.16). La Commissione Europea si assume così l’onere di dare indicazioni concrete alla comunità scientifica in merito alla corretta declinazione delle richieste comunitarie (precisando, quindi, il come). Indicazioni che non tarderà a precisare dettagliatamente attraverso i due Vademecum e la successiva Guida che, merita di essere sottolineato, entrano nel sistema delle fonti, divenendo uno strumento di supporto attraverso il quale la stessa Commissione si rivolge ai propri interlocutori per spiegare loro i significati e le aspettative. Interessante è sottolineare come la legittimazione di tale operazione venga ricondotta nuovamente allo sviluppo della scienza e nello specifico a quella che abbiamo visto essere auto- indicizzata come gendered innovation. Il richiamo è esplicito, prima attraverso il rimando ai documenti prodotti da tale gruppo, e poi attraverso la creazione di un link diretto, all’interno del portale di Horizon 2020, con il sito ospitato sul portale dell’università di Stanford10.

5. CONCLUSIONI

L’analisi condotta permette di cogliere come la narrazione mainstream nasconda dietro all’asserto delle “stagioni delle politiche” una serie non trascurabile di rimozioni che riguardano tanto interi documenti, è il caso del VI Programma Quadro, e di porzioni non trascurabili di altri (come per il Rapporto ETAN e lo stesso VII Programma Quadro). Considerare contestualmente tutte le rimozioni compiute porta alla luce quella che potremmo definire la dark side of the moon della narrazione dominante evidenziandone il portato artificiale e artificioso.

9

Il percorso avviato tramite l’indicizzazione di tale linea di finanziamento come “piano di azione” (Gender Equality Plan) ha trovato compimento con il rilascio da parte dell’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere di un toolkit dedicato e predisposto in collaborazione con la Direzione generale per la ricerca e l’innovazione (EIGE, 2016). Un percorso che sembrava destinato a concludersi con il Science with and for Society Scoping Paper 2018-2020, approvato nell’autunno del 2016, che abrogava i finanziamenti dedicati agli institutional changes. Abrogazione scongiurata solo grazie al successo di una petizione

Se il Rapporto ETAN può essere considerato un riferimento importante per il processo di tematizzazione di Genere e Scienza come issue politica, difficilmente si può sostenere che offra una lettura monodimensionale del fenomeno. L’indicizzazione proposta risulta errata da un punto di vista formale, si tratta di un Report e non di un documento programmatico, e da un punto di vista sostanziale, in quanto la lettura che offre risulta poliedrica e multidimensionale (d’altronde difficile immaginare che un gruppo di esperte che ricomprendeva anche Agnes Wold e Christine Wennerås trascurasse di considerare elementi sistemici). Ma è passando a considerare le altre due “stagioni” che la prospettiva proposta dalla letteratura mainstream rivela il suo portato ideologico.

L’indicizzazione relativa alla “seconda stagione”, riconducendo le politiche inaugurate tramite gli structural changes alle letture strutturali che avevano evidenziato la presenza di un ordine di genere nella scienza, opera un depotenziamento (e travisamento) sostanziale delle critiche stesse, trasformando una questione squisitamente culturale in un problema di carattere organizzativo. Una traiettoria che riteniamo possa essere plasticamente rappresentata dall’evoluzione del labelling, da structural changes (VII PQ) a institutional changes (Horizon 2020), e dal rilascio del GEAR tool per lo sviluppo e il monitoraggio di Piani per la parità di genere (EIGE, 2016). ‘Confondendo’ struttura con organizzazione, si opera un’azione di ribaltamento totale per cui si utilizza una lettura nata per mettere in evidenza come le forme societarie siano costitutivamente permeate dal modello androcentrico, e meritino, quindi, di essere rifondate dall’e- sterno, per sostenere, invece, processi di ristrutturazione dall’interno. Percorsi che, se letti da quelle stesse prospettive critiche, rischiano di essere accusati di complicità e correità con il potere, in quanto favoriscono operazioni di maquillage che, non agendo sulla radice del problema, tendono, piuttosto, a nasconderlo ulteriormente sotto trucchi e belletti à la page.

Similmente, l’indicizzazione relativa alla “terza stagione” pone le politiche inaugurate da Horizon 2020 in linea di continuità con la critica alla scienza sviluppata dalle epistemologie femministe attraverso due artifici: declinando al singolare letture plurali e difficilmente riducibili tra loro, e costruendo la c.d. gendering innovation come operativizzazione di quelle. Ed è qui che può essere collocato il senso più profondo dell’analisi proposta: rivelare il processo di reificazione operato tanto dalla letteratura mainstream che dalle istituzioni comunitarie in merito al significato e alle implicazioni della critica sviluppata grazie all’adozione di una prospettiva di genere agli elementi interni alla scienza. Le pratiche discorsive adottate da entrambi gli attori in campo hanno agito l’universalizzazione di una specifica interpretazione delle teorie femministe del “punto di vista”, quale compimento stesso del progetto di liberazione dell’umanità che è stato quello della scienza illuminista. Un progetto capace di rifondare la scienza stessa come più forte e più oggettiva perché liberata dalla miopia gender-blind, e capace al contempo di oscurare voci altre, ben più radicali, che rifuggendo da tutti i discorsi universalizzanti, mettono in primo piano il carattere di sapere/potere del discorso della scienza (post-modernismo) e il valore delle pluralità delle voci e di una complessa “matrice di dominio” (Collins, 1990), ed evidenziano il carattere artificiale della conoscenza scientifica.

Nuovi scenari si aprono, dove sapere e potere si saldano alleandosi in nuovi progetti normalizzanti rispetto ai quali certe ricostruzioni e rappresentazioni possono essere dipinte come corree e complici di un progetto di “riforma” della scienza che, parafrasando Ruth Bleier, sarà forse in grado di far spostare all’elefante (ovvero alla scienza) la proboscide, grazie alla gendered innovation, ma si tratta di uno spostamento funzionale a raggiungere nuove e più ricche fronde a cui alimentarsi11.

11

Come ben spiega Ruth Bleier l’utilizzo del pachiderma come personificazione dell’autorità e credibilità della scienza fondata sull’imparzialità e obiettività, intende sottolineare la resistenza dell’impianto ideologico della scienza stessa alle critiche (1986).

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