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Giuseppe Capalbo

3. CORPI CHE R-ESISTONO

Come abbiamo visto, gli eccessi di significazione sul corpo e nel corpo delle ragazze elettriche contribuiscono allo sviluppo della loro vulnerabilità: pertanto, esiste un nesso tra i concetti di corpo e vulnerabilità, dal momento che l’esposizione di un corpo – attraverso atti performativi – determina il suo livello di vulnerabilità. Da questa angolazione – di matrice butleriana – è implicito un riferimento alla spazialità: il livello di vulnerabilità di un corpo è ulteriormente influenzato dallo spazio in cui l’attante opera. Non a caso, Butler, in Notes Toward a Performative Theory of Assembly (2015), segnala come il corpo dell’individuo si intersechi con la dimensione pubblica (“public body”), pur mantenendo “[…] its modes of disavowal and disenfranchisement” (p. 87). Allo stesso modo, Bauman (2012), nell’elaborazione del concetto di “modernità liquida”, sottolinea quanto lo stesso spazio, in questo processo di becoming, sia mutevole e instabile, come un campo minato (p. xiv). L’individuo può, pertanto, scegliere di essere influenzato – e imprigionato – dallo spazio oppure influenzare – attraverso atti di resistenza – l’ambiente circostante, utilizzando il corpo come agente attivo14.

Le ragazze elettriche di Alderman, dopo una prima fase di passività, sfruttano la loro agency in qualità di self-creating subjects: da una parte, non sono più condizionate dalle regole della società di stampo patriarcale; dall’altra, richiamando Jerome Bruner (1990), iniziano a compiere azioni intenzionali (p. 9). In primo luogo, si appropriano dello spazio pubblico (p. 63) e iniziano la ricerca di un territorio vergine nel quale insediarsi per abbattere definitivamente la precarietà di un ambiente androcentrico: “[…] there will be a land for us, a new country. There will be a place that God will show us where we will build a new nation, mighty and free” (p. 83). In secondo luogo, riscrivono i testi canonici, come le Sacre Scritture, al fine di rimuovere tutti quegli elementi che legittimerebbero la predominanza dell’uomo sulla donna: “They

have said to you that man rules over woman as Jesus rules over the Church. But I say unto you that woman rules over man as Mary guided her infant son, with kindness and with love” (p. 83).

Ognuna di loro, facendo tesoro di quella vulnerabilità caratterizzante la loro vita passata, è d’accordo sul rifiuto di forme patriarcali di protezione: “I want to save women […]. I want to reach them and tell them that there are new ways to live, now. That we can band together, that we can let men go their own way, that we don’t need to stick to the old older, we can make a new path” (p. 106). In linea con quanto teorizzato da Butler (2015), il soggetto vulnerabile che ricerca sostegno e protezione da parte dello Stato, si affida a un potere di stampo patriarcale che, pur prendendone le difese, ridimensiona – fino ad appiattire – la sua agency; per mezzo dell’assembramento e delle manifestazioni pubbliche è possibile riconoscere l’assoggettamento e superarlo. Tenendo conto di questa riflessione butleriana, The Power esemplifica la capacità delle protagoniste di mettere in scena una corporeità elettrica che è “[…] at once vulnerable and capable of resistance, and that vulnerability and resistance can, and do, and even must happen at the same time, as we see in certain forms of feminist self-defense and institutions […] that seek to provide protection without enlarging paternalistic powers” (Butler, 2015: p. 141).

Come avvenne con Tunde nelle prime pagine del testo, la vulnerabilità non svanisce, ma si trasferisce sul corpo maschile: “There is something vulnerable and desperate in the men’s display – he thinks the women are looking with compassion” (p. 245). Allora, seguendo ancora Butler (2004b), la vulnerabilità è una caratteristica sociale e contingente, che permane all’interno del sistema, qualunque esso sia, oscillando da un capo all’altro dello spettro del genere (p. 18). Nel contesto ideato da Alderman, gli uomini acquisiscono quei tratti che hanno determinato nel tempo uno svilimento della figura femminile: oltre alla già citata violenza domestica, l’impossibilità di frequentare luoghi pubblici senza la supervisione di una donna (p. 243), il diniego del diritto di voto (p. 243), la mutilazione genitale (p. 248). Un simile sviluppo della trama è in linea con quanto sostenuto da Raewyn Connell in Masculinities (2005): l’interpretazione biologica del corpo – ovvero, il sito che tradizionalmente determinerebbe le differenze di genere – è posta in discussione da una visione di quella stessa superficie come ricettacolo di significazioni sociali (pp. 45-46). Con un velato richiamo – distopico – a Animal Farm (1945) di George Orwell, la graduale alleanza di questi corpi non conformi genera un nuovo sistema di potere – un vero e proprio matriarcato – in cui una donna di nome Allie assume il ruolo di guida spirituale, rinominando se stessa Mother Eve. Seguendo le sue indicazioni, l’elettricità, inizialmente impiegata in situazioni di pericolo, per rimodellare spazi e luoghi che prevedevano un declassamento della donna, viene ora sfruttata per punire selvaggiamente gli uomini: “Two of the women take him by the throat and send a paralysis into his spine. One squats on top of him. She pulls off his trousers. He is not unconscious. His eyes are wide and glistening. He is struggling for breath” (p. 280). La punizione corporea di cui sono vittime non è casuale: secondo Sandra Gilbert e Susan Gubar (2000), la corporeità maschile – nella fattispecie, la presenza del pene – è l’essenza del potere letterario, della dominanza degli scrittori sulle scrittrici (p. 4). Pertanto, svilire il corpo maschile è il primo passo nell’espropriazione di quel diritto all’autorialità di cui le donne sono state private per anni. Infatti, l’epilogo metaletterario è costruito attorno alla corrispondenza epistolare tra una scrittrice affermata – Naomi – e il giovanissimo autore delle pagine del romanzo stesso – Neil: l’instaurazione del matriarcato, con la perdita di agency da parte dell’uomo – ‘spoliato’ dalle donne elettriche, ha invertito non solo i ruoli di genere, ma anche il canone letterario. Ad essere invisibili – privi di quel pene-penna di cui tanto godettero in passato – adesso sono gli uomini, i quali devono confrontarsi con un panorama letterario al femminile che fatica ad accettare voci maschili. Dunque, per quanto la relazione romanzata dell’avvento del matriarcato, ad opera di Neil, sia interessante, Naomi consiglia: “[…] have you considered publishing this book under a woman’s name?” (p. 339).

4. CONCLUSIONI

The Power di Naomi Alderman si colloca perfettamente all’interno di quella tradizione letteraria fantascientifica al femminile che, dal 1940 in poi, ha permesso il sovvertimento degli stereotipi di genere, grazie all’introduzione di personaggi che la studiosa Helen Merrick (2003) ha definito “Amazon-like heroines” (p. 244). Alderman, così come Kruger con la sua opera d’arte, partendo dalle iscrizioni sul corpo – e nel corpo – femminile, rende la superficie corporea stessa un vero e proprio campo di battaglia. La fase di vulnerabilità, causata da un sistema dichiaratamente patriarcale, è seguita da atti di resistenza che arrivano a minare ogni supposta superiorità maschile. Tenendo conto di quanto affermato da Eleonora Federici (2018) a proposito di Ursula Le Guin, Alderman non solo utilizza la fantascienza come pratica discorsiva per la decostruzione di sistemi – sociali e simbolici – patriarcali (p. 169), ma riesce ad evidenziare i pericoli di una società ginocentrica che, come in Animal Farm, “[…] reintroduce la gerarchia e la diseguaglianza, giustificando l’appropriazione indebita e il furto in nome dell’utilità collettiva” (Battaglia, 2013: p. 48). In quest’ottica, gli atti di resistenza ideati da Alderman per i suoi “anticorpi elettrici” potrebbero essere interpretati come “resilienza progressiva”: secondo Gérard Bouchard (2013) si tratta della capacità di rispondere creativamente a uno shock e/o trauma (p. 267). Effettivamente, Alderman chiude il romanzo con una nota ambigua, quasi a voler evidenziare la fluidità e, al contempo, l’impossibilità di stabilire rigide barriere all’interno dello spettro del genere: “Gender is a shell game. What is a man? Whatever a woman isn’t. What is a woman? Whatever a man is not. Tap on it and it’s hollow. Look under the shells: it’s not there” (p. 338).

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