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Giuseppe Capalbo

2. LA PATOLOGIZZAZIONE DEL GENERE

Come ha osservato la studiosa Eleonora Federici (2015): “La fantascienza è un genere letterario che permette una sovversione del tempo, dello spazio e delle categorie culturali e sociali” (p. 9). Infatti, sebbene inizialmente sia stata connessa all’universo letterario maschile e maschilista4 – con autori come H.G. Wells e Lester del Rey, la fantascienza si è contraddista nel tempo per la sua impronta di genere, per il suo essere dichiaratamente écriture féminine, atto politico teso a problematizzare la rappresentazione della donna come figura-specchio5 – o, per richiamare esplicitamente Cixous (1976), “Old Woman” (p. 878).

The Power (2016) di Naomi Alderman si colloca all’interno di questa tradizione letteraria6: ambientato

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Oltre ai suoi capostipiti, la studiosa Veronica Hollinger (2003) fa notare come la fantascienza sia stata sfruttata per l’elaborazione di trame a tinte fortemente maschiliste. Helen O’Loy (1938) di Lester del Rey ne è un esempio paradigmatico: “The title character […] is a robot programmed to be the perfect woman” (p. 126).

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Come sottolinea la studiosa Bruna Mancini (2003), la “proprietà riflettente” delle donne era legata a doppio filo al loro silenzio, necessario per scongiurare il pericolo che “[…] se avessero riacquistato la voce e perso l’inferiorità mentale, morale e fisica sarebbe venuta meno anche quella loro preziosa ‘capacità di ingrandire’, con destabilizzanti ripercussioni sulla sicurezza e sulla superiorità del sesso egemone” (pp. 26-27).

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Nella fattispecie, si tratta di speculative fiction, definita dalla studiosa Sami Schalk (2018) come segue: “Speculative fiction allows us to imagine otherwise, to envision an alternative world or future in which what exists now has changed or disappeared and what does not exist now […] is suddenly real. For marginalized people, this can mean imagining a future or

in un futuro remoto, il romanzo è animato da un gruppo di donne che, gradualmente, rovescia il sedimentato sistema fallogocentrico, rivelando una natura orgogliosamente anti-normativa. È esattamente lo sviluppo di quelli che Vallorani definirebbe anticorpi a favorire l’abbattimento del patriarcato e la conseguente istituzione di un matriarcato: in altri termini, l’insorgere della capacità di produrre scosse elettriche favorisce una mutazione del corpo femminile – da ciò che Beauvoir (2011) definirebbe “passive plaything” (p. 98) a ausgedehnt7 – tale da permetterne la difesa da ogni attacco – fisico e/o verbale – da parte degli uomini.

Il testo si apre con una lunga citazione, che funge da prefazione allografa fittizia, riguardante la forma diramante che può assumere il potere, sia nel corpo della società che in quello femminile8: “The shape of power is always the same; it is the shape of a tree […]. This same shape grows within us, our inward trees of nerves and blood vessels […]. We are electrical. The power travels within us as it does in nature” (p. 3). Una tale proiezione, attivata per mezzo della scrittura sul/del corpo, sembra quasi riecheggiare quanto affermato da Vidal Claramonte (2018) a proposito del corpo come spazio eterotopico di assoggettamento e insurrezione (p. 19): la corporeità descritta da Alderman permette di riflettere e, allo stesso tempo, sovvertire lo spazio sociale. Come teorizzato da Foucault (2005), ciò sottende un rimodellamento del linguaggio stesso (p. xix), esplicitato dalla voce narrante: “It follows that there are two ways for the nature and use of human power to change. One is that an order might issue from the palace, a command unto the people saying ‘It is thus’. But the other […] is that those thousand thousand points of light should each send a new message” (p. 4). Entrambe le opzioni posseggono una forte impronta linguistica: nel primo caso, l’espressione cataforica “It is thus” esemplifica l’uso egemonico della parola; dall’altra, il riferimento alla trasmissione di nuovi messaggi da parte di entità definite “points of light” – i foucaultiani punti di resistenza – presagisce una presa di posizione, un atto di difesa, da parte di chi non rientra nella cerchia di comando.

Il primo personaggio ad apparire sulla scena è Roxy, una ragazza di quattordici anni che assiste, inizialmente inerme, all’uccisione di sua madre per mano di due uomini. La vulnerabilità di Roxy è da subito tratteggiata in termini spaziali, dal momento che ella è confinata in un ambiente specifico: “The men lock Roxy in the cupboard when they do it. What they don’t know is: she’s been locked in that cupboard before” (p. 7). La casa, una grande culla (p. 35) nella prospettiva di Gaston Bachelard (2011), perde la sua caratteristica di luogo sicuro: subisce un’invasione dall’esterno, tale da tramutare in vittime le persone che ivi dimorano. Seguendo la teoria geocritica di Yi-Fu Tuan (2001), secondo cui il luogo – place – si differenzia dallo spazio – space – per la sua natura privata e intima9, Roxy è soggetta a una vera e propria spoliazione che, anche in questo caso, si dirama su due fronti: a livello macroscopico, la casa; a livello microscopico, il suo corpo.

Eppure, avvertendo il pericolo, il corpo di Roxy subisce una mutazione: “Something’s happening. The blood is pounding in her ears. A prickling feeling is spreading along her back, over her shoulders, along her collarbone. It’s saying: you can do it. It’s saying: you’re strong […]. She cuppeth the lightning in her hand. She commandeth it to strike” (p. 9). La matrice corporea dell’evento, nel passo appena menzionato, è sottolineata dalla descrizione di ciò che Marcel Mauss (1973) ha definito “habitus”, ovvero il circuito involontario di movimenti prodotti da un corpo (p. 73): per esempio, il riflesso miotatico, il sangue che

alternative space away from oppression or in which relations between currently empowered and disempowered groups are altered or improved” (p. 2).

pulsa nelle orecchie o il formicolio diffuso tra la schiena, le spalle, la clavicola. Richiamando Sara Ahmed (2010), il corpo di Roxy, rispetto a quello della madre, smette di essere un mero “unhappy object” (p. 42): è una soglia di genettiana memoria, un elemento che mette in comunicazione, attraverso un atto magico di empowerment, i termini polarizzati del dualismo vulnerabilità-resistenza. Non a caso, dopo aver lanciato la scarica elettrica, Roxy “[…] feels out her body” (p. 11): riscopre quella pelle che ha incarnato dalla nascita e che adesso, per via di un effetto di straniamento, risulta nuova e inesplorata.

A seguire, ogni capitolo riporta l’attivazione del medesimo potere in altre donne: in particolare, la storia di Enuma consente una riflessione sullo sviluppo – apparentemente parallelo – di una vulnerabilità al maschile. Ella rilascia una scarica di elettricità, a basso voltaggio, sul corpo di Tunde, nel momento in cui quest’ultimo tenta di afferrarla per baciarla. Inizia così una frantumazione dei codici di genere prestabiliti, dal momento che Tunde avverte un senso di vulnerabilità tale da far vacillare la sua maschilità egemonica: “Or was it not her at all but some lustful malfunction of his own body? The whole thing chews at him […] There is shame like rust working its way through his body […]. His absolute vulnerability, the feeling that she could overpower him if she wanted” (p. 15). Questo passaggio non determina una condivisione – da parte di Enuma e Tunde – della vulnerabilità: si tratta, piuttosto, di un trasferimento da un corpo (femminile) all’altro (maschile). Seguendo Raewyn Connell (2011): “Quelle regolarità del carattere destinate a generare a loro volta regolarità di comportamento” (p. 169) subiscono un rimodellamento osmotico, attraverso l’atto della socializzazione con Enuma.

Tuttavia, nelle stesse pagine si assiste alla demonizzazione di una ragazza, non a caso innominata, rea di aver ferito un uomo, a seguito di una serie di avances da parte di quest’ultimo: “[…] saying a girl has poisoned a man. Hit him and poisened him. Struck him with a needle full of poison […]. That girl was a witch! That is how a witch kills a man” (p. 17). L’immaginario sviluppato riprende, amplificandolo, uno dei più noti stereotipi di genere: l’associazione della donna con il potere fuorviante della magia nera. Nel momento in cui ella mostra un’inedita abilità, tale da rimodulare la sua posizione all’interno del sistema patriarcale, avviene una vera e propria caccia alla strega10. Tunde, che assiste da lontano e che aveva sperimentato sulla sua stessa pelle quella mortificazione corporea, registra la scena per mezzo di un cellulare: in tal modo, sottoposta a uno sguardo di controllo e curiosità, la ragazza diviene quasi un oggetto scopofilico11. Si riafferma, così, la suddivisione in maschile/attivo e femminile/passivo.

Quando il video inizia a circolare online, raggiungendo un inaspettato numero di persone, la capacità – tutta al femminile – di generare elettricità attraverso il proprio corpo passa attraverso lo spettro della patologizzazione: “To start with, there were confident faces on the TV, spokespeople from the CDC saying it was a virus, not very severe, most of the people recovered fine, and it just looked like young girls were eloctrocuting people with their hands” (p. 19). Si stabilisce una gerarchia corporea, carica di eccessi di significazione (morale, medica, sociale): per esempio, nel testo si utilizza l’espressione “recidere il cancro” (p. 82), in riferimento all’estirpazione dell’elettricità annidatasi nella clavicola delle ragazze. La matrice fantascientifica della narrazione assume quindi un’inedita veste di “fictional pathography”12. Il potere, evocato dal titolo stesso del romanzo13, si tramuta in una malattia, un’irregolarità cromosomica (p. 153) da studiare e curare: “Her mom took her to a doctor privately and they gave her something to feel more

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Nell’ormai celebre A Room of One’s Own (1929), Virginia Woolf (2014) affermava: “[…] any woman born with a great gift in the sixteenth century would certainly have gone crazed, short herself, or ended her days in some lonely cottage outside the village, half witch, half wizard, feared and mocked at” (p. 47).

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A questo proposito, si rimanda a uno studio di Laura Mulvey (1975) che riprende il concetto freudiano di scopofilia, al fine di studiare la fascinazione per il corpo femminile, espressa attraverso lo sguardo maschile (pp. 6-18).

12 La studiosa Maria Micaela Coppola (2019) definisce la fictional pathography come “[…] the fictive account of illness, or narrative artworks that reconstruct and reflect on illness by employing the creative power of fiction” (p. 63).

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Se letta in questa prospettiva, la traduzione italiana del titolo – Ragazze elettriche – ne indebolisce la cosiddetta virtù aperitiva. A questo riguardo, si veda quanto affermato da Gérard Genette in Soglie: I dintorni del testo (2008): “Un buon titolo dirà tanto quanto basta per eccitare la curiosità, ma non per esaurirla” (p. 91).

normal. And she does, in a way” (pp. 206-7). In una prospettiva squisitamente foucaultiana (1995), la patologizzazione è funzionale allo smembramento del corpo per meglio controllarlo: “[…] it was a question not of treating the body, en masse, ‘wholesale’, as if it were an indissociable unity, but of working it ‘retail’, individually’” (pp. 136-7).

All’interno del romanzo, il filone medico-scientifico include una serie di provvedimenti atti a disciplinare le donne e proteggere gli uomini – i nuovi soggetti vulnerabili – vittime di violenza domestica: “Have you seen the numbers on domestic violence against men? On murders of men by women?” (p. 179). In tal senso, attraverso una retorica ipermaschilista, vi è una ridefinizione di quelle che Butler (2004b) ha definito “sheltering norms” (p. 34), ovvero le norme sociali stabilite per circoscrivere una zona sicura. Ad esempio, la necessità di scongiurare violenza e contagi comporta il rimodellamento degli spazi del maschile e del femminile: “Boys-only buses took them safely to boys-only schools” (p. 21). Oltre alla distinzione relativa ai mezzi di trasporto e alle scuole, le ragazze elettriche vengono confinate in spazi ad hoc, lontane da qualsiasi contatto con la controparte maschile: i cosiddetti Northstar camps.

Paradossalmente, la necessità di rientrare nelle cosiddette sheltering norms provoca una “gender- bending confusion” (p. 89): i ragazzi iniziano a utilizzare gli indumenti femminili per acquisire un potere che non appartiene più alla loro categoria; alcune ragazze, al contrario, decidono di travestirsi da ragazzi per non essere individuate come portatrici di malattia, violenza e/o sventura. Ciò è causato dalla violazione di quella che Butler (2006) ha definito “naturalized knowledge” (p. xxiii): la patologizzazione delle donne e il riassetto delle società provocano un ribaltamento carnevalesco di quel patrimonio culturale universalmente accettato (e.g. le convenzioni relative all’abbigliamento per uomo e per donna).

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