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Stefania Cavagnoli, Francesca Dragotto

UN BACIONE NON SI NEGA A NESSUNO

A prima vista l’espressione di Matteo Salvini sembra consegnare calore, simpatia e familiarità al destinatario. Poi verrà anche il punire, c’è tempo, tranquilli, intanto però amore a tutti

“Bacioni” è un saluto, meglio, un congedo stizzito, figlio della secolarizzazione pop del piccino linguaggio politico che presume familiarità da dirimpettai in slip, dunque con il resto del mondo, implicito insulto travestito da falsa cortesia, possibilmente rivolto all’altro, al “radical chic”, al “sinistro”, al “professorone”, al renitente alla propaganda sovranista. […] Bacioni perfino come velata minaccia, volendo. [...]

Lo slittamento semantico, in quanto operato congiuntamente a un uso di prossemica e linguaggio paraverbale orale o scritto (emoji) coerente con la semantica lessicale del salutema, avalla interpretazioni differenti a seconda delle presupposizioni proprie dell’interpretante e, così facendo, la neosemia si radica presso la totalità della comunità linguistica…

Il tutto a dispetto del fatto che i bacioni tanto quanto le preoccupazioni e le manifestazioni di interesse, gli inviti a prendersi una birra o un tè espongano all’attacco virale chi ne è destinatario e in particolare oppositrici accomunate dall’aver ottenuto esposizione mediatica o per la professione o funzione rivestita, o persino solo occasionalmente, come nel caso di donne “ree” di manifestare pubblicamente il proprio dissenso (in rete o per strada).

Nel caso di costoro, i bacioni o l’esortazione alla tranquillità attivano perlocutivamente (un ‘via libera’ muto) forme di hate speech sessista e in particolare quel dispositivo linguistico al quale ci si riferisce con slut shaming23, la cui funzione primaria è la regolamentazione della sessualità femminile (cfr. Dragotto et al., 2020)24. Bacioni… e l’agorà si fa gogna.

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Cfr. le manifestanti minorenni al “No Salvini Day” dell’11/2018, la cui foto non oscurata apparve sui profili del vicepresidente col commento “Poverette. E sorridono pure…”. Al post fecero eco commenti sessisti (dal post di Socialisti gaudenti) quali:

Figg. 13 e 14: Salvini irride due manifestanti innescando l’hate speech della Rete

Fonti: fotogrammi estratti dai profili Facebook di Salvini (Figura. 13) e di Socialisti Gaudenti (Figura.14)

5. CONCLUSIONI

Strumenti analitici vecchi per forme di comunicazione nuove e rinnovate nei linguaggi. Questo è quanto appare possibile formulare a sintesi della riflessione prodotta.

Per il suo essere moderna e per la capacità di aver pervaso e occupato, fino a saturarlo25, il paesaggio comunicativo sia visivo che uditivo, il modello di comunicazione globale di cui si fa espressione locale Matteo Salvini, imporrebbe, perché possa trovare una r-esistenza, un ripensamento globale che deve coinvolgere soprattutto le rappresentazioni sociali condivise proprie della comunità socioculturale italiana e italofona e il suo repertorio di linguaggi e di forme espressive.

Mantenere pregiudizi vecchi, o non tener abbastanza conto di quanto l’esposizione ai nuovi social (in assenza di competenze adeguate) stiano modificando l’enciclopedia mentale di larghe fette di popolazione sempre più consistenti, esposizione che, sommata a quella dei mezzi di comunicazione più tradizionali, portatori di narrazioni di genere più narrativo, sostanza esplicita o sottotesto costante alla rappresentazione del mondo offerta alle restanti fasce di popolazione comporterà l’incapacità di fornire a individui e gruppi sociali narrazioni alternative in grado di fungere da contraltare a quelle tutt’altro che ingenue pòrte dai testi presi in esame per questo contributo.

Per dirla con l’intervista di Teresa Bellomo, per Sapiens,26 a Giuseppe Cruciani de “La Zanzara” di Radio24, che si riporta nella rielaborazione di Dagospia.com del 23/10/2018:

È difficile tenere testa a un provocatore come il nostro ministro degli Interni nonché vicepremier Matteo Salvini. Dirette Facebook, emoji, foto di piatti, selfie, saluti ai rosiconi, bacioni. La trovo una cosa

25 L’assurgimento di Matteo Salvini a quello che Eco chiamava personaggio topos, si può palpare anche per il mancato stupore provocato dall’ipotesi evocata dall’articolo UN FILM DI DAVID LYNCH SU SALVINI? (Reset-Italia.net del 13/09/2018).

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Paradigmatico il titolo con cui la lunga intervista, su Luz.it, è sintetizzata: TUTTA COLPA DI CRUCIANI. Come si fa a continuare a spararla grossa quando la realtà supera la boutade? Risponde chi da più di dieci anni ascolta tutti (per poi mandarli a quel paese). https://luz.it/en/spns_article/giuseppe-cruciani-intervista/ (data ultima consultazione: 05/01/2020).

meravigliosa. […] un modello comunicativo moderno e, finché regge, vincente. Continua a fare quasi tutte le cose che faceva prima. Twitta, fa le dirette Instagram, va a Radio Padania. Ogni occasione è buona per dire la sua su ogni fatto di cronaca, montandolo così a proprio piacimento. È uno stile di comunicazione estraneo alle istituzioni, ma in realtà è estremamente attuale. Salvini ruspa era prima e ruspa è adesso […]

Enorme il peso cognitivo agito dal linguaggio verbale nella costruzione di questa comunicazione che, per appagare con successo la propria fame di consenso, opera dei mescolamenti che ben si spiegano adottando un modello di comunicazione completamente circolare, in cui il è target stesso a fornire al brand Salvini, attraverso le proprie narrazioni, la sostanza e le forme della sua stessa comunicazione.

Lo fa attraverso l’interazione comunicativa in spazi tradizionali o nei più recenti spazi social, forieri di topic, di stilemi e di forme linguistiche che per realizzarsi non prediligono una varietà in particolare del repertorio. Tutt’altro, proprio perché distribuite in numerose varietà, quella salviniana che le recupera risulta trasversale al repertorio e per questo funzionale e intercettare simultaneamente gruppi sociali diversi. Questa varietà, che diacronicamente si inscrive nel solco del rinnovamento berlusconiano degli stilemi del linguaggio politico, esasperandolo, si offre alla platea fruitrice come emblema del “tutto si tiene”, in senso letterale e non saussuriano: tradizione e innovazione, globale e locale, atteggiamenti di governo e insieme di opposizione.

Del modello di comunicazione berlusconiano questa rivisitazione rinnovata riprende la tendenza ad attingere dalla ‘lingua della strada’, elevata a modello fieramente rivendicato tanto da proporlo come cifra identitaria di una “ideo-logia” (‘il proprio pensiero/discorso’) che funziona e seduce perché “etero-logia” (‘il pensiero/discorso degli altri’). Che funziona perché restituisce, a chi li ha forniti, pensieri e discorsi: condizione necessaria e sufficiente, questa, perché si venga a instaurare tra personaggio e pubblico un legame ben più che fiduciario, fideistico, giacché radicato in credenze condivise e pertanto difficilmente contrastabili, almeno con gli strumenti della comunicazione tradizionale e della ragione.

L’apertura ininterrotta del canale comunicativo e l’occupazione di media vecchi, nuovi e nuovissimi (cfr. il primato di ‘sbarco’ su Tik Tok) per mezzo di testi basati su uno storytelling poliforme che seduce anche perché non contrastato o mal contrastato, indurrebbe a ipotizzare che la sola forma di r-esistenza potrebbe essere costituita dalla circolazione di contronarrazioni. Un antidoto che però, se usato in modo funzionale al solo consenso e non supportato dall’agire non comunicativo (riscontrabile nell’esperienza), si tradurrebbe nella mera sostituzione di uno storytelling con uno nuovo e non in quel contributo a una più equilibrata costruzione e rappresentazione della conoscenza che qui ci auspichiamo.

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