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Giuseppe Burgio

4. I MASS MEDIA

Un trait d'union tra il tema del precedente capitolo (i giocattoli) e quello dell'attuale (i mass media) è costituito dagli spot televisivi dei giocattoli. Appare anche uno snodo cruciale dell'educazione di genere perché la pubblicità è molto amata dai piccoli per alcune sue caratteristiche: la ripetitività, la brevità temporale, le situazioni familiari, la semplicità del messaggio verbale e iconico, l'attrattività del prodotto pubblicizzato ecc. In più, essi propongono generalmente dei personaggi un po' più grandi dell'età target per attivare le aspirazioni e il desiderio di emulazione, producendo così nei giovani spettatori il timore di poter essere non adeguati al modello proposto, e pilotandoli verso scelte di acquisto adeguate al modello cui si desidera aderire (Biemmi, 2014). Tale modello ha una forte connotazione di genere, com'è evidenziato da questo raffronto (Biemmi, 2014):

Tab. 1: Le pubblicità dei giocattoli

Pubblicità per bambini Pubblicità per bambine

cambi di immagine netti e frequenti cambi d'immagine diluiti e dissolvenze narrative forti e ritmate narrative soft e ritmi più lenti

musica pop-rock musica più pacata e melodica

spazi aperti e avventurosi (boschi, montagne, deserti)

scenari rassicuranti

(la cameretta e il salotto come setting principali) prevalenza dei colori nero, grigio, blu e rosso colori tenui e pastello

Fonte: elaborazione dell'autore sulla base di Biemmi (2014)

Negli spot mandati in onda nella fascia oraria di trasmissioni per l'infanzia e rivolti esclusivamente ai maschi si pubblicizzano:

veicoli, piste, bambolotti che rappresentano guerrieri ed eroi, castelli e fortezze dove sono ambientate scene di battaglia, videogiochi, robot. […] I valori predominanti sono la velocità, la competizione, il coraggio, il rischio e l'avventura. I bambini protagonisti degli spot sono molto attivi e indipendenti […]; dalle loro espressioni facciali emergono concentrazione, aggressività, sforzo fisico. […] Se ci spostiamo sul fronte femminile troviamo uno scenario agli antipodi. Le giovani attrici protagoniste degli spot si

prendono cura di bambole e bambolotti e anche del proprio abbellimento personale; mentre giocano, dai loro volti traspare allegria, divertimento, stupore, tenerezza, tranquillità. […] I giocattoli utilizzati dalle bambine sono: castelli e casette, stoviglie in miniatura, accessori per la casa, riproduzioni di case, accessori per l'abbellimento (specchiera, trucchi, braccialetti), e, naturalmente, bambole. (Biemmi, 2014, pp. 64-65)

Non solo però attraverso la pubblicità i media esercitano un grande potere normativo e di addestramento ai ruoli di genere, offrendo – attraverso l'intera programmazione destinata ai piccoli spettatori – precise indicazioni su quali comportamenti è necessario assumere per diventare donne e uomini in modo conforme alle aspettative sociali (Biemmi, 2014). Costante e pervasiva è, ad esempio, l’oggettivazione/mercificazione dei corpi femminili (Zanardo, 2010), così come il preoccupante fenomeno dell’adultizzazione precoce dei bambini – in particolare, delle bambine – fin dalla prima infanzia (Contini et al., 2016). In relazione a quest'ultimo tema, uno studio recente analizza, ad esempio, un modello paradigmatico come Violetta, l'adolescente protagonista dell'omonima telenovela prodotta dalla Disney che, dal 2012 al 2015, è riuscita ad attirare un pubblico non solo di adolescenti o preadolescenti ma, soprattutto, di bambine dai 6 anni in su (Antoniazzi, 2014). Si è trattato di un importante fenomeno crossmediale che comprendeva anche lungometraggi, CD, videogame, gadget di ogni tipo e concerti. Questo complesso dispositivo ha reso evidenti le sue dimensioni di educazione di genere, ad esempio, nei concerti di Martina Stoessel (l'attrice che interpretava la protagonista), nei quali le foto e i video mostrano un pubblico adorante composto di bambine vestite, truccate e atteggiate allo stesso modo del personaggio (Antoniazzi, 2014). L'educazione mediale al genere è però estremamente complessa e comprende anche trasformazioni innovative. I lungometraggi più recenti della Disney, ad esempio, sembrano mostrare la tendenza (La principessa e il ranocchio, 2009; Rapunzel, 2010; Ribelle-The Brave, 2012; Frozen-Il regno di ghiaccio, 2013) a presentare personaggi femminili ormai affrancati dal modello tradizionale della Bella Addormentata (Biemmi, 2014).

5. LO SPORT

L'attività fisica e sportiva costituisce un dispositivo sessuato di costruzione e socializzazione del corpo, uno spazio di apprendimento degli “usi sociali”: sui campi di calcio, sui tatami di judo e negli spogliatoi, i bambini imparano a diventare ‘veri uomini’ mentre le bambine si allenano a ‘ritualizzare’ la femminilità nei corsi di danza e di ginnastica (Louveau, 2017). Il calcio in particolare è considerabile come uno sport particolarmente ‘sessualizzato’ che (ri)produce l'identità maschile (Ribeiro Corossacz, 2010). Sono infatti intimamente maschili i linguaggi, il modo di pensare, gli atteggiamenti, i comportamenti... l'intera cultura del calcio, professionistico e giovanile (Arte, 2012).

Al di là di questo esempio macroscopico, tuttavia, la connotazione di genere vale per tutti gli sport: oggi, tutte le discipline sportive sono potenzialmente accessibili alle donne […]. Eppure, la distribuzione differenziale dei due sessi negli sport è più che reale: tra le circa 85 federazioni sportive (olimpiche e non olimpiche), una quarantina comprende meno del 20% di donne. Il calcio, il rugby, il ciclismo, il tiro a segno, la boxe, contano meno del 10% di donne. Così, gli sport da combattimento ravvicinato, gli sport collettivi su grandi terreni, gli sport motoristici […] restano nella grande maggioranza maschili, mentre le danze, le ginnastiche, gli sport sul ghiaccio o ancora l’equitazione sono sempre, e sempre più, attività oggettivamente ‘da donne’ (la proporzione delle tesserate è superiore al 75%). (Louveau, 2017, p. 87)

palinsesto dei canali televisivi: circa i due terzi delle migliaia di ore consacrate ogni anno allo sport sui canali televisivi si occupano di sport femminili e gli sport più diffusi, in termini di ore – il calcio, il rugby, la pallacanestro, il ciclismo… – sono anche quelli più ‘mascolinizzati’ (Louveau, 2017). E, addirittura, la commercializzazione dello “sport” ha bizzarramente incluso nel suo dominio anche alcune attività, come le corse automobilistiche o motociclistiche, che non producono affatto benefici fisici, ma che sono fortemente implicate in quei processi sociali di costruzione della maschilità (Connell, 2000) rappresentati, ad esempio, dalla classica associazione simbolica donne e motori. In sintesi, attraverso lo sport che si esercita o cui si assiste, i bambini e le bambine (prima ancora che gli adulti) interiorizzano una formazione sottile e capillare su cosa significhi essere maschi o essere femmine, sulla pensabilità stessa di ciò che il loro corpo può essere e può fare.

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