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Giuseppe Burgio

1. I BAMBINI E LE BAMBINE

Molte persone fanno risalire all'infanzia il riconoscimento della dimensione sessuata dell'esistenza (Montano et al., 2009). L'identità di genere si sviluppa infatti dalla nascita ai tre anni (Fiorucci, 2018). Intorno ai 3 anni si ha poi la scoperta della sessualità, del proprio corpo, dei propri genitali (Marion, 2015). I bambini sviluppano contemporaneamente il desiderio di conoscere le questioni sessuali: da dove vengono i bambini? che fanno mamma e papà nella camera da letto? (Marion, 2015). A partire dalla stessa età, i ruoli e i comportamenti tendono a venire condizionati dal genere d'appartenenza e ogni forma di atipicità viene spesso giudicata negativamente:

i bambini e le bambine tra i 4 e i 6 anni sembrano cogliere con chiarezza le 'differenze' tra uomini e donne; inoltre, per assimilazione, possono annettere un significato negativo alle parole 'gay' e 'lesbica', anche quando non ne conoscono il significato. […] A scuola [poi], tra i 7 e i 10 anni, possono comparire i primi comportamenti vessatori verso chi è percepito come 'diverso'. I bambini, in particolare i maschi, iniziano a usare parole offensive nei confronti dei gay e dell'omosessualità. […] Così, i ragazzi che non rispettano i ruoli di genere convenzionali spesso vengono stigmatizzati e isolati. (Lingiardi et al., 2015, p. 131)

Molti adulti omosessuali, ad esempio, riconducono all'età di 4-5 anni la prima sensazione di diversità ed esclusione rispetto ai propri coetanei a causa, ad esempio, delle loro preferenze nei giochi, di aspetti del carattere o di comportamenti considerati atipici rispetto alla visione convenzionale del genere d'appartenenza, ecc. (Lingiardi et al., 2015). Ciò avviene anche a causa degli errori cognitivi che appaiono diffusi tra i bambini che cercano di ricondurre ciò che è ‘diverso’ a schemi tradizionali e conosciuti, come testimonia, ad esempio, l'idea che in una coppia omosessuale qualcuno debba fare il maschio e qualcun altro la femmina, o il ritenere gli omosessuali una specie di terzo genere, una mente maschile in un corpo

bambine) che vivono il proprio essere maschi o femmine in modo più o meno lontano dalle norme culturali socialmente definite per il loro sesso di attribuzione. Si tratta di un concetto, quindi, che non ha niente a che vedere direttamente con uno stato di sofferenza personale, a differenza della disforia di genere. Solo alcune persone “non conformi al genere” sperimentano infatti la disforia di genere. (Ferrari et al., 2018, pp. 75-76)

Abbiamo infatti disforia di genere quando siamo in presenza del desiderio intenso di appartenere all'altro genere, una forte preferenza nell'indossare abiti femminili dai nati maschi o abiti maschili dalle nate femmine, una forte preferenza per ruoli dell'altro genere nei giochi, etc. Quando non sono presenti gli elementi per tale definizione, si usa l'espressione gender variant children per indicare semplicemente uno sviluppo ‘atipico’ dell'identità di genere (Di Ceglie, 2015). E purtroppo le bambine ‘mascoline’ e i bambini ‘effeminati’ (cui ci riferisce parlando di varianza di genere) soffrono di una forma generalizzata di non accettazione sociale (Burgio, 2019a) e quanti/e “subiscono pressioni per adeguarsi alle regole sociali e alle aspettative connesse alla loro appartenenza a uno dei due sessi [...] tendono più facilmente a sviluppare ansia, tristezza, ritiro sociale, bassa autostima” (Valerio et al., 2015, p. 82). Al di là del fatto che solo la metà dei bambini gender non conforming diventeranno omosessuali e solo un terzo di loro diventerà transessuale in età adulta (Montano et al., 2009; Di Ceglie, 2015), a tutti/e loro è necessario garantire pienamente l'agio scolastico, così come ai loro compagni.

2. LE FAMIGLIE

La prima agenzia educativa incontrata dai bambini è la famiglia, o meglio le famiglie. L'uso del plurale è consigliato non solo dai cambiamenti introdotti dalle unioni civili omosessuali, dalle famiglie ricomposte post-separazione, dai genitori single, dalle famiglie pluriculturali ecc. (Fruggeri, 2005), ma anche dal fatto che tutte le famiglie, indipendentemente dalla loro forma, stanno costruendo nuovi modelli genitoriali sempre più svincolati da quelli che caratterizzavano le generazioni precedenti (Chiari, 2011). Contemporaneamente, tutti gli altri riferimenti parentali (fratelli, sorelle, zie e zii) sono diventati sempre più assenti (vista la numerosità di figli unici) o più distanti, sia fisicamente sia emotivamente. Ciò ha comportato un'iper-responsabilizzazione dei genitori che si vivono come garanti unici dello sviluppo del bambino, in un contesto urbano sempre più caratterizzato dalla privatizzazione degli spazi, dalla percezione di insicurezza e dalla rottura dei legami sociali, dinamiche che producono un crescente isolamento delle famiglie (Chiari, 2011). All'interno di questo contesto in trasformazione, le famiglie fanno educazione di genere, imponendo regole e comportamenti ‘da donna’ e ‘da uomo’, un'educazione che ha inizio fin da prima della nascita – attraverso le aspettative differenziate dei genitori – e continua per tutti gli anni dell'infanzia, con stili relazionali ed educativi differenziati, che tendono a coinvolgere in modo differente maschi e femmine nelle varie attività. Nell'educazione di genere dei bambini si inseriscono poi anche i nonni (che appartengono a generazioni più conservatrici dal punto di vista culturale) o baby-sitter che possono provenire da Paesi stranieri, con modelli di genere più rigidi dei nostri (Ricchiardi et al., 2005). Nell'educazione familiare, insomma, bisogna tener conto delle dinamiche legate alle generazioni, inserite in una società ormai pienamente multiculturale.

L'educazione di genere in famiglia è fatta anche di preoccupazione, spesso prive di base scientifica, col risultato che, ad esempio:

le passioni infantili sono osservate ormai attraverso la lente di questi pregiudizi, ma i grandi amori dei bambini per i propri compagni, 'amici o amiche del cuore', non fanno distinzioni di sesso. Il sentimento dei bambini, passionale e impetuoso, possessivo e geloso più di quanto si immagini, può andare in tutte le direzioni […]. Quando i comportamenti di un bambino contraddicono le più comuni aspettative degli adulti, si profila il grande rischio di una confusione delle lingue. L'adulto, sotto la spinta di fantasie e angosce spesso del tutto inconsce, impone la propria lingua assegnando significati a ciò che per il

bambino potrebbe avere un senso molto diverso. È quanto succede attribuendo ai piccoli un'identità di genere ancora tutta da conquistare, mentre i loro comportamenti non consentono di fare alcuna previsione sul futuro comportamento sessuale. […] [Ma] se un bambino si accorge di non corrispondere alle aspettative dell'ambiente può sentirsi confuso e sbagliato, inadeguato al suo genere. (Valle, 2015, pp. 155-156)

Ogni famiglia, infine, produce un'educazione che tende a normare il proprio interno ma, anche, a giudicare le altre famiglie. Nelle classi scolastiche, però, abbiamo ormai tipologie molto differenziate di bambini. Per fare solo qualche esempio, abbiamo figli di coppie omosessuali (per fecondazione eterologa o per adozione), figli di coppie omosessuali nati da precedenti relazioni eterosessuali, figli dei quali uno/a dei genitori si è scoperto bisessuale... Nella socialità infantile, la differenza tra i tipi di genitori può produrre esclusioni spietate e sofferenze profonde. È però utile ricordare che trasversali alle differenze possono essere vari, potenzialmente scomodi, posizionamenti (Fruggeri, 2011). Alcune coppie omosessuali, ad esempio, condividono la condizione di quelle coppie eterosessuali che hanno fatto ricorso a tecniche di fecondazione assistita eterologa oppure all'adozione. Le coppie omosessuali condividono con alcune coppie eterosessuali la negoziazione dei ruoli familiari nella quotidianità, condividendo e scambiandosi i compiti di cura. Le coppie omosessuali con figli (nati da una precedente relazione eterosessuale di un membro della coppia) condividono con le famiglie eterosessuali ricomposte una gestione poliedrica e non duale della genitorialità. E si potrebbe continuare a elencare altre comunanze trasversali... Forse, però, è maggiormente utile affermare un principio educativo che consigli di preoccuparci di dare risposta ai bisogni di tutt* e di rimuovere gli eventuali ostacoli allo sviluppo di ciascun*, piuttosto che stilare tassonomie che possono portare a gerarchie ed esclusioni.

3. IL GIOCO

Importanti strumenti di educazione di genere sono i giocattoli, attraverso cui i bambini e le bambine si socializzano ai modelli dominanti del maschile e del femminile (Ghigi et al., 2018). Com'è noto, i cataloghi commerciali propongono infatti giocattoli differenziati per boy o girl, ma le logiche commerciali seguono (e, al contempo, alimentano) le convinzioni degli adulti, più propensi a comprare giocattoli ritenuti conformi al genere (Ricchiardi et al., 2005). Appare infatti convinzione diffusa che siano, ad esempio, tipicamente maschili i giochi che sviluppano l'intelligenza spaziale (come le costruzioni, i puzzle, i Lego, le automobili, le motociclette e i “supereroi”). Al contrario, si presume che le ‘femminucce’ preferiscano bambole, utensili domestici in miniatura, smalti per le unghie, etc.

Non siamo tuttavia affatto certi che ci sia una predilezione innata. La maggior parte dei bambini osservati nella scuola dell'infanzia e nelle ludoteche privilegia infatti giocattoli considerati neutri, in seconda istanza quelli considerati coerenti col proprio genere, anche se si rileva – ad esempio – una certa propensione maschile per i giochi simbolici a tematica familiare quali la casa, la cucina, il mercato (Ricchiardi et al., 2005) che consideriamo ‘femminili’, ma che forse dovremmo imparare a riferire al simbolico della paternità. Già alla scuola primaria, tuttavia, nessun maschio sceglie più giochi ‘femminili’, mentre le bambine continuano a esplorarli entrambi (Ricchiardi et al., 2005; Lingiardi et al., 2015). Ciò appare effetto di una pressione familiare e sociale alla conformità di genere che Ghigi (2019) mostra essere basata sulle convinzioni degli adulti, piuttosto che su una reale preferenza dei bambini. Tale pressione alla conformazione di genere appare – abbiamo visto – più forte sui maschi: “le ricerche mostrano chiaramente che, da parte dei genitori e dei pari, l'atipicità dei maschi è meno accettata rispetto all'atipicità nelle femmine” (Batini, 2011, p. 21).

Esiste cioè un'educazione di genere più stringente verso chi occuperà il ruolo privilegiato nella gerarchia sociale di genere, esattamente come c'è generalmente maggiore preoccupazione in relazione all'educazione dei figli delle élite sociali.

Con tale considerazione, ovviamente, non si vuole consigliare di spingere i bambini verso entrambi i tipi di giocattoli, o verso giocattoli ‘neutri’, piuttosto di permettere loro l'accesso ai giochi che preferiscono, sostenendoli in ogni caso. Il problema non è infatti capire se i bambini scelgono ‘spontaneamente’ o per induzione sociale quei giocattoli che consideriamo conformi al loro genere, piuttosto analizzare se questa scelta sia funzionale allo sviluppo complessivo della persona. Emerge infatti una potenziale correlazione tra scelte di giocattoli molto connotati per genere durante l'infanzia e scelte formative (Biemmi et al., 2016) e carriere lavorative differenziate secondo il genere da adulti (Ricchiardi et al., 2005).

L'importanza dell'attenzione da dare al campo dei giocattoli appare infine rafforzata dalle trasformazioni che oggi lo coinvolgono. Mentre infatti, negli anni Ottanta del secolo scorso, venivano prodotti molti giocattoli rivolti tanto ai maschi quanto alle femmine, dagli anni Novanta è in corso un’operazione di marketing denominata “rigenderizzazione” (Lipperini, 2007) che consiste nella rinnovata differenziazione di giocattoli secondo il genere del target commerciale individuato.

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