SECONDA PARTE: LA RICERCA
3. LA RICERCA
3.1 Analisi critica della letteratura
morte. A fronte di tale condizione ineluttabile, queste ricerche si sono focalizzate sull’analisi di come la malattia arrivasse a ristrutturare in qualche modo la vita e l’identità della persona che doveva affrontare la morte sicura, arrivando ad evidenziare i cambiamenti che effettivamente avvenivano nell’identità dell’individuo in seguito alla malattia. Un esempio di tali cambiamenti era costituito da un’attivazione simultanea degli ultimi stadi dell’identità del modello di Erikson in seguito alla malattia (Marshall, 1991; Thomas, 1994; Merriam, Courtenay e Reeves, 1997). Benché in taluni casi questi studi e i risultati ottenuti siano ancora almeno in parte utili, fortunatamente la ricerca scientifica medica ha progredito generando terapie di sostegno in grado di evitare la morte certa della persona affetta da HIV/AIDS e di garantirle una vita più lunga e qualitativamente accettabile. In questi casi quindi l’accelerazione del susseguirsi degli stadi di sviluppo dell’identità, previsti dal modello teorico di Erikson, non sembra rendere adeguatamente conto dei cambiamenti identitari a cui oggi devono far fronte le persone affette da HIV/AIDS. Si può in particolare ipotizzare che questa attivazione simultanea non risulti più riscontrabile/verificabile alla luce delle nuove terapie antiretrovirali che hanno determinato un allungamento della vita delle persone affette da HIV/AIDS. A ciò si aggiunge il fatto che l’utilizzo del modello di Erikson, come modello teorico di riferimento nella conduzione di uno studio rivolto a malati HIV/AIDS, possa risultare inadeguato, considerata soprattutto la “rigidità” con cui Erikson concettualizza lo sviluppo dell’identità di un individuo.
Altri studi hanno invece posto l’attenzione sull’accettazione/incorporazione della malattia nell’immagine di sé. Uno studio a nostro parere interessante che dà contributi utili rispetto allo studio dell’identità della persona sieropositiva è stato condotto da Tewksbury e McGaughey (1998).
Questo studio è in particolare degno di nota poiché identifica tre aspetti e/o passaggi relativi alla malattia definita come biographical disruption (Bury, 1982) nel sé: il momento del test, quello di validazione/diagnosi della malattia e quello della rivelazione di quest’ultima ad altri (aspetti della malattia ripresi dagli studi di Charmaz, 1995). Ciascuno di questi aspetti incide sul processo di trasformazione dell’identità dell’individuo; è bene però osservare come nello studio si precisi il fatto che non esiste né un tempo specifico, né una modalità specifica tramite la quale l’individuo affronta ciascuno di questi aspetti. Benché questa considerazione possa a prima vista apparire banale è in realtà decisiva per comprendere come prevalga un processo di assoluta soggettività nell’affrontare tali aspetti. Si può ipotizzare che le differenze intersoggettive siano almeno in parte imputabili a fattori quali il contesto sociale e le relazioni sociali in primis, nonché il momento di vita e di malattia particolare dell’individuo e della sua condizione psicofisica.
Questo ci suggerisce in particolare quanto sia importante per studi come questi considerare anche la fase di malattia in cui le persone si trovano al momento della rivelazione, da quanto tempo cioè le
persone sono a conoscenza del proprio status di sieropositività, aspetto invece trascurato dalla maggior parte degli studi presenti in letteratura su tale tema. Come è emerso da alcuni studi (Courtenay, Merriam e Reeves, 1998; Courtenay, Merriam e Reeves, 2000; Baumgartner, 2007) se pur in termini ancora generali, il tempo modifica l’incorporazione di eventi, in questo caso la malattia, e l’identità stessa della persona malata. La maggior parte degli studi presenti in letteratura invece prende solitamente in considerazione un campione di persone affette da HIV con un range di diagnosi molto ampio; non viene quindi specificata la fase di malattia in cui le persone si trovano.
Queste considerazioni sul tempo di diagnosi invece vanno in parallelo con le diverse reazioni psicologiche legate alla malattia che possono emergere nel corso del tempo. Per le persone a cui è stato diagnosticato un tumore, ad esempio, si sono individuate alcune fasi che scandiscono le dinamiche psicologiche più frequenti della persona malata, soprattutto quando essa va incontro alla morte. Queste fasi influenzerebbero la persona malata in modo differente comportando una diversa accettazione della malattia (Steinhauer, Mushin e Rae-Grant, 1974; Kübler-Ross, 1992). Se quindi le diverse reazioni psicologiche alla malattia cronica e alla possibilità di morte si ripercuotono in maniera diversa sulla persona e sulla sua vita nelle diverse fasi della malattia, occorre tenere in considerazione questi elementi che potranno influenzare in tempi diversi la rottura dell’equilibrio identitario e la conseguente ristrutturazione dell’identità della persona malata e, nello specifico, affetta da HIV/AIDS.
Nell’ambito dell’HIV alcuni studi evidenziano che le persone sembrano avere reazioni psicologiche diverse anche in relazione a credenze ed emozioni rispetto alla malattia. Queste ultime influenzano infatti il processo di incorporazione “psicologica” del virus. Nello specifico, Griffin e Rabkin (1998) sottolineano come la persona sieropositiva che crede di poter avere un controllo personale sulla propria malattia, manifesta anche un migliore adattamento psicologico alla malattia stessa, ma solo se si trova in una fase avanzata. Ancora, Lynch e Palacios-Jimenez (1993) mettono in evidenza l’emergere di emozioni diverse legate alla malattia a seconda della diversa fase in cui la persona si trova. In altre parole questi studi sembrano affermare che le credenze circa la malattia vanno ad incidere sul modo in cui si reagisce alla stessa e quindi sul processo di ristrutturazione identitaria, processo studiato da questi autori in termini di incorporazione/accettazione della malattia. Viene quindi messa in evidenza la relazione tra rappresentazioni cognitive della malattia e di sé stessi.
In questa prospettiva altri studi interessanti hanno sottolineato gli aspetti cognitivi del processo di incorporazione della malattia facendo riferimento ad una specifica teoria: la teoria trasformazionale elaborata da Mezirow (1981). Secondo questo autore, le persone compiono continui aggiustamenti e adattamenti ai propri schemi di significato, modificazioni che permettono una visione più ampia e complessa del mondo di volta in volta differente. Nell’ambito della malattia, questi mutamenti di
significato apportano implicite modificazioni nell’identità dell’individuo e permettono alla persona malata di incorporare la malattia nel proprio sé. Anche gli studi che hanno fatto riferimento a questa teoria hanno evidenziato la necessità di considerare il tempo come variabile importante nell’incorporazione dell’HIV/AIDS nell’identità della persona malata, mentre nel contempo hanno sottolineato l’importanza della fase di rivelazione della propria malattia ad altri per il buon esito del processo stesso.
La rivelazione, infatti, emerge come elemento essenziale nell’incorporazione/accettazione della malattia nell’identità e influenza il modo in cui la malattia stessa e la vita più in generale vengono vissute dalla persona (Merriam et al., 1997; Courtenay et al., 1998; Courtenay et al., 2000;
Baumgartner, 2007). Un gruppo di studi attenti ai processi di svelamento dell’HIV/AIDS ha sottolineato come la rivelazione ad altri diventi una scelta importante e impegnativa che può influenzare la persona malata e il contesto in cui vive (Petrak et al., 2001; Paxton, 2002; Chandra, Deepthivarma e Manjula, 2003; Derlega et al., 2002). L’accento posto sulla rivelazione agli altri ha sicuramente contribuito ad introdurre la considerazione anche dell’elemento sociale all’interno della letteratura sui cambiamenti identitari delle persone affette da HIV/AIDS. Un particolare aspetto profondamente legato alla dimensione sociale e che la letteratura ha fortemente considerato nell’ambito dell’HIV/AIDS è lo stigma e la discriminazione da sempre associati a questa malattia (Bennet, 1990; Cao et al., 2006).
Se consideriamo la situazione attuale rispetto all’HIV/AIDS, anche a seguito dell’introduzione delle nuove terapie antiretrovirali, non è difficile accorgersi di come l’impatto psicologico della diagnosi di sieropositività pone ancora oggi l’individuo di fronte a numerose paure e a confrontarsi con l’incertezza riguardo al futuro. Una diagnosi di questo tipo contribuisce a generare vere e proprie
“rotture” nella vita della persona malata e la necessità di trovare una nuova identità che includa la nuova condizione di malato. A questa situazione si deve inoltre aggiungere il carico emotivo derivante dai pregiudizi con cui si continua a guardare questa malattia e le persone che la contraggono. La stigmatizzazione nei confronti delle persone sieropositive è oggi ancora presente e sembra avere un effetto diretto attraverso meccanismi di discriminazione (Vares-Diaz et al., 2005;
Cao et al., 2006) che indirettamente diventano minacce all’identità sociale e personale dell’individuo malato (Tewksbury e McGughery, 1998; Thomas et al., 2005). L’identità può risultare quindi minacciata dallo stigma relativo all’HIV (Major e O’Brien, 2005) quando è valutato dalla persona malata come potenzialmente dannoso per la propria identità.
Per un’adeguata comprensione dell’identità delle persone sieropositive occorre quindi fare riferimento ad un modello teorico che consideri in modo specifico l’importanza che le variabili legate al contesto sociale in cui l’individuo vive possono giocare rispetto ai processi di
ristrutturazione identitaria. Non è infatti possibile sottovalutare il violento impatto sociale che il soggetto è spesso costretto a subire a causa della malattia in sé e delle modificazioni fisiche da essa causate. La stigmatizzazione sociale a cui l’individuo stesso deve talvolta far fronte può portare ad inevitabili frantumazioni dell’identità: rotture dolorose che possono alterare i suoi pensieri e le sue azioni, facendo divenire assolutamente necessario un processo di ristrutturazione del sé.
A questa situazione si aggiunge oggi la presenza della lipodistrofia che con le sue visibili manifestazioni può alimentare ulteriori paure, ad esempio rispetto alla possibilità che le modificazioni del corpo divengano un elemento di riconoscibilità della propria malattia da parte degli altri (Reynolds et al., 2006; Tate e George, 2001).
Il tempo della diagnosi, le rappresentazioni e i significati attribuiti alla malattia, la rivelazione/accettazione sociale, lo stigma associato alla malattia HIV/AIDS, le modificazioni del corpo e l’impatto che queste hanno sulla vita delle persone malate, sono importanti variabili da prendere in considerazione in uno studio sui processi di ristrutturazione dell’identità delle persone affette da HIV/AID.
Rispetto a tali processi, ci preme evidenziare che, in letteratura, se da una parte sono presenti studi focalizzati sul sé o sull’identità complessiva della persona affetta da HIV/AIDS, dall’altra parte molte indagini hanno posto attenzione a specifiche dimensioni identitarie. In quest’ultimo caso si tratta di studi che si sono concentrati su dimensioni dell’identità emerse come aspetti importanti nella definizione che le persone danno di sé, quali il lavoro (Mason et al., 1995; Goodman, 1997;
Timmos e Fesko, 2004), le relazioni interpersonali (Bor, du Plessis e Russel, 2004; Varas-Diaz et al., 2005; Santos et al., 2005; Luzi et al., 2005) e il corpo (Merriam et al., 1997; Power, 1998;
Tewksbury e McGaughery, 1998; Collins et al., 2000; Huang et al., 2006).
La maggior parte di tali studi ha fatto emergere elementi importanti da considerare nei processi di cambiamento identitario a seguito della malattia; focalizzandosi su dimensioni identitarie specifiche, questi stessi studi hanno forse perso di vista la complessità dei cambiamenti identitari che un evento di questo genere tende a comportare. Per quanto riguarda l’aspetto specifico relativo al corpo è bene sottolineare che, soprattutto negli ultimi anni, ha acquistato notevole importanza in seguito all’insorgere della lipodistrofia (Carr et al., 1998).
È su questo aspetto che si è deciso di porre l’attenzione della nostra ricerca: il corpo. L’attuale presenza dei cambiamenti corporei legati alla lipodistrofia può infatti rendere riconoscibile la malattia HIV/AIDS e comportare numerose conseguenze psicologiche nella vita delle persone che ne sono affette, come è stato d’altra parte riportato da vari studi presenti in letteratura sulla qualità
di vita e sulla percezione dell’immagine corporea (Guaraldi, 2001; Blanch, 2004; Guaraldi et al., 2006a).
Oggi, essendo la lipodistrofia la principale manifestazione clinica della malattia HIV/AIDS, è necessario dare il giusto peso alla presenza di quest’ulteriore ostacolo che la persona affetta dal virus si trova a dover fronteggiare. Un ostacolo che nella maggior parte degli studi citati non era stato considerato, essendo stati condotti in un periodo precedente all’introduzione di quei farmaci che modificano il corpo delle persone malate.