2.2 HIV/AIDS e cambiamenti identitari
2.2.2 Studi sull’accettazione/incorporazione della malattia nell’immagine di sé
La trasformazione dell’identità della persona malata può cominciare a seguito della scoperta della malattia. La malattia, definita come biographical disruption (Bury, 1982), fa parte infatti di quelle esperienze che ostacolano profondamente la struttura della vita personale e sociale quotidiana della persona.
Relativamente alla malattia sono identificabili alcuni aspetti che più nello specifico possono determinare una rottura dell’identità della persona malata e una sua ristrutturazione che includa anche la malattia, l’essere malato. Secondo Charmaz (1991;1995) la costruzione del “sé malato” ha inizio con il test per la diagnosi, e con la successiva validazione della malattia, allorché i medici trasformano le esperienze soggettive di malattia in realtà oggettive (malattia documentata) e attribuiscono implicitamente ed esplicitamente all’individuo lo status di malato. E così, come la malattia diviene parte del vivere quotidiano, lo status di malato diviene parte del senso di sé.
Anche nell’ambito dell’infezione da HIV si sono individuati gli aspetti della malattia che conducono all’accettazione della malattia e a specifiche frantumazioni e trasformazioni dell’identità. Nello studio di Tewksbury e McGaughery (1998) venivano riportati questi aspetti: test (scoperta della malattia), conferma/diagnosi della malattia, rivelazione della malattia ad altri.
Quest’ultimo punto, la rivelazione della malattia, era l’elemento attorno al quale ruotava buona parte del processo di disgregazione e di ristrutturazione dell’identità: la rivelazione poteva determinare modificazioni negli atteggiamenti e comportamenti degli altri nei confronti della persona affetta da HIV (cfr. par. 2.2.3). Non di meno il test che, confermando la presenza del virus HIV, metteva l’individuo di fronte alla possibilità di un’alterazione del corpo, una violenta modificazione della realtà quotidiana e ad una modificazione del sé.
La scoperta della malattia HIV/AIDS può quindi influenzare fortemente le vite delle persone malate e diviene un carattere determinante nella costruzione o ri-costruzione della loro identità personale e sociale. Per queste persone, l’incorporazione della condizione di “malato affetto da HIV/AIDS”
nella definizione di sé guida percezioni e esperienze di numerose azioni e interazioni sociali.
Gli aspetti della malattia relativi alla frantumazione biografica (test, validazione, rivelazione) non erano fasi o stadi dell’esperienza della malattia che la persona sieropositiva doveva attraversare, ma
“esperienze nell’esperienza della malattia”. L’incontro con queste esperienze soggettive introduceva nella persona malata una frantumazione biografica che spesse volte creava una forte crisi di identità.
Tutto ciò, in molti casi, si traduceva in una perdita o modificazione di alcuni valori/significati prima considerati ovvi o inamovibili, in una diminuzione dell’attività fisica e in un’alterazione dell’umore;
una modificazione dei ruoli sociali, un cambiamento degli obiettivi personali e del loro corrispondente valore identitario (Charmaz, 1991, 1995; Tewksbury e McGaughery, 1998). La trasformazione dell’identità si delineava in risposta a questa frantumazione biografica generata dai tre aspetti critici sopra elencati e dalla crisi di identità conseguente.
Come mostrato in un lavoro di Charmaz (1995) relativo a generiche malattie croniche, le risposte alla frantumazione biografica e alla conseguente crisi di identità potevano includere ignorare/minimizzare e adattamento. In aggiunta a queste risposte, considerando l’infezione da HIV, si era aggiunta una terza modalità di rispondere alla malattia, definita catastrofizzazione (Tewksbury e McGaughery, 1998). Secondo gli autori, in relazione al tipo di risposta che l’individuo dava ai diversi aspetti della malattia (test, validazione, rivelazione) si aveva una diversa accettazione della malattia e riformulazione dell’identità. L’individuo poteva quindi sostanzialmente definirsi come: Persona sieropositiva, Persona che vive con l’infezione da HIV, Persona con AIDS. Le tre identità risultanti da questo studio si differenziavano a seconda di come la persona malata si percepisse e identificasse se stessa. Pur non entrando nella complessità delle
singole definizioni, possiamo schematizzare i tre profili nel modo seguente. Nel primo caso, definendosi come Persona sieropositiva, la persona manteneva le proprie abitudini sociali o comunque tendeva a non stravolgerle completamente, facendo emergere come l’infezione da HIV, se supportata da un’adeguata terapia, non comportasse evidenti limitazioni nella vita quotidiana.
Definendosi invece come Persona che vive con l’infezione da HIV, la persona considerava maggiormente la malattia all’interno del proprio quotidiano, fornendo continue risposte alle situazioni che di volta in volta si presentavano, tenendo bene a mente la propria condizione.
Nell’ultimo caso, l’individuo identificandosi come Persona con AIDS, sviluppava uno stato in cui la propria condizione di malattia era assoluto centro del proprio vivere, sottomettendo ad esso qualunque altra priorità.
Questo studio mostra come ciascuna di queste identità individuate rappresentava diverse esperienze e interpretazioni della malattia per le persone malate. L’esperienza della malattia HIV/AIDS era influenzata da fattori fisici a due livelli: le conseguenze fisiche dirette sul corpo e le limitazioni sociali che queste imponevano. La percezione soggettiva delle conseguenze fisiche influenzava in modo diverso, da caso a caso, il quotidiano dell’individuo e guidava le risposte adottate unitamente al processo di interpretazione e ristrutturazione innescato dall’antecedente fase di frantumazione biografica.
La rivelazione della malattia, importante nell’incorporazione della malattia e nel processo di trasformazione dell’identità (Tewksbury e McGaughery, 1998), è infine uno degli aspetti di cui la persona sembra maggiormente risentire in termini di frantumazione biografica: è l’evento che maggiormente altera il modo in cui gli altri (membri della famiglia, amici, datore di lavoro, colleghi di lavoro) percepiscono, definiscono e interagiscono con l’individuo stesso. L’atto di rivelare il proprio status di malattia agli altri, inoltre, altera il modo in cui l’individuo percepisce, definisce e identifica se stesso e il proprio ruolo sociale.
Lo studio di Tewksbury e McGaughery (1998) evidenziava con chiarezza come la gran parte del campione preso in esame fosse particolarmente selettivo nella rivelazione della malattia ad altri; ciò, infatti, permetteva all’individuo malato di negoziare, sia con se stesso che con gli altri, il modo in cui sarebbe stato percepito e con cui gli altri avrebbero interagito con lui e con la sua malattia.
Le motivazioni che spingono a rivelare la propria condizione di malato dipendono dall’impatto (fisico e psicologico) che la malattia ha sulle funzioni personali e sociali dell’individuo: se ad esempio la malattia ha un impatto minimo, ovvero non si presenta con sintomi visibili o particolarmente violenti, gli individui tendono ad essere più selettivi, facendone rivelazione
esclusivamente alle persone dalle quali si pensa di potere ricevere un effettivo supporto sociale positivo.
In questo stesso studio emergeva che, nella fase di rivelazione della malattia, le persone con infezione da HIV interiorizzavano il proprio status di salute come parte del sé. L’interiorizzazione della malattia, facilitata e rinforzata dalla rivelazione fatta ad altri, era un elemento primario nel processo di trasformazione dell’identità: la rivelazione della propria malattia a terzi risultava infatti essere un aspetto importante, decisivo, per l’accettazione della malattia e la conseguente ristrutturazione dell’identità della persona.
Il modo in cui la rivelazione della malattia si compie non sembra seguire uno schema bene definito, né sembra avere un tempo preciso nel quale avviene. Questi elementi sembrano piuttosto variare a seconda del momento di vita della persona affetta dal virus dell’HIV, della condizione e del contesto sociale in cui vive e di vari altri aspetti. La rivelazione della malattia sembra inoltre compiuta in modi e tempi differenti a seconda delle persone che circondano la persona malata e a seconda della differente “fase” di malattia.
Anche in altri studi (Courtenay, Merriam e Reeves, 1998; Courtenay, Merriam e Reeves, 2007), l’aspetto della rivelazione è una parte importante nel processo di trasformazione dell’identità. Nello studio di Baumgartner (2007), ad esempio, la rivelazione della malattia passava attraverso varie fasi che gradualmente portavano all’incorporazione della malattia nella propria identità. Questo studio evidenziava come la rivelazione fosse fatta a persone diverse in tempi di malattia differenti, e nel contempo vi fosse una diversa accettazione della malattia. In questo studio l’autore faceva riferimento ad un approccio teorico che ricalcava la teoria trasformazionale di Mezirow (1991).
Questa teoria asserisce che la persona ha schemi di significato che si modificano nel tempo; questo approccio sottolinea come le persone, nel tempo, esaminino le proprie credenze e presupposti attraverso l’autoriflessione e l’interazione con gli altri; ciò permette loro di arrivare ad una visione del mondo più ampia e maggiormente complessa, una visione in grado di includere un maggiore numero di elementi differenti. Si forma così una nuova prospettiva (del mondo, o più semplicemente di ciò che si ha intorno) che è irreversibile, in quanto non è possibile tornare ad uno schema di significato base al quale ormai sono stati aggiunti elementi.
Così come secondo Mezirow (1991) le persone compiono continui aggiustamenti e adattamenti ai propri schemi di significato, allo stesso modo secondo Baumgartner (2007) l’identità della persona malata va modificandosi attraverso continui processi di apprendimento. Lo studio di Baumgartner mirava in particolare alla comprensione di che cosa determinasse la stabilità o il cambiamento dell’apprendimento degli schemi di significato nelle persone affette da HIV. Nello specifico cercava di comprendere come l’HIV venisse introiettato/incorporato nell’identità della persona sieropositiva
attraverso la trasformazione di schemi di significato relativi alla malattia. I risultati di questo studio sottolineavano il procedere generale attraverso fasi di incorporazione della malattia e l’importanza dei momenti di transizioni/svolte presenti in questo processo. Veniva evidenziata la continua trasformazione degli schemi di significato che nel tempo permettevano all’individuo l’incorporazione della malattia nella propria identità.
Anche studi precedenti a quello di Baumgartner erano focalizzati su vari aspetti dell’identità (Bedell, 1998) o sul processo di incorporazione dell’HIV nell’identità come processo ricorsivo (Gurevich, 1996; Lewis, 1994). In questi studi si sottolineava in particolare come le persone sperimentassero shock (trauma/turbamento) e incredulità rispetto alla diagnosi; spendessero molto tempo nel diniego, lottando con lo stigma legato alla malattia e identificandosi spesso solo nella malattia HIV/AIDS (Dozier, 1997; Gurevich, 1996; Lewis, 1994; Sandstrom, 1990). Per alcune persone, l’identità HIV/AIDS diventava primaria (Sandstrom, 1990), mentre per altri diventava una delle molte identità presenti della persona (Gurevich, 1996).
Seppure molto interessanti e portatori di nuove informazioni relative all’identità delle persone sieropositive, nessuno di questi studi aveva però ancora esaminato il processo di incorporazione della malattia in tre momenti differenti nel tempo. Dato che l’HIV/AIDS è oggi una malattia cronica e lo sviluppo dell’identità è un processo lungo l’intero arco della vita, Baumgartner (2007) pensò che esaminare il processo di incorporazione in tre momenti distinti nel tempo avrebbe contribuito ad una migliore comprensione del processo di incorporazione dell’HIV/AIDS nell’identità della persona. I tre momenti in cui il processo è stato studiato corrispondono alla conduzione di tre studi differenti condotti da Courtenay et al. (1998), Courtenay et al. (2000) e Baumgartner (2007). A partire dal primo studio sono state condotte interviste semistrutturate allo stesso campione ad intervalli di circa tre anni. Gli schemi di significato, nell’accezione di Mezirow (1991), si modificavano in questo caso attraverso i tre diversi studi. Lo studio di Baumgartner riportava nello specifico i risultati finali del processo che la persona sieropositiva attraversava per l’incorporazione della malattia nella propria identità, evidenziando le fasi e i punti di svolta che consentivano l’avanzamento del processo. La diagnosi, fase iniziale del processo di incorporazione, determinava un primo momento di paura, rifiuto della malattia; il punto di svolta che permetteva il passaggio alla fase successiva era rappresentato dalle interazioni sociali che la persona malata aveva con altre persone sieropositive. Nella seconda fase, chiamata immersione, le persone erano coinvolte in gruppi formati da persone sieropositive e l’identità di malato era per loro centrale, dando un senso di appartenenza e di empowerment; a partire da questa fase, la possibilità di condividere con altri la malattia e di fare qualcosa per affrontarla aveva costituito nel tempo il punto di svolta per procedere all’ultima fase, quella dell’integrazione. Questa fase era caratterizzata da un’interiorizzazione della
malattia e da una manifestazione di questo cambiamento di decentralizzazione della stessa;
l’integrazione della malattia permetteva alla persona di non dedicarsi solamente alla malattia ma di concentrarsi su altre cose ritenute importanti per la propria vita.
Dai tre studi analizzati in questo paragrafo (Courtenay et al., 1998; Courtenay et al., 2000;
Baumgartner, 2007) emergeva un procedere graduale di fasi nell’incorporazione della malattia, fasi che nel tempo implicavano la presenza di nuovi schemi di significato. Questi ultimi erano, ad esempio, relativi ad una maggiore progettualità nel futuro o ad una maggiore cura di sé. Grazie a questi nuovi schemi c’era una maggiore integrazione della malattia nell’identità della persona malata. Oltre a tali schemi nel terzo studio condotto da Baumgartner (2007) le persone esprimevano una maggiore accettazione di sé e degli altri; vi era inoltre un’attenzione più significativa alle proprie relazioni interpersonali. I risultati di questi studi quindi confermavano la trasformazione degli schemi di significato in relazione ad una nuova visone del mondo e all’incorporazione della malattia nella propria identità.
In tutti gli studi presentati, la rivelazione era fondamentale come supporto alle fasi per l’accettazione della malattia. La rivelazione era in effetti il cardine sul quale poggiava il processo di incorporazione della malattia nell’identità. Secondo Baumgartner (2007) ad esempio, la persona, subito dopo la diagnosi della malattia, rivelava il proprio status di malato esclusivamente alle persone più significative; successivamente, faceva rivelazioni pubbliche tipiche della fase di immersione, cioè della fase in cui l’individuo cominciava a confrontarsi con persone con la stessa patologia e la malattia diventa parte centrale della propria vita; infine, faceva rivelazioni ragionate sulla base del contesto specifico in cui si trovava (questo aspetto della rivelazione verrà più ampiamente trattato nel par. 2.2.3).
Queste modificazioni nella rivelazione della malattia sottolineano un aspetto decisamente importante che è bene non trascurare: la necessità di considerare sempre la “fase di malattia” in cui la persona si trova quando questa partecipa ad un qualsiasi studio, con particolare attenzione nel caso si tratti di studi rivolti all’identità.