2.3 Identità e percorsi sociali della persona affetta da HIV/AIDS
2.3.2 I cambiamenti corporei
Nello specifico, tornare a lavorare e percepire una regolare retribuzione può infatti diventare una situazione che contrastava con la possibilità di usufruire di contributi per l’invalidità della malattia, nonché dei vantaggi economici previsti per le cure mediche. A questo proposito, gli studi sopraindicati segnalavano che a volte le persone coinvolte in simili situazioni preferivano rimanere a casa dal lavoro e continuare ad usufruire dei contributi dell’assistenza (Brooks et al., 2004;
Timmons e Fesko, 2004).
Il cambiamento o l’abbandono del lavoro conseguente alla malattia comportano una profonda modificazione dell’immagine di sé, del senso dell’esistenza, dei rapporti con gli altri e in particolare dell’identità professionale; questa modificazione, impegnativa e talvolta lunga e molto dolorosa, può comportare una conseguente ristrutturazione dell’identità. In essa si gioca la concreta possibilità di ritrovare un proprio ruolo attivo nella comunità e nella famiglia, in base ai propri interessi, preferenze, credenze e possibilità.
Anche il corpo, la condizione fisica della persona, gioca un ruolo fondamentale nell’ambito lavorativo: è spesso presente l’idea comune che la persona malata non sia in grado di lavorare o non debba lavorare perché il lavoro determina stress e possibilità di peggioramento della malattia.
Nell’ambito dell’infezione da HIV la presenza del virus nella persona suscita idee di un corpo alterato e non sempre in grado di rispondere alle richieste lavorative della società. Non è necessaria una vera e propria modificazione del corpo per farlo sentire diverso e malato: la presenza del virus è sufficiente per definire un corpo deteriorato ed incapace (Tewksbury e McGaughery, 1998).
essere indifferente quando rifiutava il significato attribuito alla malattia e la malattia stessa, per cui la trasformazione dell’identità poteva essere potenzialmente evitata. L’adattamento, invece, si verificava quando la persona riusciva a integrare l’alterazione del corpo e del sé in modi rilevanti e positivi; gli individui sperimentavano il loro corpo alterato, ristrutturavano il proprio sé rispetto al presente e al futuro e facevano esperienza delle conseguenze legate alla malattia. A queste risposte Tewksbury e McGaughery (1998) ne avevano aggiunta una terza, la catastrofizzazione, che si verificava quando la persona si aspettava che la malattia potesse peggiorare immediatamente ed esprimeva un senso di incapacità rispetto a ciò che la malattia poteva comportare. Le persone con una malattia cronica spesso sperimentavano tutti questi modi di vivere il deterioramento del corpo a seconda della situazione e della condizione di malattia. Conseguentemente alle risposte date e al coinvolgimento del corpo nella malattia, l’identità della persona subiva una ristrutturazione. Gli autori sottolineavano quindi il corpo come parte importante nella determinazione dell’identità della persona alla quale è stata diagnosticata l’infezione da HIV.
Anche nello studio condotto da Merriam et al. (1997) si evidenziava l’importanza del corpo, sottolineando come questo fosse parte fondamentale per la definizione di sé e lo divenisse in un modo ancora maggiore alla presenza di taluni elementi clinici. La rinegoziazione della propria identità sembrava infatti prendere in considerazione il cambiamento del corpo deteriorato, nel caso di infezione da HIV, a causa della presenza del virus stesso e delle terapie di sostegno. La rinegoziazione della propria identità andava determinandosi dal confronto con un corpo diverso, spesse volte costantemente e progressivamente diverso: un confronto a cui il soggetto doveva continuamente fare fronte. Diverse persone, infatti, all’interno di questo studio parlavano di dimensioni fisiche della propria identità danneggiate dalla presenza del virus. Se la sola presenza del virus nel corpo può determinare una percezione distorta del proprio corpo, si può ipotizzare che l’insorgere della lipodistrofia, cioè i cambiamenti dell’aspetto corporeo legati all’infezione da HIV, possa determinare delle vere e proprie modificazioni dell’immagine corporea andando a modificare, conseguentemente, l’identità della persona malata.
Occorre tenere presente che lo studio di Tewksbury e McGaughery (1998), come anche quello di Merriam et al. (1997) sono stati condotti prima dell’introduzione dell’HAART e quindi precedentemente alla comparsa dei cambiamenti corporei spesso “anormali” legati alle nuove terapie. E’importante sottolineare questo aspetto poiché prima del 1997 l’idea della modificazione del corpo era legata al solo fatto che fosse presente il virus nel corpo della persona malata. Oggi, possiamo dire che c’è una vera e propria modificazione del corpo, un’oggettività data dalla presenza della lipodistrofia. In relazione a questa situazione, sempre di più tra le persone malate si sta diffondendo la paura del riconoscimento e della conseguente stigmatizzazione causata da questa
malattia ancora oggi oggetto di discriminazione. In questo contesto l’aspetto fisico acquista particolare importanza e i cambiamenti connessi alla lipodistrofia vengono vissuti in modo molto intenso e spesso influenzano negativamente l’immagine corporea e, conseguentemente, la vita della persona affetta dal virus. Gli studi fino ad oggi condotti evidenziavano che persone sieropositive con lipodistrofia, infatti, avevano un’immagine corporea più negativa rispetto alle persone che non presentavano modificazioni corporee (Collins, Wagner e Walmsley, 2000): donne con infezione da HIV e lipodistrofia riportavano una percezione dell’immagine corporea più negativa rispetto a donne sieronegative; uomini sieropositivi in assenza di lipodistrofia avevano un’immagine corporea maggiormente positiva rispetto a uomini con lipodistrofia (Huang et al., 2006).
Diversi studi, inoltre, sottolineavano che la lipodistrofia poteva determinare una diminuzione della stima e della fiducia di sé: le persone si sentivano anormali, meno attraenti sessualmente e si instaurava in esse un’incertezza rispetto al proprio corpo che cambiava e sul quale non avevano un diretto controllo (Power, 1998; Collins et al., 2000; Power, Tate, McGills e Taylor, 2003; Reynolds, Neidig, Wu, Gifford e Holmes, 2006).
Quando sono presenti, queste modificazioni dell’aspetto corporeo possono ostacolare le relazioni interpersonali dell’individuo in diversi contesti di vita quotidiana. In alcuni studi emergono limitazioni e problematiche di vario genere nelle relazioni sociali (familiari ed extrafamiliari):
preoccupazioni legate alla possibilità che familiari o amici scoprissero il proprio status di malattia o, se ne erano già al corrente, che potessero pensare a peggioramenti della malattia; talvolta, ad esempio, la magrezza generale del corpo portava a pensare che ci fosse una progressione della malattia (Tate e George, 2001; Reynolds et al., 2006).
Alcuni degli studi citati sopra (Charmaz, 1995; Merriam et al., 1997; Tewksbury e McGaughery, 1998) hanno fatto riferimento alla teoria di Mead (1934), secondo la quale l’identità dell’individuo consiste in un “Io soggetto” che permette all’individuo di reagire alla comunità ed un “Me oggetto”
che è il prodotto dell’interiorizzazione delle idee e della morale della società; insieme, l’Io e il Me, costituiscono il Sé. L’Io e il Me non sono concettualizzati come parti in conflitto, ma sono piuttosto visti come parti interagenti l’una con l’altra nello stabilire l’identità della persona. Il senso di sé emerge così dalle esperienze personali e sociali, dall’interazione con gli altri appartenenti allo stesso gruppo o alla stessa comunità a cui l’individuo stesso appartiene, attraverso l’interiorizzazione delle risposte, socialmente condivise, che gli atteggiamenti dell’individuo suscitano negli altri, così come nell’individuo stesso.
Negli studi riportati, il corpo sembra centrale nella costruzione del Sé perché risulta essere il mezzo attraverso il quale si costruiscono l’Io e il Me. La nostra reale esistenza dipende dal corpo; il
funzionamento del corpo può cambiare le fondamenta della nostra esperienza, la percezione della vita. La rilevanza degli aspetti fisiologici e psicologi (Io) o degli aspetti sociali (Me) varia in modo sensibile in base al contesto in cui tali elementi sono collocati. L’importanza degli aspetti fisiologici, ad esempio, aumenta significativamente quando è presente una più o meno evidente alterazione del corpo (Kelly, 1992). L’alterazione del corpo può sfidare nozioni preconcette di sé (come l’essere giovane, l’essere sano, l’essere efficiente) e talvolta costringe l’individuo ad azioni o performance di ruolo necessarie al conseguimento di un differente status all’interno delle istituzioni sociali (lavoro, famiglia). Da questo, ne risulta che il sé nella persona malata va delineandosi anche e fortemente attraverso la personale interpretazione del proprio corpo alterato e dall’impatto che questo provoca nelle relazioni sociali.