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2.4 La percezione dei cambiamenti del corpo delle persone affette da HIV/AIDS

2.4.2 Immagine Corporea

erano legati ad un cambiamento della qualità di vita percepita in alcune aree. In generale da questo studio è emerso che la lipodistrofia aveva un impatto sulle relazioni sociali per il 63% dei pazienti presi in considerazione; in particolare il 68% riportava una compromissione nello svolgere le attività quotidiane, il 68% riferiva un impatto sulla sessualità e l’83% un impatto sulla stima di sé.

Inoltre è emerso che la compromissione nell’area della sessualità era correlata ai cambiamenti nell’area addominale e del collo; il calo dell’autostima era invece correlato prevalentemente con i cambiamenti dell’area addominale; la compromissione delle relazioni sociali con i cambiamenti che si verificavano a livello del collo, delle gambe e del tronco; la compromissione delle attività quotidiane era infine correlata con i cambiamenti nelle gambe e nelle braccia. Questi risultati, secondo gli autori, confermano quindi che certi sottogruppi di pazienti mostrano una maggiore compromissione psicologica di specifiche aree della qualità della vita dovute ai cambiamenti corporei, quindi gli interventi medici e psicologici rivolti a questi sottogruppi dovrebbero essere rivolti a migliorare la qualità della vita dei pazienti sieropositivi sottoposti a trattamento HAART.

Dai risultati di questo studio appare quindi evidente l’importanza della componente soggettiva nel valutare la qualità di vita di un individuo e di sviluppare strumenti adeguati alla misurazione di questo costrutto, vista la rilevanza che esso ha per il benessere psicofisico dell’individuo. Secondo alcuni autori (Guaraldi et al., 2006a) è sembrato quindi opportuno, per indagare la qualità della vita dei soggetti sieropositivi, valutare una dimensione particolare di tale costrutto, una dimensione che si riferisse più direttamente alla dimensione estetica, affettiva e cognitiva e che riguardasse il grado di coinvolgimento psicologico nel proprio aspetto fisico. Tale dimensione è stata individuata nell’Immagine Corporea, un costrutto multidimensionale che comprende percezioni, pensieri e azioni nei confronti del proprio corpo.

In relazione all’importanza di considerare la valutazione soggettiva che il paziente riporta rispetto alla propria immagine corporea, Guaraldi et al. (2006a) sottolineano la presenza di una correlazione tra l’entità dei cambiamenti del corpo così come viene percepita dai pazienti e la qualità di vita percepita dagli stessi; ciò a sottolineare il ruolo marginale dell’“oggettività del cambiamento”

misurato dai medici.

l’immagine di sé percepita e quella ideale influisce sulla soddisfazione di sé) e, come vedremo, un impatto anche sulla stima di sé.

Il concetto di Immagine Corporea è strettamente connesso anche con quello di stigma, poiché il corpo visto come una “carta di identità”, collega un individuo al suo mondo sociale, ed è attraverso il corpo che si comunicano molte informazioni su di sé.

Se un tempo si riteneva, erroneamente, che il costrutto dell’immagine corporea (IC) fosse unidimensionale oggi se ne riconosce l’aspetto multidimensionale piuttosto articolato.

L’immagine corporea (IC) si riferisce alle esperienze psicologiche riguardo all’aspetto e al funzionamento del proprio corpo. L’attenzione all’investimento e all’importanza che il singolo attribuisce alla propria apparenza fisica e alla discrepanza tra corpo percepito e corpo ideale sembra accomunare diversi studi sull’immagine corporea (Thompson et al., 1990).

L’immagine corporea è “l’immagine che noi abbiamo nella nostra mente della forma, della dimensione e della taglia del nostro corpo e i sentimenti che noi proviamo rispetto a queste caratteristiche e rispetto alle singole parti del corpo”. Ciò rende difficilmente separabili percezioni, sentimenti ed atteggiamenti rispetto al corpo percepito, aspetti che sono a loro volta in relazione con fattori sociali che condizionano i modelli del corpo ideale (Thompson et al., 1990).

L’ampiezza della discrepanza si collega all’intensità del sentimento e si lega alla consapevolezza della discrepanza stessa, cioè al grado con cui il singolo ritiene importante la discrepanza percepita.

La percezione sembra giocare un ruolo di primaria importanza nella strutturazione degli oggetti interni e quindi dell’immagine corporea, rappresentazione mentale del sé corporeo.

Non sarebbe certo corretto limitarsi a identificare l’immagine corporea con l’accuratezza della stima concernente la sua taglia o con la preoccupazione per il suo peso senza considerare le esperienze che riguardano altri attributi fisici, dal momento che le attitudini verso questi contribuiscono alla valutazione globale dell’immagine corporea.

Una volta misurata la soddisfazione/insoddisfazione nei confronti dei diversi attributi fisici, non si può trascurare l’importanza psicologica di queste valutazioni, in quanto il grado di coinvolgimento può influenzare, in senso positivo o negativo, la percezione generale dell’immagine corporea.

Questa variabile medierebbe gli effetti psicologici della valutazione di per sé e si aggiunge a quest’ultima per fornire una previsione più valida delle esperienze affettive e degli indici di benessere psicologico (Thompson, 1990).

L’esperienza corporea, infine, non riguarda solo l’aspetto fisico (estetica), ma anche altri domini somatici: l’integrità fisica (salute/malattia) e la forma fisica.

L’IC è quindi un costrutto multidimensionale che comprende percezioni, pensieri e azioni nei confronti del proprio corpo.

Molte ricerche hanno evidenziato una relazione significativa tra gli atteggiamenti rispetto all’immagine corporea e il funzionamento e il benessere psicosociale. Le problematiche che emergono rispetto all’immagine corporea possono derivare da differenti fattori che interagiscono tra loro: influenze culturali e familiari, esperienze interpersonali e reali caratteristiche del corpo.

Un’immagine corporea negativa (ad esempio l’insoddisfazione per la propria immagine corporea o un investimento eccessivo su di essa) può portare a molteplici conseguenze: ad esempio sviluppare disordini del comportamento alimentare, depressione, ansia sociale ed inibizione, compromissione dell’attività sessuale e una bassa autostima (Cash e Winstead, 1985; Cash e Deagle, 1997; Powell e Hendricks, 1999; Garner, 2002, Stice, 2002; Noles, Cash e Fleming, 2002).

I risultati di questi studi quindi mostrano l’importanza di considerare l’Immagine Corporea come un aspetto centrale della Qualità della Vita di una persona, soprattutto nel caso in cui una malattia (come appunto l’HIV, ma anche ad esempio il cancro) e i relativi trattamenti influiscono in modo drastico e drammatico sul funzionamento e sull’aspetto del corpo, tanto da alterare sia l’immagine corporea, sia il benessere psicologico dell’individuo nella vita quotidiana.

Come è stato più volte ribadito rispetto alla Qualità della Vita, anche l’Immagine Corporea è un parametro estremamente soggettivo, che varia da individuo a individuo e non sempre corrisponde alle oggettive misurazioni. Può pertanto accadere che individui fisicamente “normali” siano estremamente insoddisfatti del proprio corpo, con le conseguenze che abbiamo visto; mentre altri, che dalle misurazioni oggettive risultano ad esempio sovrappeso o sottopeso, risultino soddisfatti della propria immagine corporea e quindi non subiscano nessuna conseguenza negativa nella stima di sé e nelle attività quotidiane. Queste differenze risentono in modo rilevante anche del genere dei soggetti considerati. Muth e Cash (1997) si sono a tal proposito interrogati su quali differenze esistessero tra gli atteggiamenti maschili e femminili rispetto all’immagine corporea. Dal loror studio emerge che sia per gli uomini che per le donne esistono i due aspetti della valutazione e dell’investimento rispetto all’immagine corporea: le donne valutano meno favorevolmente rispetto agli uomini il proprio aspetto, investono maggiormente su di esso e presentano più di frequente una disforia rispetto al proprio corpo; esse riportano una maggiore discrepanza rispetto agli uomini con il sé ideale, soprattutto per quel che riguarda le proporzioni corporee, il tono e la definizione dei muscoli. In questo studio emerge anche che le differenze tra i due generi sono maggiori per la dimensione della valutazione piuttosto che per quella dell’investimento, anche se in questa dimensione le donne investono attraverso comportamenti concreti, mentre gli uomini usano

maggiormente strategie cognitive. Risulta pertanto che, a parità di scontento rispetto al proprio corpo, coloro che investono maggiormente sul proprio aspetto sperimentano una maggiore quantità di stress.

Uno studio successivo (Lokken et al., 2003) ha considerato il fattore “body focus” (orientamento al corpo) che è stato definito operazionalmente come l’insieme degli aspetti del corpo che sono più spesso associati con le ragioni per mettersi a dieta o con l’accettazione sociale: l’ipotesi era verificare che chi si mette a dieta è probabilmente più preoccupato delle proprie dimensioni o del proprio peso e, di conseguenza, tende a comprare prodotti che ritiene gli permetteranno di avere un corpo migliore. Questi autori hanno osservato che le donne tendono ad essere più orientate al corpo rispetto agli uomini e si sono chiesti quali fossero le differenze tra i sessi in individui con un basso, medio o alto body focus. Dal loro studio è emerso che le donne erano più insoddisfatte del proprio corpo rispetto agli uomini, anche quando l’orientamento al corpo, quindi l’importanza data al proprio aspetto, è la stessa per entrambi i sessi (ovvero quando il confronto viene fatto tra uomini e donne con lo stesso livello di orientamento al corpo). Questo risultato, secondo gli autori, è spiegabile considerando il fatto che le donne, anche quelle che presentano un minore orientamento al corpo (una minore attenzione ad esso), desidererebbero essere più magre; al contrario gli uomini, anche quelli con un maggior orientamento sul corpo (una maggior attenzione ad esso, quindi anche una maggior criticità nei confronti del proprio aspetto), ritengono di non essere molto lontani dalla propria immagine ideale. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che a livello sociale esiste un minor consenso su quale sia la forma giusta per il corpo maschile, così si spiega perché quando un uomo non raggiunge la taglia “ideale” (molto precisa e definita rispetto al corpo femminile, più sfumata rispetto a quello maschile), può non percepire una deviazione dalla norma, quindi non sentirsi

“diverso”; questo invece accade maggiormente nel caso in cui una donna si discosti dall’immagine femminile socialmente definita “normale” (Cohen e Adler, 1992).

Immagine Corporea e Lipodistrofia HIV-correlata

L’Immagine Corporea, come abbiamo detto, è un concetto complesso e con molte sfaccettature; è formato dalle idee, emozioni ed azioni che un individuo sente e mette in atto rispetto al proprio corpo (Thompson et al., 1990). Una parte importante, nel definire la valutazione della propria immagine corporea, è svolta dalla percezione e dalla consapevolezza di come le altre persone ci percepiscono, quindi dall’interpretazione sociale del proprio sé fisico. Come abbiamo detto, nell’ambito di una malattia come l’HIV, percepita come fatale, con un grande potenziale di contagio, che causa notevoli e persistenti cambiamenti nell’aspetto e nel funzionamento fisico (demenza, diarrea, lipodistrofia, fatica, disfunzioni sessuali), la percezione soggettiva della propria

immagine corporea può avere implicazioni importanti per l’aderenza ai trattamenti, la salute mentale e la qualità di vita.

Martinez et al. (2005) hanno svolto uno studio in cui proponevano uno strumento per misurare l’immagine corporea (BIS, Body Image Scale), così da mettere in relazione l’Immagine Corporea con l’avanzamento della malattia, lo stato (sintomatico o meno) dell’infezione ed alcuni fattori demografici. È emerso che una più povera immagine di sé risultava associata con la presenza di sintomi dell’infezione, sia che essi derivassero dalla malattia stessa o dal trattamento; tale immagine aveva inoltre notevoli ripercussioni sull’aderenza al trattamento. In questo studio è infatti emerso che i pazienti che presentavano cambiamenti corporei dovuti alla Sindrome Lipodistrofica si sentivano maggiormente a rischio di essere riconosciuti come sieropositivi, con le relative ripercussioni a livello sociale che abbiamo visto nel paragrafo precedente (stigmatizzazione, isolamento, discriminazione, biasimo). Inoltre, un altro risultato di questo studio sottolinea che la percezione soggettiva dei cambiamenti corporei aumenta la possibilità che il paziente risulti non aderente alla terapia (indipendentemente dal fatto che la percezione soggettiva dei cambiamenti fosse confermata dalle misurazioni antropometriche e radiologiche). Infine, un ultimo risultato importante, evidenzia che la diagnosi stessa di sieropositività appare significativamente correlata ad un peggioramento nell’immagine corporea percepita dall’individuo, indipendentemente dai marker di laboratorio (per esempio maggiore o minor numero di CD4).

Un altro studio che si è interessato a questo aspetto è quello di Reynolds et al. (2006). In questo studio si è analizzata la percezione soggettiva della redistribuzione di grasso corporeo correlata a diverse variabili, come le limitazioni e l’insoddisfazione fisica, l’angoscia, il funzionamento sociale, le possibilità di coping legate ai cambiamenti corporei. Quello che emerge è che sia gli uomini che le donne percepivano più frequentemente i cambiamenti che avvenivano a livello del viso, delle gambe, dell’addome e del collo; essi/e parlavano di questi cambiamenti in termini più dispregiativi e mostravano più frequentemente preoccupazione, nonostante qualcuno fosse soddisfatto per l’aumento di peso, vedendolo come una garanzia contro la “wasting syndrome”. A livello fisico, venivano inoltre riportati dolori e svantaggi di questa nuova condizione: i partecipanti lamentavano soprattutto problemi con l’abbigliamento (i vestiti che non vanno più bene sia nel caso di chi perde peso, sia nel caso contrario), ed una diminuzione delle energie, della forza e della resistenza muscolare, fino a situazioni in cui risultavano compromesse le attività quotidiane. A livello psicologico queste persone dichiaravano di sentirsi “anormali”, meno attraenti e meno appetibili sessualmente. Inoltre i partecipanti allo studio esprimevano ansia, paura ed incertezza rispetto ai loro cambiamenti corporei, in quanto li associavano con la progressione della malattia. A livello del funzionamento sociale veniva riportata una notevole quantità di angoscia, in quanto questi

cambiamenti rendevano necessarie delle spiegazioni, quindi ponevano i soggetti in una situazione di svelamento forzato e questo, visto lo stigma che tuttora accompagna l’infezione HIV, provocava grande preoccupazione negli individui. Inoltre veniva frequentemente riportato un senso di perdita di controllo sulla propria vita che andava ad inficiare le possibilità di coping di queste persone.

Pertanto, da questo studio emerge che la redistribuzione del grasso corporeo può turbare profondamente coloro che la esperiscono e percepiscono; ponendo in conflitto i benefici della terapia con i suoi effetti collaterali, i cambiamenti corporei possono diventare un grosso problema per l’aderenza alle terapie e quindi per la salute dei pazienti in quanto, per essere efficaci, le terapie HAART devono essere assunte scrupolosamente.

Fernandes et al. (2007) si sono concentrati sugli aspetti psicosociali della lipodistrofia HIV-correlata: tra questi vengono considerati l’insoddisfazione per l’immagine corporea, le alterazioni dell’umore, i problemi nelle relazioni sessuali, la riduzione della stima di sé e la depressione. Dai risultati di questa ricerca è emerso che erano soprattutto i pazienti con lipoatrofia al volto a mostrarsi preoccupati per la stigmatizzazione; questi cambiamenti avevano delle ripercussioni sulla loro salute affettiva ed emozionale. Molto spesso i pazienti sentivano che i costi iatrogeni erano troppo pesanti da sopportare e decidevano di abbandonare il trattamento farmacologico. Anche coloro che non presentavano segni di lipodistrofia si dicevano preoccupati che essa potesse manifestarsi. Tuttavia, i pazienti che avevano sperimentato dei rischi per la sopravvivenza dovuti all’infezione da HIV consideravano la lipodistrofia solo come un piccolo prezzo da pagare e non se ne mostravano eccessivamente preoccupati.

Infine, un altro studio riporta l’attenzione sull’importanza della percezione soggettiva, piuttosto che sui parametri e sulle valutazioni mediche. Ong et al. (2007) hanno condotto uno studio su 100 uomini bianchi con lipoatrofia facciale, valutata attraverso scansioni laser 3D ripetute, esami clinici e fotografie; ai partecipanti sono stati somministrati diversi questionari su ansia e autostima. In base ai risultati emersi, gli autori affermano l’esistenza di una relazione predittiva tra le misure soggettive e il disagio psicologico misurato con i questionari standardizzati proposti; al contrario non è emersa alcuna relazione tra la severità della lipoatrofia facciale, misurata attraverso le scansioni laser e il disagio psicologico. Emerge quindi che i fattori che moderano la motivazione dell’individuo ad agire un certo comportamento (incluse le credenze rispetto alla malattia, le cause, le possibilità di vita, l’umore e l’autoefficacia) sono i migliori predittori di compromissione e disagio psicologico, mentre gli aspetti più oggettivi rivestono solo un ruolo marginale; appare ad esempio che la capacità di adattarsi al nuovo aspetto fisico permette agli individui di mantenere una buona vita sociale, sia per quanto riguarda i nuovi incontri, sai le conoscenze di vecchia data.

Concludendo, diversi sono i contribuiti riportati in letteratura che sottolineano l’impatto della lipodistrofia sull’immagine corporea e sulla qualità della vita delle persone sieropositive.

A questo proposito emerge l’importanza di valutare anche se e come la lipodistrofia va ad incidere sulla qualità di vita percepita, in relazione alla minaccia che la lipodistrofia stessa può costituire per le persone malate.