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SPAZIO DI VITA

TEMATICA 1: LA DIAGNOSI

La prima tematica fa riferimento alla diagnosi intesa come significato che i soggetti attribuiscono alla diagnosi di sieropositività e alle loro reazioni (sia in termini emotivi che comportamentali) una volta a conoscenza del loro stato sierologico.

Nonostante il focus della ricerca fosse sulla possibile minaccia identitaria che la lipodistrofia può costituire per la persona malata, ci è sembrato opportuno considerare anche questa tematica: le interviste infatti fanno emergere la difficoltà (l’impossibilità) di separare completamente la diagnosi di sieropositività dagli effetti psicologici della lipodistrofia.

Come abbiamo già accennato nel paragrafo precedente, sono 70 le citazioni in cui è possibile ritrovare la tematica della diagnosi che è stata a sua volta articolata in due sottotematiche: il significato della diagnosi e le reazioni alla diagnosi.

Il significato della diagnosi (49 citazioni), è citato da tutte le persone intervistate: 15 si riferiscono ad esso come una diagnosi di morte che li ha portati ad una revisione delle priorità e delle possibilità di vita concrete. Per queste persone riteniamo che la diagnosi di sieropositività abbia costituito, e costituisca tuttora, una minaccia al principio del bisogno di senso: le persone rivalutano le loro priorità e l’importanza attribuita precedentemente ad ogni aspetto della propria vita.

“Allora, la cosa importante che io vedevo, solo all’inizio, era che sarei morto, quindi io potevo buttarmi dal balcone, o continuare la vita che facevo prima, che tanto non sarebbe cambiato nulla”.

S19 (Uomo, tra 45 e 50 anni).

“Parliamo di 15 anni fa … nessuna cosa particolare una volta inquadrata la situazione se non per il fatto che ragioni sul fatto che hai 10 anni di vita e poi di vita buona probabilmente 5 o 6”.

S06 (Uomo, tra 45 e 50 anni).

“Avevo 31 anni ... vedere tutto quando è uscito questo ... a livello che non sapevo nulla … cioè sapevo dei modi, di come si poteva proteggersi… sapevo le cose basilari di questo virus però della sieropositività, dei soggetti sieropositivi non sapevo della malattia particolarmente… Vedevo tutto nero, mi sono buttata abbastanza giù... quando me lo hanno detto forse nemmeno ci credevo, vedevo tutto nero… dicevo oddio ho 31 anni, morire a 33 – 34 perché credevo che...

facevo quella fine”.

S05 (Donna, tra 45 e 50 anni)

Altre due persone fanno invece riferimento all’idea secondo la quale l’HIV è un virus che colpisce chi adotta dei comportamenti sconvenienti: ritengono che chi è affetto da questo virus non debba

lamentarsi, ma prendere coscienza dei propri errori. In questo caso il significato attribuito alla diagnosi costituisce una minaccia al principio dell’autostima: si incolpano ed hanno interiorizzato le concezioni colpevolizzanti del senso comune.

“Mi sento solo di dire che se uno ha l’HIV se ne deve assumere le conseguenze, non è che devi piangere sulla malattia. Se l’hai presa è perché volevi prenderla, certo c’erano poche informazioni ma non sono comportamenti da tenere”.

S03 (Uomo, fino a 45 anni)

“Questa patologia qui non è come aver un tumore, che uno lo dice ... siccome è una patologia che non … che secondo me dai genitori stessi … si guardano sotto un profilo diverso ... perché uno dice cavolo te la potevi evitare … questo è il discorso …”.

S11 (Donna, più di 50 anni)

Infine, tre persone fanno riferimento alla diagnosi come ad una perdita di controllo sulla propria vita, nei termini di libertà e capacità di gestire le proprie giornate e la propria esistenza. Ad esempio, nel brano riportato sotto (S04), emerge che la diagnosi di sieropositività lo ha sconvolto fino al punto da renderlo incapace di trovare la forza per reagirvi. In questo caso riteniamo che la minaccia sia rivolta principalmente al principio di autoefficacia, in quanto queste persone sentono minacciata la possibilità di mantenere sentimenti di competenza ed efficacia nella loro vita e vi reagiscono adottando comportamenti anche svantaggiosi e lesivi alla propria salute.

“Ogni tanto andavo a fare gli esami, loro mi dicevano ritorni tra un tot e io non ci andavo…

sempre la stessa cosa, fino a che poi non m’è presa una polmonite, sono finita all’ospedale e da lì ho preso poi consapevolezza della malattia, ho preso consapevolezza e ho cominciato a prendere i farmaci.”

S14 (Donna, entro 45 anni)

“Adesso, essendo 15 anni che son fuori da tutto, sono sposato, ho un figlio piccolo, le conseguenze le senti. Nel senso che mi piacerebbe anche star con loro, mentre invece sento che me ne sto andando via piano piano”.

S16 (Uomo, tra 45 e 50 anni)

“... (PIANGE)… sto pure attento a baciare i miei figli però non mi fido... stiamo un po’ attenti a tutto… si cambiato in peggio... ho reagito perché ho reagito altrimenti non stavo qui però c’è sempre quell’angolino dentro al cervello che sei quello che sei, c’è poco da fare... “.

S04 (Uomo, oltre 50 anni)

La sottotematica relativa alla reazione soggettiva (comportamentale ed emotiva) alla diagnosi di sieropositività ricevuta (21 citazioni), viene considerata da 12 soggetti su 20. Di questi, 4 ritengono che scoprire di avere una malattia così “grave” li ha portati ad intraprendere uno stile di vita più sano modificando abitudini, come il fumo e la tossicodipendenza: a questo proposito riteniamo che per queste persone non sia possibile intravedere specifiche minacce identitarie, anche se i cambiamenti dichiarati fanno presupporre un processo di ristrutturazione della loro vita quotidiana e, presumibilmente, anche della loro identità ed in particolare della dimensione dell’autoefficacia, come emerge dai brani sotto riportati:

“Perché volevo vivere… c'era una voglia di vivere… forse questo mi ha salvato, mi ha fatto fare delle scelte che… o curarmi di più… penso che sia stata una cosa positiva… passo dopo passo sono riuscito a risolvere problemi inimmaginabili… prima di tutto con le droghe, cose che mi facevano male... tutto”.

S02 (Uomo, tra 45 e 50 anni)

“Io ho anche molta fede in Dio per cui … abbattersi non serviva a niente … in un primo momento ti abbatti perché hai paura, ma se dopo vinci la paura riesci a combattere ancora perché io penso che la vita vada combattuta perché ogni giorno è diverso”.

S10 (Uomo, tra i 45 e i 50 anni)

“Io la malattia l’ho sempre presa come un aspetto... nel senso che quello che mi si presentava davanti io poi reagivo”.

S03 (Uomo, tra i 45 e i 50 anni)

Questo processo di ristrutturazione dell’identità risulta più evidente in 5 persone che riferiscono di avere dato una nuova visione di sé stessi che permettesse loro di affrontare ed incorporare questa notizia all’interno della propria esperienza. Ci sembra possibile che queste persone abbiano avvertito una minaccia al principio del bisogno di senso, in quanto hanno dovuto costruire e dare un nuovo senso alla propria vita per poter incorporare anche questa malattia. Di seguito alcuni esempi.

“Alla fine affronti le cose, la vita t’è cambiata, non lo condividi con nessuno. Io è un po’ che non ho tempo ma ogni tanto faccio un po’ di terapia di sostegno: agli altri non li puoi turbare con queste cose, è logico ma … te la gestisci… però è cambiata”.

S14 (Donna, tra 45 e 50 anni)

“Dei cambiamenti grossi no, nel primo periodo, probabilmente perché c’era questa resistenza a riconoscere e accettare la cosa. Sì, prendevo abbastanza regolarmente i farmaci, finché non ho smesso del tutto, diciamo che lo sapevo, ma non la consideravo abbastanza, non gli davo abbastanza peso… pensavo che forse me la cavavo lo stesso facendo finta di niente”.

S09 (Uomo entro 45 anni)

“Col tempo c’è stata una progressiva elaborazione. Poi quando ho visto che reagivo molto bene, le cose erano meno peggio di come sembravano, quindi c’è stato un processo di elaborazione, e via via ho sempre costruito attorno a questa cosa, cioè, è diventata centrale nella mia vita”.

S13 (Uomo, entro 45 anni)

Due persone si sono invece identificati nella categoria “sieropositivi”, attribuendosi tout-court le caratteristiche di questa categoria attraverso un processo di auto – stereotipizzazione. Queste persone hanno reagito alla diagnosi rimuginando continuamente su di essa, fino a renderla quasi l’unico elemento descrittivo di sé. In questo caso la reazione alla diagnosi di sieropositività può avere costituito una minaccia per il principio della distintività, in quanto è mancata la motivazione a mantenersi distinti dagli altri.

“Sto pure attento a baciare i miei figli però non mi fido... stiamo un po’ attenti a tutto…si cambiato in peggio... ho reagito perché ho reagito altrimenti non stavo qui però c’è sempre quell’angolino dentro al cervello che sei quello che sei, c’è poco da fare... “.

S04 (Uomo, oltre 50 anni)

“No purtroppo no io vivo questa vita parallela perché sono clandestina... perché i miei amici nessuno sa niente, al lavoro nessuno sa niente, io insegno tra l’altro, io faccio l’insegnante, anche un lavoro particolare... attualmente lo sa mia sorella, suo marito di conseguenza che è arrivato dopo, e il mio compagno ovviamente”.

S08 (Donna, entro 45 anni)

Infine, una persona riferisce di aver reagito alla diagnosi cercando di procrastinare il più a lungo possibile l’assunzione dei farmaci, in quanto cominciare a prendere le medicine “salvavita”

significava prenderle per tutta la vita. Nel caso di questa persona la diagnosi sembra possa aver costituito una minaccia al principio di autoefficacia, e pertanto vi si sia opposto mettendo a rischio la sua stessa salute.

“Prendere i farmaci significava rendersi conto, cioè, no, rompere quel velo che mi separava psicologicamente da questi problemi, che io nonostante ce li avessi facevo finta che… facevo una vita sana, smisi di fare quello che facevo, infatti, ingrassai, stavo proprio bene. Per cambiare aria

andai in Sicilia. Poi quando cominciai a prendere farmaci le cose erano diverse. Cioè, ti senti un po’ come che hai preso una strada che non puoi più tornare indietro. Prima sapevi che c’era quella strada lì sulla destra, che se c’era bisogno proprio prendevi i farmaci, quando cominci prendi quella strada, vero che puoi cambiare un farmaco o l’altro ma non hai più vie d’uscita “.

S12 (Uomo, oltre 50 anni)

In relazione ai frammenti di interviste riportati, è evidente come la tematica relativa alla diagnosi abbia costituito in qualche modo una minaccia identitaria, più o meno esplicitata, per tutte e venti le persone che hanno partecipato a questo primo studio della ricerca. Nella tabella 4 vengono riportati i dati evidenziando le frequenze relative ai principi che vengono minacciati, facendo riferimento sia al numero di soggetti che percepiscono la minaccia, sia al numero di citazioni totali relative a ciascuno di essi.

Diagnosi

Principi minacciati Significato Reazione

Distintività - 2 cit. (2 SS.)

Autostima 6 cit. (2 SS.) -

Autoefficacia 6 cit. (3 SS.) 2 cit. (1 SS.)

Appartenenza - -

Senso 37 cit. (15 SS.) 11 cit. (5 SS.) Non direttamente rilevabile - 7 cit. (4 SS.)

Tabella 4. Tabella riassuntiva dei risultati relativi al tema sovraordinato della Diagnosi.

In base a quanto emerso, è possibile affermare che, generalmente, la diagnosi costituisce una minaccia identitaria per tutti coloro che hanno partecipato alla ricerca. In particolare ci sembra di poter affermare che questo tema costituisca, per la maggioranza dei soggetti, una minaccia al principio del bisogno di senso (16 soggetti, 38 citazioni). E’ possibile ipotizzare che il momento della diagnosi costituisca anche un momento significativo per i processi di ristrutturazione identitaria. L’impatto che la diagnosi tende a comportare sembra creare una rottura e portare a ripensare al senso della propria esistenza e della propria identità.

Non emergono invece elementi di rottura del proprio senso di continuità temporale; mentre per alcuni, il momento della diagnosi sembra mettere in discussione anche i principi di autostima, autoefficacia e distintività.