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SPAZIO DI VITA

TEMATICA 6: LE PROSPETTIVE FUTURE

5. STUDIO 2: LIPODISTROFIA, CAMBIAMENTI IDENTITARI E QUALITA’ DI VITA

5.1 Obiettivi ed ipotesi della ricerca

5.1.3 Spazio di vita e minacce identitarie

Il terzo obiettivo della ricerca, ovvero quello di individuare quali caratteristiche dello spazio di vita (oggettive e psicologiche) incidono maggiormente sui contenuti dell’identità minacciati, sui principi che vengono minacciati e sulle strategie di coping utilizzate per ristabilire un qualche tipo di equilibrio identitario, è stato declinato in diversi obiettivi più specifici ciascuno relativo alle diverse dimensioni (fisiche, temporali e relazionali – oggettive e psicologiche) attraverso le quali lo spazio di vita dei pazienti è stato operazionalizzato.

Per quanto riguarda la dimensione fisica dello spazio di vita, l’obiettivo più specifico che ci siamo posti è stato quello di misurare quali aspetti della lipodistrofia fossero in grado di minacciare maggiormente l’identità delle persone affette da HIV/AIDS; più in particolare i contenuti dell’identità, i principi verso cui essa tende e le strategie di coping utilizzate per ristabilire l’equilibrio identitario.

Seppure non sia possibile formulare precise ipotesi a questo riguardo, la letteratura medica e psicologica sembra indicare alcune possibili risultati attesi. Nello specifico riferiti alla percezione della gravità dei cambiamenti percepiti/registrati e alla parte del corpo che risulta più colpita dalla sindrome. Ad esempio, nello studio di Fernandes et al. (2007) si sottolinea come soprattutto la lipoatrofia al volto determini nelle persone malate preoccupazioni relative a possibili stigmatizzazione.

Rispetto alla percezione di gravità dei cambiamenti corporei percepiti, ci aspettiamo che sia soprattutto la percezione soggettiva – e in misura inferiore quella medico-diagnostica – ad incidere maggiormente sui contenuti dell’identità messi in discussione e sui principi che ne vengono minacciati, e che tanto più gravi siano i cambiamenti percepiti tanto più “seri” saranno i problemi identitari dichiarati sia rispetto alle forme di minaccia, sia rispetto ai principi identitari che vengono minacciati. A tale proposito, Guaraldi et al. (2006a), infatti, sottolineano la presenza di una correlazione tra l’entità dei cambiamenti del corpo così come viene percepita dai pazienti e la qualità di vita percepita dagli stessi; ciò a sottolineare il ruolo marginale dell’“oggettività del

cambiamento” misurato dai medici. Un altro studio (Ong et al., 2007) riporta l’attenzione sull’importanza della percezione soggettiva, piuttosto che sui parametri e sulle valutazioni mediche:

gli autori affermano l’esistenza di una relazione predittiva tra le misure soggettive e il disagio psicologico misurato con i questionari standardizzati proposti; al contrario non è emersa alcuna relazione tra la severità della lipoatrofia facciale, misurata attraverso le scansioni laser e il disagio psicologico.

Rispetto alla parte del corpo più colpita la letteratura indica che il volto, che è la parte del corpo sempre scoperta e visibile agli altri, costituisce anche una parte del corpo che le persone pensano possa essere facilmente associata alla malattia (Reynolds et al., 2006; Huang et al., 2006); inoltre la percezione, la misura soggettiva del cambiamento del volto, risulta predittore del disagio psicologico della persona malata (Ong et al., 2007). In relazione a ciò, possiamo aspettarci che la percezione dell’entità dei cambiamenti del volto, soprattutto in termini di magrezza alle guance e alle tempie e più in generale dei cambiamenti più visibili agli altri, possa più di altri tipi di cambiamento (accumulo addominale, accumulo dorso-cervicale, lipoatrofia gli arti superiori ed inferiori) minacciare l’identità dei pazienti HIV. In particolare che la percezione di una maggiore gravità dei cambiamenti al volto possa associarsi ad una maggiore preoccupazione per la rivelazione involontaria della malattia e per i conseguenti processi di stigmatizzazione ad essa associati (Fernandes et al., 2007), cioè per quelle dimensioni identitarie riferibili agli aspetti sociali dell’immagine di sé (nel senso del concetto di identità sociale di Tajfel, 1981). Non bisogna d’altro canto dimenticare che ancora oggi lo stigma associato all’infezione da HIV/AIDS è fortemente presente, per motivi già trattati nei capitoli precedenti (cfr. par. 2.3.4) e che la paura dello stigma costituisce uno dei principali motivi per cui le persone non rivelano il proprio stato sierologico.

Oggi, questa paura, può essere accentuata dai cambiamenti del corpo legati alla lipodistrofia che possono rendere riconoscibile la malattia. Ed è per questo che ci aspettiamo che i cambiamenti più esposti agli occhi degli altri (vedi ad esempio al volto) siano anche quelli in grado di generare più forme di minaccia ai contenuti dell’identità ed in particolare a quelli legati alla dimensione sociale.

Nessuna previsione ci sembra invece formulabile alla luce della letteratura scientifica rispetto ai principi che vengono minacciati, anche se è plausibile immaginare che sia il principio di autostima sia quello in questi casi (cambiamenti più visibili) messo maggiormente in discussione dai cambiamenti lipodistrofici.

Rispetto alla dimensione temporale, nella letteratura sulla malattia cronica in generale (Kralik, 2002;

Whitehead, 2006b), ma anche in quella relativa alla malattia HIV/AIDS (Courtenay et al., 1998;

Courtenay et al., 2000; Baumgartner, 2007), viene sottolineata l’importanza di considerare il tempo della diagnosi, cioè da quanto tempo la persone è malata: il tempo sembra essere un aspetto

importante per determinare la fase di malattia in cui la persona si trova facendo emergere diverse reazioni/emozioni alla malattia, quindi una diversa fase nel processo di accettazione/incorporazione della malattia nel proprio sé e nella propria vita; e, in relazione a ciò, l’utilizzo di diverse strategie per affrontare la malattia (Adams, Pill e Jones, 1997; Michael, 1996).

Alla luce di queste indicazione ci sembra plausibile ipotizzare che esista una differenziazione rispetto alla minaccia della lipodistrofia all’identità delle persone malate in relazione al tempo della diagnosi: è possibile che chi è malato da un più tempo subisca minacce a principi identitari diversi da chi è malato da meno tempo, anche se non ci è possibile, sulla base dei dati fin qui disponibili, fare previsioni più precise.

Oltre al tempo della diagnosi (cioè al tempo clinico), ci si può aspettare che anche altre dimensioni temporali possano incidere sulla struttura dell’identità e sulle strategie attivate per ristabilire un equilibrio identitario. In particolare potrebbero emergere differenze rilevanti in funzione del tempo storico in cui la diagnosi è stata effettuata. Ci riferiamo in particolare al fatto di avere scoperto di essere sieropositivi in un preciso momento storico, prima o dopo l’avvento della HAART: prima o dopo la scoperto di terapia in grado di tenerti in vita. Ci aspettiamo dunque che ci possano essere delle differenze in termini di principi minacciati nell’identità delle persone che hanno scoperto la malattia prima e dopo l’HAART: ad esempio, chi ha scoperto la malattia prima dell’HAART è presumibile ipotizzare che fosse proiettato verso una morte in tempi brevi e quindi fosse, almeno inizialmente, soggetto ad una minaccia al principio della continuità e dell’autoefficacia. Le persone, invece, che hanno contratto il virus dopo la scoperta dell’HAART, possono anch’esse aver sentito minacciato il principio della continuità ma, in relazione la fatto di avere scoperto il proprio stato di sieropositività in un’epoca in cui esistevano terapie in grado di mantenerli a lungo in vita, può forse anche avere loro dato la possibilità di ristrutturare in maniera diversa l’identità.

Infine un’ulteriore dimensione temporale da considerare è quella del tempo evolutivo: quanta parte della sua vita il paziente ha vissuto con la malattia; quanti anni la persona aveva quando ha contratto il virus dell’HIV; in quale fase del ciclo di vita si trovava quando ha contratto il virus?

Questi sono gli interrogativi che in questo caso ci sembra opportuno formulare. In relazione a ciò, è possibile, infatti, aspettarci forme di minaccia o forse anche intensità con cui esse si esprimono diverse nelle persone in cui la malattia ha occupato alcune fasi della loro vita (ad esempio quella in cui normalmente le persone costruiscono il proprio progetto di vita affettiva e lavorativa) rispetto ad altre (come ad esempio quelle caratterizzate dal ritiro naturale del mondo lavorativo), anche se non ci è possibile, sulla base dei dati disponibili, fare previsioni precise.

L’ultima dimensione dello spazio di vita considerata è la dimensione sociale.

Alcuni studi riportano che lavorare serve alle persone per mantenere autostima, benessere fisico ed emotivo, rispetto di sé, auto-realizzazione e relazioni sociali con i membri che appartenevano allo stesso contesto lavorativo (Rushing, 1995; Hergenrather et al., 2005); inoltre fa sentire le persone autosufficienti e permette loro un controllo sulla propria vita (Timmons e Fesko, 1997, Timmons e Fesko, 2004). Ancora, il lavoro sembra poter influenzare soprattutto l’immagine e la stima di sé negli adulti delle società occidentali contemporanee in relazione proprio dell’importanza data alla professione nella definizione di sé e degli altri (Breakwell, 1986).

Pur essendoci dati discordanti alcuni studi (Merriam et al.,1997; Courtenay et al., 1998; Courtenay et al., 2000; Baumgartner, 2007) riportano che la rivelazione della propria malattia HIV/AIDS a terzi sia un aspetto importante per l’accettazione della malattia stessa e per il processo di trasformazione/ristrutturazione dell’identità della persona malata.

Non è possibile inoltre trascurare l’importanza del contesto sociale e culturale nel quale la persona vive e il valore che la persona attribuisce ad esso (Breakwell, 1986) poiché può determinare un diverso impatto della malattia sull’identità e una diversa ristrutturazione della stessa.

In relazione ai dati che la letteratura ci offre rispetto all’importanza che le caratteristiche sociali dello spazio di vita possono avere sull’identità delle persone in generale (e di quelle sieropositive in particolare), ci si può aspettare che esista una differenziazione rispetto alla minaccia della lipodistrofia all’identità delle persone malate in relazione al fatto che abbiano un lavoro, una rete sociale e abbiano rivelato la propria malattia ad altri. La presenza o meno delle caratteristiche sopra citate è possibile che permetta alla persona malata l’attivazione di strategie di coping diverse per la ristrutturazione della propria identità.

I dati ricavati dal primo studio, inoltre, hanno evidenziato che le persone definite come “protetti”

hanno avuto minacce identitarie subito dopo la diagnosi ma che poi, hanno trovato sostegno e supporto nelle persone vicine; al contrario sembra che i “minacciati” non abbiano avuto o percepito sostegno dalla rete sociale.

Alla luce di queste indicazione ci sembra plausibile ipotizzare che la mancanza di una rete sociale (ad esempio il fatto di avere o non avere un partner, di vivere soli o con altre persone) e la percezione del supporto/vicinanza delle persone, possano essere considerati aspetti caratteristici dello spazio di vita della persona malata capaci di contribuire alla minaccia identitaria.

Relativamente al genere, studi sull’immagine corporea (Muth e Cash, 1997) hanno sottolineato come le donne valutino meno favorevolmente il proprio aspetto sul quale tendono ad investire maggiormente per migliorarlo; questo investimento però costituisce una fonte di stress. Inoltre, nello specifico caso della malattia HIV/AIDS, la malattia stessa e il manifestarsi della lipodistrofia,

determinavano una percezione negativa della propria immagine corporea sia per le donne che per gli uomini.

E’ possibile prevedere che ci sia una valutazione di entità maggiore rispetto ai cambiamenti del corpo relativamente al genere: le donne, più degli uomini, percepiranno entità più gravi di lipodistrofia, a confronto con la lipodistrofia documentata dal medico. A questo proposito non dobbiamo dimenticare che l’immagine ideale del proprio corpo dipende anche dai parametri più generali dettati dalla società in cui si vive: nel caso della moderna società occidentale, ci viene presentato il modello di un corpo femminile esile e snello e un corpo maschile muscoloso e scattante. Le persone dunque si trovano a confrontarsi con un modello di riferimento “ideale” di bellezza cercando conferme negli altri.

In linea con i risultati emersi da tutte queste diverse ricerche è quindi plausibile aspettarci che la qualità dello spazio di vita possa associarsi a differenti tipi di minaccia identitaria, a diversi principi identitari e a diversificate strategie di coping. In sostanza che lo spazio di vita concepito e articolato nelle dimensioni fisico, temporale e sociale (vedi modello teorico cfr. par. 3.4.2), ovvero lo spazio in cui “fluttua” l’identità di una persona, può quindi moderare la percezione di minaccia che la lipodistrofia può costituire per l’identità della persona affetta da HIV/AIDS e le modalità con cui esse potrebbero far fronte a tali minacce. Infatti, il medesimo spazio di vita può diventare anche una fonte che la persona malata può utilizzare per trovare le risorse necessarie per attivare strategie di coping che ristrutturino la propria identità.