L’involuzione Capitolo e cattedrale tra 1420 e 1430
4. Anatomia del capitolo riformato La bolla «Ex Apostolice» (1439)
Una cattedrale tardomedievale era un meccanismo assai complesso, di innumerevoli funzioni distribuite, di posizioni da rispettare, di doveri da espletare. Oltre a questo v’erano del 115 ACP, Pergamene, Sacrestia, reg. 17, n. 17. 116 Ibidem, Tomus Niger, cc. 137r‐139v 117 Ibidem, Liber statutorum maioris ecclesie, cod. D66, cc. 69r‐76r. 118 Ibidem, Pergamene, Privilegi, reg. 2, n. 82. 119 Il documento, finora inedito, è integralmente edito in Appendice 13, sulla base della copia legata in ACP, Liber statutorum maioris ecclesie, cod. D66, cc. 48r‐57v.
denaro da maneggiare, delle spese da sostenere, un edificio – il duomo – da tenere acconcio, una missione spirituale da perseguire. Si ha l’impressione di un’elevata burocratizzazione, quasi caotica ma limpida, una ragnatela normativa forse impensabile. L’idea è proprio quella di un grande ingranaggio, specie laddove la Ex Apostolice parla dell’orologio della cattedrale, a vigilare sul quale era preposto un chierico che prestava servizio continuo. La bolla di Eugenio IV, in breve, è la chiave dell’ingranaggio, il libretto di istruzioni della cattedrale.
La bolla tratta le singole materie specularmente alla gerarchia interna del capitolo. Dapprima si parla delle tre dignità vitalizie (arciprete, arcidiacono, tesoriere) e quindi si passa alla carica del camerario. Seguono norme sulla residenza, sulla mensa comune dei canonici e sul clero della cattedrale: mansionari, custodi e cappellani. Dopo una serie di prescrizioni di varia natura, infine, la bolla dà spazio agli uffici del «cantor» e dello «scholasticus».
4.1 Arciprete
Il primo tra i doveri dell’arciprete è la «presentia» in cattedrale, anche poiché, in anni precedenti alla bolla e «sepissime», l’assenteismo degli arcipreti aveva portato a molti «incommoda»120. L’arciprete è tenuto alla «continua residentia in ecclesia», al «servitio» in essa e al rispetto degli statuti capitolari. La sua dedizione deve essere assoluta e perciò, «ut ab omni alia solicitudine sit alienus», non potrà accettare nessuna cattedra ordinaria nello
Studium padovano. L’insegnamento del diritto canonico, tuttavia, gli sarà consentito, a patto
che non trascuri il «divinum officium»121.
L’arciprete deve avere almeno 35 anni, ha i compiti di sovrintendere alla cura d’anime, di presiedere e convocare il capitolo e di leggere il Vangelo allorquando il vescovo celebri in cattedrale. In sua assenza la lettura del vangelo spetta all’arcidiacono e, nel caso in cui sia assente anche quest’ultimo, al canonicus antiquior, vale a dire al canonico più anziano del capitolo. In assenza del vescovo, infine, all’arciprete spetta l’intera celebrazione delle messe solenni.
4.2 Arcidiacono
In una chiesa tanto grande quanto il duomo padovano la «sola dignitas archipresbiteralis» non può bastare, «ut experientia docente didicimus», e perciò si è istituito un nuovo dignitario, l’arcidiacono, affiancato all’arciprete. Il nuovo dignitario deve aver compiuto 25 anni, essere persona «matura» e, pena la deposizione, ordinata nel sacerdozio da almeno un anno. Egli, inoltre, è tenuto a vestire la «almucia»122, a giurare sul libro degli statuti, a sedere in coro nel primo stallo alla destra del vescovo, in quanto «prima dignitas in ecclesia paduana post archipresbiterum». Nel caso di vacanza dell’arcidiaconato, spetta al capitolo designarne il sostituto e chiederne conferma al vescovo.
I compiti dell’arcidiacono sono assai vari: esaminare gli ordinandi, visitare le chiese e i monasteri, conferire il possesso dei benefici diocesani ai titolari e agire da supplente dell’arciprete nelle competenze spirituali. L’arcidiacono potrà beneficiare dei redditi di residenza, avrà voce in capitolo, tutte le prerogative dei canonici e una casa vicino alla chiesa. Neanche l’arcidiacono, senza licenza del vescovo, del suo vicario o del capitolo, può assentarsi dalla cattedrale per più di otto giorni; in caso contrario perderà i frutti del suo beneficio per quattro mesi. Se la sua assenza si protrarrà per sei mesi egli, ipso facto, dovrà essere destituito.
4.3 Tesoriere
Il dignitario indicato come «sacrista» viene ribattezzato dalla bolla eugeniana «thesaurarius»123. La sua posizione, in coro e in capitolo, è quella di «primus post 120 Si pensi all’assenteismo dell’arciprete Giovanni Garzoni tra 1410 e 1414 di cui si è parlato nel capitolo IV. 121 L’arciprete in carica in quegli anni, Agostino Michiel, era docente nello Studium padovano. 122
Du Cange, Glossarium mediae et infimae latinitatis, vol. I, Graz 1954, pp. 191‐192: indumento di tela di uso canonicale da porsi intorno al collo e sulle spalle, munito di fettucce per legarne i capi sul petto.
123
La dignità del sacrista, vitalizia, compare per la prima volta nella cattedrale padovana nel 1185 (Tilatti, Canonica‐
archidiaconum», il terzo posto nella gerarchia capitolare. Deve essere ordinato nel sacerdozio (o diventarlo entro sei mesi dalla nomina) ed essere un canonico già prebendato. Quanto ai suoi compiti il tesoriere deve avere cura della suppellettile sacra, dei «vestimenta» e di tutti gli «ornamenta» della cattedrale, far sì che il materiale liturgico sia pulito e al suo posto e conservare i libri del duomo124. Tra i paramenti custoditi dal tesoriere vi sono anche i palii canonicali, al cui versamento sono tenuti tutti i canonici di nuova nomina; onoranza, questa, che può essere convertita in un versamento monetario di 6 ducati ma non elusa, al punto che il tesoriere stesso, «ut ecclesia non fraudetur», potrà opporre contro i trasgressori i «remedia iuris». Nulla di tutto quanto amministra potrà essere «mutuato» dal tesoriere «extra ecclesiam», né a laici, né a religiosi né ad altre chiese o collegi. Il patrimonio suntuario pertinente alla Sacrestia, a maggior tutela, dovrà essere descritto e registrato in «aliquo libro autentico», sigillato e consegnato all’arcidiacono, per revisione, ogni sei mesi.
Il tesoriere dovrà sorvegliare e garantire la conservazione dei «privilegia» e delle «scripture autentice» spettanti al capitolo, vigilando che non vengano trasferiti fuori dalla cattedrale (se ciò risultasse necessario, tuttavia, l’assemblea capitolare può concedere una deroga). Estrema cura il tesoriere deve rivolgere alle «pecunie» della Sacrestia, per la custodia delle quali «fiant tres claves», una a testa per arciprete, arcidiacono e tesoriere. Altro compito del terzo dignitario capitolare è accertarsi che i «lumina» del duomo siano accesi giorno e notte, con particolare attenzione al «corpus dominicus» e all’illuminazione dell’altare maggiore. Il tesoriere è il responsabile primo dell’edificio cattedrale, della sua pulizia e del corretto svolgimento delle funzioni. Tale sovrintendenza si estende poi, fuori dalla cattedrale, a tutti gli altri «edificia seu officina» spettanti al capitolo tra i quali, nella bolla, è concesso dello spazio alla «singularis cura» che il tesoriere deve prestare alla chiesa campestre di S. Maria di Lugo, posseduta dal capitolo quasi sul margine delle lagune, un oratorio mariano al quale «ex diversis locis pro votis solvendis multi concurrunt».
Nel duomo di Padova le sacrestie erano due, quella maggiore e quella minore. La prima era la sacrestia dei canonici, retta dal tesoriere, e la seconda era la sacrestia dei cappellani, retta da un suo proprio sacrista minor i cui doveri sono speculari a quelli del tesoriere stesso: avere una «apodissa» del materiale in uso sugli altari, redigere inventari, assicurarsi di ordine e pulizia e rimborsare il materiale deteriorato o perduto.
I rilevanti doveri del tesoriere implicano assiduità in cattedrale e per questo, onde possa «officio suo satisfacere», deve abitare una casa prossima alla cattedrale e avvalersi di un «fidus substitutus»: il subsacrista. Questi, l’amministratore pratico della finanza di Sacrestia, eletto annualmente dal capitolo, è il braccio operativo del tesoriere. Se richiesto, deve dormire di notte nella sacrestia maggiore, coadiuvare il tesoriere «in tenendo sacristiam ordinatam» e «in exigendo introitus sacristie» e produrre infine la contabilità, da presentare al capitolo, anno per anno, in revisione.
4.4 Camerario
Nella chiesa padovana il presidente della mensa comune dei canonici (Canipa) era indicato con il termine di «massarus» ma dal 1439, proprio per effetto della Ex Apostolice, assunse il nome di «camerarius». Al camerario, carica annuale ed elettiva, spetta convocare il capitolo in assenza di arciprete e arcidiacono. Requisiti del candidato sono i seguenti: essere «persona gravis et matura», «intelligens», di età non inferiore ai trent’anni e in grado di capire l’importanza delle mansioni cui deve attendere. Il camerario, una volta eletto, fatto giuramento sugli statuti, percepisce un «salarium» annuo di £ 25 (escluse le «honorantiae consuetae»). La carica non può essere concessa ai tre dignitari della cattedrale, ma va conferita a un canonico che sia «benemeritus et ad hoc officio accomodatus». Compito del camerario è thesaurarius pro sacristia Paduane canonice» sebbene nella documentazione, fino alla riforma eugeniana, diventi esclusivo il termine «sacrista» (ACP, Pergamene, Villarum, reg. 9, Scandolato, n. 8.),. 124 Per gli incarichi e le funzioni del sacrista‐tesoriere cfr. anche l’edizione del ducentesco Liber Ordinarius, pp. 196‐ 197.
la cura delle «distributiones» di residenza al clero della cattedrale le quali, «pro iustitia et caritate servanda», non potranno essere erogate in anticipo ma solo a chiusura dell’annata. Il camerario deve essere sollecito, inoltre, nel promuovere redazioni di inventari e catasti dei possedimenti e vigilare sia sul patrimonio comune che su quello delle prebende individuali.
Al camerario sono affidati anche compiti investigativi poiché deve «investigare diligenter» se per negligenza dei beneficiati le prebende siano incolte, alienate, perdute, concesse «ad livellum» o «in emphiteosim». L’officium del camerario quale sovrintendente ai benefici è limpido: deve far eseguire stime dei beni capitolari, comuni e individuali, amministrare i benefici di un titolare nel frattempo defunto, sottoporre le irregolarità all’«arbitrium» del vescovo e del capitolo, scoprire la causa dell’eventuale assenza di un canonico e, qualora «legitima», concedere all’assente il gettone di presenza (£ 2 di grossi).
La bolla si sposta a questo punto sul terreno delicato delle finanze capitolari e seguono precisazioni in margine a varie evenienze: a) nessun beneficiato, sotto pena di £ 100, né «publice» né «occulte», può ottenere l’affitto o la «conductio» di decime o altre rendite spettanti alla Canipa o alla Sacrestia; b) nessun beneficiato può essere fideiussore nell’affitto di decime o rendite; c) nel caso il camerario scopra affittanze illecite esse vanno annullate; d) nessun affitto e nessun rinnovo di beni appartenenti alla Canipa o a prebende individuali, può essere concluso senza il consenso del camerario ma i rinnovi dei livelli necessitano del consenso dell’intero capitolo; e) il camerario deve provvedere affinché «unus clericus» dorma nel campanile, pronto a suonare le campane e ad aver cura continua dell’«horologium».
Se il tesoriere deve avvalersi di un vice, il camerario deve averne due, i subcamerari: «viri experti et fidi et ad labores incumbentes apti». Ogni anno, camerario e subcamerari devono «reddere rationem» delle finanze amministrate a una commissione di tre «experti» eletti dal capitolo. In merito alla gestione delle finanze, l’obiettivo principale del camerario e dei due amministratori deve essere il pari in bilancio ed essi non possono eseguire retribuzioni superiori alla disponibilità effettiva della Canipa. Trascorso l’anno e detratte le spese dagli introiti, se la mensa comune avrà «centum» solo quel «centum» dovrà essere diviso tra gli aventi diritto.
Il camerario, nell’evenienza di una prebenda contesa da «plures acceptantes», deve procedere a sequestrarla e a conservarne le rendite per la Canipa, in modo che la stessa Canipa «sit magis opulenta et magis suppetant facultates ad onera que incumbunt». Questione affine, inoltre, è quella delle rendite ricavate da un neocanonico nel primo anno di possesso, i primi frutti. Il capitolo deve eleggere un canonico che riscuota i primi frutti e li giri al camerario per reinvestimenti nell’acquisto di possessioni o di rendite. Il canonico responsabile dei primi
frutti e delle prebende vacanti avrà anche il compito di visitare le case di proprietà del capitolo
e, se bisognose di «reparationes», dovrà farle riparare a spese del negligente. Allo stesso modo, infine, deve aver cura della canonica e delle sue camere e far procedere, se richiesto, alla loro sistemazione. Il canonico deputato a tutte queste funzioni ha diritto a un lucro personale. Di quanto incanalato dalla sua attività di prelievo, infatti, può trattenere per sé il 10%.
4.5 La residenza e la Canevetta
Nel 1431 il vescovo Donà aveva fondato la Canevetta, affiancata a Canipa e Sacrestia, volta a retribuire i partecipanti alle funzioni e regolamentata da statuti, confermati dalla bolla eugeniana salvo pochi aggiustamenti. La Canipetta deve essere sovrintesa dal camerario e, ogni anno, distribuire £ 600 tra canonici, mansionari, custodi, cappellani e «pueri de ecclesia ... divinis officiis continue interessentes». Tuttavia, poiché il denaro così raccolto non può bastare al bisogno, la bolla stabilisce che si intacchino le commissarie testamentarie della cattedrale i cui «administratores» devono trasferire alla Canevetta gli eventuali surplus delle loro gestioni, sottoforma di conguagli ascendenti a un totale di £ 295125. A questi introiti vanno aggiunte £ 74, offerte dal vescovo Pietro Donà, per arrivare così a una sostanza complessiva di £ 1.000. 125 I surplus sono fissati in conguagli annuali:
4.6 Mansionari e custodi
Nella gerarchia della cattedrale, sotto ai 22 canonici, vi sono 6 mansionari e 6 custodi, dotati di prebende più tenui e responsabili dell’amministrazione del duomo. Per il possesso del beneficio di mansionario sono richiesti 30 anni e per quello di custode 25, purché i candidati siano «bone reputationis», «docti» ed esaminati preliminarmente dal vicario vescovile per valutarne l’inclinazione alla cura d’anime. Ai mansionari spetta infatti la cura d’anime: essere presenti in chiesa, non assentarsi senza licenza del vescovo (pena la privazione del beneficio), officiare le celebrazioni quotidiane, celebrare solo in cattedrale e non altrove. Tra l’Avvento e l’ottava di Epifania essi devono essere reperibili «pro audiendo confessiones», «sine murmure» e indossando «cotta et canfarda»126. Uno o due mansionari, infine, per venire incontro agli imprevisti, devono dormire in cattedrale. I doveri dei custodi vengono parificati a quelli dei mansionari. Nei fatti, tuttavia, essi potevano essere diaconi, e quindi impossibilitati a espletare i compiti dei sacerdoti. Sia i mansionari che i custodi, in ogni caso, dovevano prender parte alle messe con «gravitate et silentio» e agire in vista della «devotio» della cattedrale, troppe volte «passa per ignorantia ministrorum».
4.7 Cappellani
Ogni cappellano, per essere eletto, deve essere sacerdote o diventarlo nel giro di un anno. Al tempo della bolla di Eugenio IV i cappellani della cattedrale sono ormai numerosi (almeno una trentina) e sono tenuti, ogni settimana, a organizzare turni per servire nelle cappelle. Come i mansionari, anch’essi devono essere reperibili in chiesa ed hanno il divieto di assentarsi dalla città e dalla diocesi. Tra di loro, quanti possiedono una cura d’anime aggiuntiva fuori le mura possono farsi sostituire in duomo alla celebrazione dei mattutini (ma tranne il giovedì e il sabato santi, quando la presenza è obbligatoria). Tra i cappellani, inoltre, il cosiddetto
quintarius deve celebrare il mattutino e assistere i celebranti durante i vesperi. Quando
assistono il vescovo all’altare i cappellani devono servirlo «de libro» e «de mitra», aiutarlo a indossare gli abiti sacri e leggere l’Epistola.
Il grande problema delle cappelle del duomo è la povertà delle prebende e la Ex Apostolice interviene su questo punto. Tre cappellanie di scarsa dotazione (quelle dei preti Luca da Sibinico, Giovanni da Fermo e Leonardo da Parma) vengono accorpate allo scopo di farne una sola, ma «bona». Sempre allo scopo di evitare cappelle povere la bolla proibisce di fondarne di nuove a meno che non siano dotate di rendite di almeno 25 ducati. Le cappelle già esistenti, ma di rendite inferiori ai 20 ducati, non hanno il diritto a un cappellano celebrante. Alcune cappelle, inoltre, non risultano officiate anche se istituite in cambio di anniversari per uno o più testatori. La «fraus» così denunciata dalla bolla viene risolta con una messa generale, da cantarsi ogni giorno all’altare di S. Michele a beneficio delle anime di tutti i benefattori.
La Ex Apostolice precisa infine le ammende per i cappellani non ligi al dovere: s. 2 per i non puntuali, s. 8 (convertibili in messe gratuite) per gli assenti, s. 2 per quanti non officiano le messe imposte per punizione. Affinché i cappellani partecipino alle processioni, inoltre, la bolla fissa un contributo di s. 2 ai partecipanti ai cortei dal principio alla fine. Per ulteriore disciplinamento, i canonici dovranno richiamare i cappellani con più frequenza: celebrino «cum gravitate et devotione ... non precipitando verba», dicano le messe «intelligibiliter», stiano
‐ la commissaria del canonico Siro, goduta e retta dal prete Giacomo di Terradura, custode, £ 93, s. 10; ‐ le commissarie tenute e rette dal prete Lorenzo di Santa Croce, mansionario, £ 40;
‐ la commissaria di Ildebrandino Conti, vescovo di Padova, concessa all’altare della Santa Croce e retta dalla Sacrestia nella persona del mansionario Giovanni de Pisis, £ 2; ‐ la commissaria del canonico Salione Buzzacarini, retta e goduta dal camerario, £ 100; ‐ la commissaria del maestro Bartolomeo di Arido, tenuta dal prete Pietro Fiorentino, cappellano, £ 54; ‐ la commissaria della moglie del maestro Lazzaro, “gramaticus”, £ 6. 126 La cotta era la «tunica bianca usata dai sacerdoti nei riti non uniti alla messa e dai chierici», indumento semplice ed essenziale, il cui colore bianco vorrebbe richiamare lo stato di grazia. Cfr. Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano 1953, vol. IV, pp. 783‐786.
«cum oculis dimissis et non erecta cervice», ripassino la messe e non si presentino all’altare impreparati, «vertendo folia cum tedio et murmure populi».
4.8 Norme «extravagantes»
Dopo aver stabilito doveri, diritti, requisiti e disciplina dei beneficiati della cattedrale, la bolla eugeniana propone alcune norme di varia natura ma comunque necessarie alla piena definizione dell’organigramma capitolare.
a) Come mansionario, custode e cappellano il capitolo deve accettare solo coloro che abbiano già servito nella chiesa padovana o vi abbiano fatto residenza per almeno sei mesi continui. A discrezione del vescovo e del capitolo si potranno ammettere anche candidati de «extra ecclesiam» purché ne venga riconosciuta la «sufficientia». Nel caso il candidato sia un esterno, per possedere mansionaria, custodia o cappella egli dovrà avere i voti favorevoli di «duas partes capituli»; se sarà un interno, invece, abbisognerà soltanto della «maior pars».
b) Parte degli introiti dei legati testamentari deve essere utilizzata «pro fabbrica» e «pro ornamentis vel vestibus» da usare in cattedrale. Tuttavia, considerato che questa non è una necessità continua, il denaro sovrabbondante dovrà essere girato alla Canevetta.
c) I cappellani, quando trovino nelle loro cappelle qualcosa da riparare, devono farne denuncia al governatore della mensa comune poiché un danno di poco conto, se lasciato scorrer via per negligenza, può convertirsi in una grande spesa.
d) Poiché molte decisioni, che non si possono prendere sulla base delle norme, dovranno forzatamente ricadere nella discrezione dei superiori, e poiché i «negotia» del capitolo sono molti, in via di semplificazione procedurale la bolla di Eugenio IV suggerisce alcune direttive. Coloro che hanno il compito di registrare le ore di residenza dei beneficiati (appuntatori) devono rivolgersi al diretto superiore che sia presente in coro e chiedere da lui l’approvazione delle ore. Ufficiale designato dal capitolo, inoltre, è il «gubernator divini cultus» che dovrà sospendere qualsiasi custode, mansionario o cappellano macchiatosi di negligenza o di qualche «scandalum» durante le celebrazioni. Se lo «scandalum» sarà grande è prescritto il ricorso al vescovo. Infine, ancora per evitare scandali, nessun «clericus», sia padovano che forestiero, può essere ordinato in sacris «absque litteris commendatitiis»; nel caso in cui si trovi un chierico ordinato in spregio di questa norma, il capitolo dovrà riesaminarlo circa l’effettivo possesso delle «qualitates requisitas».
e) Poiché i benefici goduti dagli ecclesiastici della cattedrale non sembrino «ingrati» al popolo e poiché lo stesso popolo sia indotto a beneficiare la chiesa padovana, una volta all’anno dovranno essere cantati in duomo, oltre agli anniversari regolari, «sollemnes vesperi cum matutinis defunctorum et die sequenti missa» a vantaggio delle anime «omnium benefactorum ecclesie paduane». Per lo stesso motivo, dovrà essere fissato un altro giorno nel quale saranno cantate le veglie e una messa per le anime di tutti i papi, con particolare riguardo per quelli che «privilegia et bona nostre ecclesie contulerunt». Considerato che sono molti i privilegi e i beni concessi da Eugenio IV al capitolo padovano («multa bona, tam spiritualia quam temporalia»), la Ex Apostolice statuisce che sarà necessario inserire nel calendario delle funzioni anche una messa «de spiritu sanctus» da celebrarsi finché Eugenio IV sarà in vita, nell’anniversario della sua incoronazione. Alla morte di Eugenio IV, infine, si celebreranno tre messe d’anniversario con riscossione di altrettante «elemosine», da devolvere a 50 poveri della città, nella somma di un soldo veneto «pro quolibet paupere». Ai canonici e al clero cattedrale che presenzieranno alla messa in onore di Eugenio IV verranno