I Carraresi erano diventati signori di Padova nel 1318, circa un secolo prima della loro caduta. Non rientrano negli obiettivi di questo lavoro né la descrizione della genesi e dello sviluppo della signoria carrarese su Padova, né l’analisi delle implicazioni economiche e sociali del regime signorile sulla città3. Risalendo verso gli ultimi decenni carraresi, invece, andrà senz’altro richiamato un rivolgimento assai critico per la signoria che nel 1388 culminò nell’occupazione milanese della città e nella cacciata di tutta la familia dominante4. Per comprendere il concetto politico del regime carrarese su Padova, valgano da sintesi le parole di Angelo Ventura:
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Galeazzo e Bartolomeo Gatari, Cronaca carrarese, a cura di A. Medin, G. Tolomei, in «Rerum Italicarum Scriptores2», XVII, 1(1911‐1929), Città di Castello, p. 580. 2 Ibidem. 3 Si rimanda, per questi aspetti, ad altri e approfonditi studi. Vedi B. Kohl, Governement and society in Renaissance Padua, in «Journal of Medieval and Renaissance Studies», 2 (1972), pp. 205‐221; S. Collodo, Economia e istituzioni del periodo carrarese, pp. 195‐405; A. Rigon, Clero e città, pp. 127‐163; B. Kohl, Padua under the Carrara. 1318‐ 1405, Baltimore‐London 1998. Per i profili biografici dei Carraresi, e il loro peso individuale sulla formazione della
Signoria, si vedano i differenti contributi nel DBI sotto le voci «Carrara». Per quanto riguarda le implicazioni economiche e sociali della Signoria si rinvia a S. Collodo, Signore e mercanti: storia di un’alleanza, pp. 329‐405 e Eadem, Credito, movimento della proprietà fondiaria e selezione sociale, pp. 194‐276. Si segnalano altri studi sui Carraresi: D. Gallo, L’epoca delle Signorie: Scaligeri e Carraresi (1317‐1405), Treviso 1994; gli interventi contenuti in
Padova carrarese, a cura di O. Longo, Padova 2005; Il copialettere marciano della cancelleria carrarese (gennaio 1402‐ gennaio 1403), a cura di E. Pastorello, Venezia 1915; G. Ronconi, Francesco Novello e la riconquista di Padova (1390: poemetto storico carrarese edito dall’esemplare vaticano), Padova 1994.
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Sul concetto di familia ma anche di amicitia, dilectio e domus come strumenti di consenso utilizzati dai Carraresi si veda S. Collodo, La pratica del potere, pp. 320‐323.
La Signoria infatti, nella sua essenza, non è altro che la prima forma, costituzionalmente ancora incerta ed ambigua, con la quale il Principato s’andava edificando sulle ceneri della democrazia comunale. […] Ma che contano questi residui del passato, destinati in breve tempo a perire? Di contro ad essi stanno i caratteri originali ed essenziali della Signoria: il potere assoluto, l’«arbitrium» del «dominus»; la profonda alterazione dei superstiti istituti comunali, trasformati in emanazione e docili strumenti del governo signorile5.
Anche altri furono i caratteri della signoria carrarese su Padova: l’irrobustimento dell’aristocrazia (che aveva trovato margini di prosperità nel carattere «autoritario» e «gerarchico» della Signoria stessa)6; la concezione patrimoniale del potere, inteso come un bene privato e inalienabile7; il trionfo, come strumento politico, di un «intreccio di legami familiari e di clientela»8; l’esistenza di due monopoli di potere, uno del lignaggio e uno dei rapporti interpersonali, riassumibili nella prassi del clientelarismo9. La signoria esercitava un capillare potere di «emanazione», per travolgere, forzare e indurre al consenso tutti i luoghi cittadini dotati di potere10.
1.1 Signoria e benefici ecclesiastici
Anche i benefici canonicali della cattedrale erano caduti nel circolo delle relazioni personali e familiari, tra ricompense, fedeltà e convenienza. Silvana Collodo ha studiato i canonicati del duomo per il secondo ‘300 padovano giungendo a conclusioni di questo tenore circa la «fisionomia» del capitolo in età carrarese:
[…] innanzitutto il gonfiarsi del numero dei suoi membri, dovuto alla necessità di accontentare, con conseguente «saccheggio» delle rendite, il maggior stuolo di «fedeli» possibile; poi l’intrusione in esso di personaggi modesti, vere «controfigure» ‐ un parente povero, un figlio in tenera età, un maestro di casa ‐ che ne accentuavano lo scadimento e come prestigio e come funzione. L’intera vita del Capitolo era insomma passata, direttamente o indirettamente, nelle mani del signore, il quale agiva a suo arbitrio, spesso senza salvare neppure le apparenze: certo, nessuno pensò di consultare il Capitolo quando nella casa che era stata del Petrarca andò ad abitare per alcuni anni l’estraneo Enrico Galletto, fedelissimo familiare degli ultimi due Carraresi11.
Il fatto che il capitolo di Padova fosse in mano ai Carraresi può essere chiarito richiamando un atto capitolare del 1393 a margine del quale venne disegnato lo stemma dei Carraresi, il ben noto carro12. Di Carraresi, per l’appunto, si parla nel documento poiché in esso è verbalizzata la nomina a canonico di Padova di un figlio naturale di Francesco Novello, il diciottenne Stefano da Carrara. Allo scopo era stato privato del canonicato Gisulfo Zecchi da Moncaglieri, in capitolo fin dal 1380. Quest’ultimo era figlio di Antonio Zecchi, «legum doctor», docente nello Studium di Padova e vicarius domini legato ai Carraresi fin dai tempi di Francesco il Vecchio. Non stupisce pertanto che il figlio di un “pezzo grosso” dell’entourage signorile sedesse tra i canonici poiché i canonicati rimanevano merce di scambio e risentivano dell’evolversi pratico dei favori entro la corte dei Da Carrara13. Si noti dunque quanto segue: Antonio Zecchi morì nel 1392 e Francesco Novello, l’anno dopo, non più nella necessità di 5 Ventura, Nobiltà e popolo nella società veneta del ‘400 e ‘500, Milano 19972, p. 16. 6 Ibidem, pp. 16‐18. 7 Ibidem, p. 29. Sulla stessa posizione del Ventura anche P. Sambin, Statuti padovani inediti, II, Il conferimento della signoria a Francesco II da Carrara (1388), in «Memorie dell’Accademia patavina», classe di scienze morali, 73 (1960‐ 61), pp. 76‐77. 8 Ventura, Nobiltà e popolo, p. 30. 9 B. Kohl, The Paduan élite under Francesco Novello da Carrara (1390‐1405). A selected prosopography, in «Quellen und Forschungen aus Italienischen Archiven und Bibliotheken» 77 (1997), pp. 206‐258. Le questioni della familia e del clientelarismo a Padova in età carrarese sono state studiate da S. Collodo, giungendo alla piena dimostrazione che la pratica del potere carrarese si fondava in buona parte sul «monopolio del lignaggio» e sulla creazione di «vincoli interpersonali non generati dal sangue ma dalla volontà». Si torna perciò a familia e clientelarismo come strumenti di potere. 10 Ventura, Nobiltà e popolo cit., p. 26. 11 Collodo, Lo sfruttamento dei benefici, p. 293. 12 ACP, Acta capituli, reg. 1, c.5. 13 Dondi, Serie, pp. 119‐120; Collodo, La pratica del potere, p. 299; Kohl, Padua, pp. 127, 131, 149‐150.
soddisfare gli Zecchi, rimosse dal canonicato Gisulfo, figlio di Antonio, conferendo il beneficio a Stefano da Carrara, suo figlio naturale bisognoso di collocazione14.
Altre indicazioni sul capitolo dei Carraresi si possono desumere dai libri contabili della Canipa, che contengono liste molto organiche del corpus canonicale. Ecco, ad esempio, chi erano i canonici di Padova nel 140415. Il nobile padovano Francesco Zabarella era arciprete della cattedrale mentre il canonico Matteo Cavalcanti, fiorentino, possedeva la seconda dignità, quella di sacrista16. Tra i canonici vi erano quindi due Carraresi: Ardizzone (dottore nei due diritti, figlio di Conte da Carrara – già arciprete nel duomo dal 1384 al 1388 e a sua volta figlio naturale di Francesco il Vecchio) e Paolo, figlio naturale di Iacopino da Carrara, eletto in capitolo con dispensa d’età nel 139417. Seguono i nomi del patriziato padovano filocarrarese e in primo luogo un altro Zabarella (Daniele)18 e due Lion (Aldobrandino e Antonio)19. Appartenenti a famiglie vicine ai signori di Padova erano pure Giacomo Alvarotti20 , Paolo Dotti21, Paolo Rustega22, Antonio Panico23, Impererio Marostica24, Francesco Trapolino25. Altri canonici erano legati ai Carraresi per il tramite dei rapporti interpersonali: Pietro Rabatta (che era canonico già nel 1394) era fratello del friulano Michele Rabatta, diplomatico al servizio di Francesco Novello26, e sempre friulano e legato ai Carraresi era anche Endrico conte di Spilimbergo, «nobilis et sapiens vir»27. Lazzaro di Beningrado era figlio di Francesco di Beningrado, un pellicciaio padovano che fu gastaldo del collegio dei giuristi (nel 1383) e consigliere di Francesco Novello, «uno degli uomini nuovi di cui si servirono i Carraresi»28. Il canonico guascone Francesco Dorde era figlio di Diodato Dorde de Gaubert, siniscalco e diplomatico di Francesco Novello29. Anche il canonico Nicolò Portogruaro frequentava gli ambienti di corte30 mentre erano forestieri Bartolomeo Beraldi (testimoniato come «da Bassano»)31 e Giacomo da Mantova (professore di grammatica a Padova nel 1378)32. Tobia 14 Cfr. L. Gaffuri, D. Gallo, Signoria ed episcopato a Padova nel Trecento: spunti per una ricerca, in Vescovi e diocesi in Italia dal XIV alla metà del XVI secolo, Atti del VII Convegno di Storia della Chiesa in Italia (Brescia 21‐25 settembre 1987), a cura di G. De Sandre Gasparini, A. Rigon, F. Trolese, G.M. Varanini, Roma 1990, pp. 923‐956; A. Rigon, Vescovi e signori nella Padova del Trecento, in Padova carrarese, pp. 69‐81. 15 ACP, Quaderni della Canipa, reg. 1, c. 112r. 16 Su Francesco Zabarella cfr. infra. Qualche appunto sul fiorentino Matteo Cavalcanti si legge in Dondi, Serie, p. 55. 17
Su Ardizzone, cfr. A. Gloria, Monumenti della Università di Padova (1318‐1405), vol. II, Padova 1888, n. 2251; Dondi, Serie, p. 56, Collodo, Lo sfruttamento dei benefici, pp. 281, 288. 18 Gloria, Monumenti, II, n. 2251. 19 Per Antonio Lion vedi Gloria, Monumenti, I, n. 678. 20 Dondi, Serie, p. 9. 21 Paolo Dotti era diventato canonico nel 1403, al posto del suo parente Rolando Dotti, ed era figlio di Francesco Dotti. Per altre informazioni cfr. Dondi, Serie, p. 71; Collodo, Credito, pp. 244, 260‐61; Eadem, La pratica del potere, pp. 300‐01; Eadem, Religiosità e assistenza: l’ospedale e il convento di San Francesco dell’Osservanza, in Eadem, Una società in trasformazione, p. 509; Gloria, Monumenti, II, n. 2136). 22
Risulta che nel 1399 un altro membro della famiglia era canonico di Padova, Pietro Rustega (cfr. Gloria,
Monumenti, II, n. 2044).
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Dondi, Serie, p. 136; Collodo, Religiosità e assistenza, pp. 531‐33.
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Impererio, figlio di Michele Marostica (Gloria, Monumenti, II, n. 1925), ricevette il canonicato di Francesco Zabarella che passò ad altra prebenda della cattedrale nel 1398 (Dondi, Serie, p. 184). I Marostica erano una famiglia di notai nel corso del Trecento e di dottori durante il Quattrocento, cfr. S. Collodo, Per lo studio della
popolazione e della società, in Eadem, Una società in trasformazione, pp. 418, 422.
25
Cfr. Dondi, Serie, p. 206: Francesco Trapolino rimarrà canonico fino al 1424. Su di lui si consideri anche Collodo, Lo
sfruttamento dei benefici, p. 285. I Trapolino, originarii di Vigodarzere, appartenevano alla nobiltà locale di più
recente emersione. 26 Cfr. infra. 27 Dondi, Serie, p. 194. Gloria, Monumenti, II, nn. 2245, 2254, 2275, 2288. 28 Dondi, Serie, pp. 22; Collodo, Lo sfruttamento dei benefici, pp. 286‐287, 290‐291. 29
Kohl, Padua, pp. 316‐317. Nel 1399 Francesco Novello aveva mandato Diodato Dorde de Gaubert presso il patriarca di Aquileia, Antonio Caetani, per trattare il matrimonio tra Giacomo, figlio dello stesso Novello, e Sveva Caetani, nipote del patriarca. 30 Su di lui più diffuse informazioni infra e nei capitoli seguenti. 31 Dondi, Serie, p. 22, sostiene che la nomina canonicale del Beraldi risalga al 1402 e il Gloria, Monumenti, II, n. 2079 lo ritiene originario di Bassano. 32 Gloria, Monumenti, I, n. 1039.
Galli della Galta, infine, era un canonico di incerta origine e comunque di famiglia ascrivibile a una «modesta condizione sociale»33. Sui 21 canonici del 1404, dunque, 18 avevano legami accertati coi Carraresi: di sangue, di condizione o di clientela. 1.2 Una cattedrale di palazzo Il legame così stretto tra cattedrale e signoria non può essere riassunto solamente sotto la cifra dello sfruttamento di benefici e prebende, basti ricordare la prossimità topografica tra la reggia carrarese e il duomo, così vicini l’una all’altro da ricordare la basilica di S. Marco rispetto a Palazzo Ducale. Al di là dello sfruttamento dei benefici, la realtà dei rapporti tra i Carraresi e il capitolo era un gioco più articolato di scambi e interazioni che è possibile sondare seguendo la dialettica tra liturgia religiosa e liturgia civile. A questo proposito tornano utili i libri contabili della Sacrestia per gli anni 1400‐1403. Tra le poco più di £ 1.200 spese nel 1400 dal subsacrista Pietro di S. Giacomo si rilevano £ 147 pagate allo speziale Roberto, che teneva una bottega in contrada Duomo, per la vendita alla cattedrale di circa 70 kg di cera: doppieri, candele e candelotti che vennero distribuiti il 2 febbraio al clero e ai laici durante la solennità per la Purificazione di Maria. Nei libri contabili della Sacrestia, Pietro di S. Giacomo indicò, tra i religiosi beneficiari di queste distribuzioni, l’arciprete, i canonici e tutto il clero intervenuto. Parte della «cera alba, laborata in septem ceri albi» venne donata dal capitolo, però, ai «magnificis et egregiis dominis et dominabus de Cararia»34. Un cero, in primo luogo, andò all’«egregius vir dominus Stephanus de Cararia», il figlio naturale di Francesco Novello che dal 1400 divenne «administrator» e «gubernator» del vescovado padovano35. Il resto dei ceri furono distribuiti in questo modo: uno allo «illustris princeps dominus Franciscus de Cararia» e uno alla «magnifica et egregia domina Thadea», Taddea d’Este, moglie di Francesco Novello; un altro cero andò allo «strenuus et egregius miles dominus Franciscus Tercius de Cararia», primogenito di Francesco Novello, e a sua moglie, la «nobilis et egregia domina Alda de Gonzaga»; altro cero per il secondogenito di Francesco Novello, Giacomo da Carrara, e altri due, uno a testa, ai più giovani tra i figli legittimi del signore, gli «egregii pueri Ubertinus et Marsilius de Cararia»36. Ecco dunque la famiglia Carrarese al gran completo: Francesco Novello e la moglie Taddea, i figli e la consorte di uno di essi. Francesco Terzo aveva 17 anni, Giacomo 15, Marsilio 14 e Ubertino 1037.
Durante la festa della Purificazione di Maria quattro parroci trasportavano fuori della cattedrale una cassa nera contenente reliquie, con un candela a ogni angolo, sotto alla quale doveva passare l’intera processione38. Con in mano i ceri donati dalla Sacrestia, uno ad uno, il
princeps e la domina, il miles Terzo e la moglie, il vir Giacomo e i pueri Marsilio e Ubertino
dovevano passare sotto alla cassetta nera delle reliquie sorretta dai parroci. In questo modo la dinastia dava prova formale della pietà e, in qualche modo, della sottomissione del signore alla chiesa. Quest’ultima, a sua volta, mediante il donativo onorifico dei ceri, riconosceva in
33 Rigon, Clero e città, p. 154. 34 Ibidem, c. 37r. 35 Vescovo de facto ma non ancora de iure, considerato che la sua promozione canonica fu di due anni successiva, del 1402: ACP, Quaderni della Sacrestia, reg. 1, c. 9v. 36 Ibidem, c. 8v. 37 Per uno sguardo sintetico sulla famiglia carrarese si veda l’albero genealogico ricostruito da Kohl, Padua, p. 258. 38
F.S. Dondi Orologio, Dissertazione sopra li riti, disciplina, costumanze della Chiesa di Padova sino al XIV secolo, Padova 1816, pp. 45‐46 (questo lavoro del Dondi si legge in coda alla sua Dissertazione Nona). Dopo il mezzogiorno tutto il clero si trasferiva poi nel battistero della cattedrale dove si inscenava una rappresentazione con protagonisti due angeli, Maria, il Bambino, Giuseppe e Anna. La processione entrava quindi in duomo e i figuranti avanzavano, tra due ali di clero e tra canti; procedevano fino all’altare, dove un attore nelle vesti di Simeone accettava l’offerta di due colombe e accarezzava Gesù. Il riferimento è qui alla presentazione di Gesù al tempio di Gerusalemme, dove giunse un uomo di nome Simeone il quale aveva appreso in profezia che avrebbe visto il messia prima di morire. Per questo Simeone si recò al tempio e vide Gesù, lo abbracciò, lo benedisse e quindi, accostatosi a Giuseppe e a Maria, profetizzò a quest’ultima che «anche a te una spada trafiggerà l’anima». Cfr. Luca, 2, vv. 25‐35.
contropartita al dominus di Padova (o meglio, per usare le parole del subsacrista Pietro di S. Giacomo, al princeps) la sua indiscussa primazia secolare39.