Questi legami così intrinseci con la dinastia signorile, trascinarono la cattedrale e il capitolo di Padova nella guerra tra i Carraresi e Venezia. La contabilità non lascia dubbi, considerato che il tracollo della signoria significò il tracollo della Sacrestia e della Canipa che piombarono, in tempore belli, in quel down finanziario rivelato dalle curve di entrate e uscite40. La cattedrale fu travolta dagli eventi.
Le premesse della guerra stavano nell’insostenibilità geopolitica di due città, Padova e Venezia, così vicine ed entrambe in fase espansiva. La guerra, tuttavia, fu l’esito di un conflitto, ora esplicito ora latente, per cui già da fine Duecento le due città erano giunte in collisione. Venezia, interessata al controllo dei bassi tratti fluviali di Bacchiglione, Brenta e Adige, aveva un’interlocutrice forzata in Padova e già nel 1291 aveva sottoscritto un patto, volto a sciogliere difficoltà commerciali tra le due città41. I conflitti si tradussero in guerre a partire dal Trecento, allorché il comune di Padova prima e la signoria Carrarese poi, «all’apice della prosperità»42, intrapresero una politica di espansione territoriale. Venezia, con l’appoggio di Verona, e Padova, con quello di Mantova, furono in guerra una prima volta nel 1304‐130543, nella cosiddetta guerra del sale, originata dal tentativo di Padova di spezzare il monopolio veneziano sulla vendita del sale44. In seguito il coinvolgimento di Padova e Venezia nella guerra contro Cangrande I Della Scala comportò, tra 1336 e 1339, un momentaneo avvicinarsi, negli interessi e negli obiettivi, delle due città. Nel 1337, infatti, la liberazione di Padova dal dominio scaligero, in cui era caduta nel 1329, fu opera diplomatica in buona parte veneziana: tant’è che a Marsilio da Carrara, plenipotenziario scaligero, fu offerta dalla Repubblica veneziana la signoria di Padova e, in questo modo, Venezia si vide garantito un «protettorato»45. Di fatto però, con questa forma minima di dominio, si era aperta la via alla formazione di una robusta signoria su Padova e si ponevano, indirettamente, le basi per lo sviluppo di un antagonismo politico, economico e militare – quello tra Venezia e i Carraresi – che marcherà con un segno ambiguo i rapporti tra le due città fino al 140546. All’inizio del suo reggimento, nel 1355, Francesco il Vecchio da Carrara ridiede nerbo alla politica aggressiva ed espansionistica della Padova prescaligera: espansione verso Nordest, verso Nord e verso il Friuli47. La rottura con Venezia fu inevitabile nel 1356, allorché il dominus carrarese decise di appoggiare l’attacco contro Venezia sferrato dal re d’Ungheria Ludovico48. L’invasione ungherese comportò per Venezia la perdita del Trevigiano e di Treviso e, in Adriatico, la sottrazione di tratti costieri
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ACP, Quaderni della Sacrestia, reg. 1, c. 9r. Alcune informazioni in A. Lovato, Le processioni della cattedrale di
Padova nei secoli XIII‐XV, in Il «Liber ordinarius», pp. CIX‐CLXXII. Indicazioni su questo rituale drammatico si trovano
anche in ACP, Liber Processionalis, cod. C55.
40
Cfr. Appendice 6.
41
G.M. Varanini, Venezia e l’entroterra (1300 circa‐1420), in Storia di Venezia, dalle origini alla caduta della
Serenissima, vol. III, La formazione dello Stato patrizio, a. cura di G. Arnaldi, G. Cracco, A. Tenenti, Istituto
dell’Enciclopedia italiana, Roma 1997, pp. 164‐171. 42 Ibidem, p. 171. 43 Ibidem, p. 166. 44 Ibidem, p. 170. 45 Ibidem, p. 180. 46 Di questo protettorato rimangono la discreta penetrazione fondiaria veneziana nel territorio padovano e la serie ininterrotta di podesterie in Padova amministrate da esponenti del patriziato veneziano, tra cui Marino Falier: Varanini, Venezia e l’entroterra, pp. 179, 180, 186; V. Lazzarini, Storia di un trattato tra Venezia, Firenze e i Carraresi
(1337‐1399), Venezia 1899; Idem, Beni carraresi e proprietari veneziani, in Studi in onore di Gino Luzzatto, vol. I,
Milano 1949, pp. 257‐288. Sul medesimo problema si rinvia a L.A. Ling, La presenza fondiaria veneziana nel
Padovano (secoli XIII‐XIV), in Istituzioni, società e potere nella Marca trevigiana e veronese (secc. XIII‐XIV), a cura di
G. Ortalli, M. Knapton, Roma 1988, pp. 305‐320.
47
L’espansione in Friuli avvenne non territorialmente ma attraverso mediazioni diplomatiche, appoggi a parti in conflitto e buoni rapporti, sanciti anche pattiziamente, con il Patriarcato aquileiese: Varanini, Venezia e l’entroterra, pp. 197‐198.
48
dalmati. La pace con Ludovico del 1358, oltre a sancire per Venezia la perdita di buona parte della Dalmazia in cambio del possesso di Treviso, metteva ormai in luce la robustezza politica di Padova, stretta attorno al carisma di Francesco il Vecchio. Una nuova guerra contrappose Venezia e Padova tra 1372 e 1373, scontro fondato su oggettive contese territoriali ma forse motivato più dalla rigidità veneziana nelle trattative prebelliche che non dall’aggressività padovana49. La guerra si concluse con la vittoria veneziana e l’imposizione a Francesco il Vecchio di condizioni di resa molto dure ma la tensione tornò ad accendersi a seguito di un accordo tra il Carrarese e Leopoldo III d’Asburgo, mediante il quale Francesco il Vecchio aveva ottenuto Feltre, Belluno, Ceneda e Treviso. A seguito di accordi padovani con il Patriarca d’Aquileia, quindi, il metropolita insignì di cariche di comando in Friuli fedelissimi carraresi. Le vicende seguenti, tra cui un peso decisivo ebbe anche la definitiva caduta degli Scaligeri a Verona, furono segnate dall’intervento in Veneto di Giangaleazzo Visconti, cui Venezia s’alleò in funzione anti‐carrarese50. Entro il 1388 Giangaleazzo aveva conquistato Verona, Vicenza, Bassano, Belluno e Feltre e puntava a Padova. Nella città stretta d’assedio Francesco il Vecchio abdicò in favore del figlio, Francesco Novello51. I Visconti, conquistata Treviso, la girarono a Venezia e la Repubblica appoggiò Gian Galeazzo nell’assedio di Padova. Grazie al sostegno veneziano i Visconti ottennero il dominio su Padova52.
Il dominio milanese fu una breve parentesi. Nel 1390 Francesco Novello rientrava a Padova e, per un buon decennio, pensò alla riorganizzazione interna della signoria carrarese che riprese quota anno dopo anno. Nel 1402, morto improvvisamente Giangaleazzo Visconti, Francesco Novello nutrì l’ambizione di riprendere la via espansiva, per la costituzione di un’egemonia carrarese su tutto il Veneto53. Ciò non poteva che essere inviso a Venezia ma l’idea di uno «stato regionale carrarese», nel nuovo gioco geopolitico seguito alla morte del Visconti, era diventato l’unica via di sopravvivenza per l’autonomia di Padova54. 3. La cattedrale e la guerra 3.1 1403. Canonici mobilitati, prelievo fiscale e omelie di guerra Nel mese di febbraio si celebrano a Padova i festeggiamenti per il matrimonio di un figlio di Francesco Novello, Giacomo, con Bellafiore da Camerino. Sono presenti gli ambasciatori della vedova di Giangaleazzo Visconti55 per promettere a Francesco Novello di adoperarsi nel sanare le discordie ancora pendenti tra Milano e Padova. Il Carrarese pretende, come contropartita dei danni arrecati dalla conquista del 1388, Vicenza, Feltre, Belluno, Bassano, 80.000 ducati e il tesoro avito sottratto al padre.
Il 17 giugno 1403 Venezia richiama da Padova tutti i suoi ufficiali e dichiara la città terra di tiranni56. Nel frattempo le promesse milanesi di febbraio vengono disattese e Francesco Novello dichiara guerra a Vicenza e a Verona (viscontee) con l’avvallo interessato di Venezia, che entra così nella partita. L’11 agosto cade la dichiarazione di guerra di Padova contro Milano57. In ottobre due delegati di Francesco Novello, Enrico Gallo e Luca Lion, sono a Milano per negoziare. Venezia, da parte sua, chiede la pace58.
Considerate le esigenze belliche che si prospettavano nel 1403, Francesco Novello impose un subsidium al clero padovano. Suo figlio naturale, il vescovo Stefano da Carrara, eseguì
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Ibidem, p. 200. Fondamentale rimane P. Sambin, La guerra del 1372‐1373 fra Venezia e Padova, in «Archivio Veneto», ser. V, 38‐41 (1946‐1947), pp. 1‐76. 50 Varanini, Venezia e l’entroterra, p. 205. 51 G. Cozzi, M. Knapton, La Repubblica di Venezia in età moderna. Dalla guerra di Chioggia al 1517, Torino 1986, p. 12. 52 Ibidem. 53 M. Mallet, La conquista della Terraferma, in Storia di Venezia, dalle origini alla caduta della Serenissima, vol. IV, Il Rinascimento. Politica e cultura, a cura di A. Tenenti, U. Tucci, Istituto dell’Enciclopedia italiana, Roma 1996, p. 184. 54 D. Canzian, L’assedio di Padova del 1405, «Reti Medievali – Rivista» 8 (2007), url: <http://www.retimedievali.it>, pp. 2‐4. 55 Ibidem, p. 2 56 B. Kohl, Padua, p. 327. 57 Ibidem, p. 328. 58 Ibidem.
puntualmente l’incarico servendosi allo scopo, come attore sul campo, di Nicolò Portogruaro, un canonico della cattedrale. Quest’ultimo, oltre che canonico, dal 1400 era vicario vescovile e intimo della corte poiché, fin dal 1396, era il «repetitor», ossia il maestro privato, del futuro vescovo Stefano da Carrara59. Nicolò da Portogruaro, nella veste di vicario, ordinò la riscossione del subsidium richiesto da Francesco Novello e delegò l’incarico a due collettori prelevati dal clero della cattedrale: Francesco da Cittadella, mansionario, e Nicolò di Carbonara, cappellano e amministratore della Canipa60.
Ancora nel 1403 (31 maggio) pendevano altri tributi sul clero della cattedrale e altre dadie erano state imposte come sussidio per mano del legato apostolico Baldassarre Cossa, il futuro antipapa Giovanni XXIII. Il clero, già stremato per le contribuzioni di guerra, non diede segno di pagare e il canonico Nicolò Portogruaro fu costretto a ripetere l’ordine61. Il sussidio per la guerra di Francesco Novello ricomparve nello stesso maggio 1403, sottoforma di lettere di Stefano da Carrara affisse alla porta della cattedrale dal notaio Giovanni Tedesco: quanti non pagavano la dadia per il subsidium sarebbero stati privati dei loro benefici62. Nicolò da Portogruaro ribadì in seguito anche quest’ordine, prorogando di 15 giorni la consegna e designando come collettore il cappellano del duomo Nicolò da Carbonara63. La riscossione del denaro per finanziare Francesco Novello continuò a essere difficile, visto che il 24 novembre Stefano da Carrara rinnovò una volta di più l’ordine di pagare le dadie del subsidium Padue, con minacce di sanzioni contro quanti non solvessero la propria quota in nove giorni 64. Il prestito forzoso del signore carrarese, almeno sul fronte degli ecclesiastici, non fu dunque accolto senza difficoltà.
La prospettiva della guerra contro Venezia era ormai ben chiara anche al clero padovano e gli ecclesiastici della cattedrale risultano pienamente inseriti nella mobilitazione economica richiesta dalla circostanza. Il fatto che la guerra fosse nell’aria anche in termini più impalpabili, nel cosiddetto “clima”, risultò chiaramente il giorno di Natale del 1403. L’arciprete della cattedrale Francesco Zabarella, infatti, con quell’ars dicendi per cui era già molto celebre, tenne una predica in duomo il 25 dicembre, facendo percepire distintamente, a chi comprendesse il suo latino, echi di guerra65.
Secondo l’omelia natalizia di Francesco Zabarella i cristiani devono essere «maxime soliciti», nel culto, il giorno della Natività, quando tutte le colpe vengono rimesse e la redenzione è certa. In particolar modo devono essere solleciti quanti la «sors Domini» ha istituito nella «clericalis professio» per applicarsi nella «cogitatio» e nella «meditatio». Anche altri giorni però, nel calendario liturgico, sono particolarmente solenni e questo (secondo l’arciprete) per tre cause: o per la memorazione di un santo, o perché una «cladis imminens» è stata superata per intercessione divina o perché è stata riportata una «amplam insperatam ex hoste victoriam». Se i cristiani venerano svariati santi nei giorni loro propri, più di tutti andrà onorato il giorno della nascita di Gesù, il «fundator» di tutti i santi e l’autore dei più eccellenti miracoli. Nella predica di Francesco Zabarella non mancano le tracce dell’afflato che usò dal pulpito nel Natale 1403. Chi infatti, se non Dio, salva i cristiani dalle stragi? Cosa serve se non le 59 Gloria, Monumenti, I, n. 645. Niccolò Portogruaro, nel 1399, era canonico di S. Fidenzio Megliadino e si addottorò in diritto canonico per diventare quindi professore di diritto nello Studium padovano (Gloria, Monumenti, I, nn. 18, 645). 60
Su Francesco da Cittadella cfr. anche D. Gallo, Predicatori francescani nella cattedrale di Padova durante il
Quattrocento, pp. 145‐183.
61
ACP, Acta capituli, reg. 2, c. 11r. Niccolò da Portogruaro ricordava che «nonnulle bulle» di papa Bonifacio IX, rivolte a Stefano da Carrara, richiedevano di versare al cardinal Cossa le dadie che gli spettavano per i «servicii» fatti dal medesimo alla cattedrale di Padova, al vescovo e a tutto il clero. Il clero aveva tempo 15 giorni per versare il dovuto al collettore deputato, ancora una volta il cappellano della cattedrale Nicolò di Carbonara. 62 Ibidem, cc. 11v‐12r. Entro 12 giorni, le quote singole dovevano essere versate a frate Antonio, priore di Ognissanti di Padova (subentrato come collettore al defunto mansionario Francesco di Cittadella). 63 Ibidem, c. 12v. 64 Ibidem, c. 13r. 65 ACP, Liber statutorum maioris ecclesie, cod. D66, cc. 47r‐48v. Cfr. Appendice 7.
preghiere? Cosa devono fare i ministri del culto divino se non pregare per la vittoria sui nemici? L’arciprete offrì alcuni esempi biblici: a) nel volume dei Maccabei, gli ebrei sono stati protetti «ab ingentibus cladibus» e le stesse «bellorum clades» sono state poi tramutate, dalla fede, in una «pacem gratissimam»; b) l’animo ostile di Nicanore, comandante dei nemici, è stato reso mansueto da Dio, e volto all’indulgenza e alla pace; c) Israele ha vinto i nemici grazie alle preghiere di Mosé; d) Gedeone, su ordine del signore, con soli trecento uomini, ha messo in fuga e ucciso ventimila uomini che brandivano spade; e) Sansone, benedetto dal Signore, prostrò le truppe nemiche e uccise mille nemici; f) lo stesso hanno fatto Davide e Giuda Maccabeo. L’arciprete abbandonò quindi il vecchio testamento e venne ai «tempora evangelii», richiamando altri esempi: a) sempre per la sollecitudine nel culto divino, l’imperatore Teodosio ha riportato molteplici vittorie; b) Carlo Magno e i suo paladini («hi qui pares duodecim appelantur») hanno conseguito nella fede mirabili vittorie; c) Goffredo di Buglione, con la fede e la preghiera, ha recuperato la Terrasanta e il santo Sepolcro.
Dagli exempla lo Zabarella passò poi alle conclusioni. Se la preghiera e il culto divino sono solleciti è possibile che con «parva manu» si possano vincere «amplissimos exercitus»: «non in exercitus multitudine victoria, se de celo fortitudo est»66. Ogni salvezza, nell’orientamento dell’arciprete, proviene dal clero. I suoi ministri devono santificare con forza, il Natale e le altre solennità, seguendo gli ordini e le posizioni liturgiche, ognuno al suo posto, e non «confusis ordinibus». Tutto dovrebbe funzionare, secondo lo Zabarella, come le membra in un corpo umano affinché i ministri, non costretti ma di loro intima volontà, non per ordine ricevuto ma spontaneamente, come «soldati volontari», si dedichino con cura ai loro uffici67.
La predica, come si vedrà, fu attraversata quasi convulsamente da parole quali «hostes», «clades», «bellum», «victoriam», «milites». Gli echi di guerra che percorrono l’omelia si fondano su un principio: un piccolo esercito di devoti, supportato da un clero che prega ordinatamente e con convinzione, può vincere nemici più grandi, eserciti più numerosi e forze preponderanti. L’arciprete Zabarella, da accorto diplomatico qual’era, sembra avesse presentito quale fosse la caratteristica dell’incipiente guerra tra Padova e Venezia, uno scontro tra due forze impari: Venezia, quasi all’acme della sua potenza ed economicamente invincibile, e la signoria Carrarese, con le mura della città e le risorse di un contado che, per quanto esteso e fertile, aveva potenzialità definite. La fede e la preghiera, perciò, diventavano la «ultima spes». 3.2 1404. Guerra e amministrazione del duomo Nei primi mesi del 1404 Venezia invia a Padova Carlo Zen e Gabriele Emo per mediare una pace tra i Carraresi e Caterina Visconti ma i due vengono respinti da Francesco Novello che continua invece i preparativi per la guerra e giunge ad alleanza con Nicolò III d’Este. Profilandosi la rottura insanabile, Francesco richiama da Venezia Guglielmo Della Scala (ex signore di Verona) insieme ai suoi figli Antonio e Brunoro e il 27 marzo, a Padova, stipula un patto con gli Scaligeri per impossessarsi di Verona68. Con l’appoggio di Guglielmo Dalla Scala, i Carraresi conquistano la città sull’Adige l’8 aprile e puntano quindi su Vicenza per avere in mano l’intero asse Brenta‐Bacchiglione. Venezia reagisce il 25 aprile ottenendo con tempismo la dedizione di Vicenza, che si consegna alla Repubblica, seguita da Bassano, Feltre e Belluno69. Rotti definitivamente gli instabili rapporti, il 23 giugno Francesco Novello dichiara guerra a Venezia, confidando in un appoggio, mai giunto, di Firenze70.
Le truppe di Francesco Novello si dedicano nel frattempo a scorrerie nel territorio trevigiano e il 18 luglio l’esercito di Venezia, entrato in territorio padovano sotto la guida di Pandolfo Malatesta, conquista la bastia di Gambarare, corrompendo il capitano padovano con 6.000 ducati. La mobilitazione di Padova è ormai avviata, con uomini a scavare fossati, fare terragli e costruire torri per frenare l’avanzata di Venezia. Il sentimento di devozione civica unisce la città e tutti i fideles carraresi ricevono incarichi di comando militare nelle piazzeforti del territorio71. 66 Ibidem. 67 Ibidem. 68 Kohl, Padua, pp. 328, 329 69 Ibidem, p. 330. 70 Canzian, L’assedio di Padova, p. 4. 71 Ibidem, p. 5.
In queste condizioni il bisogno di denaro da parte di Francesco Novello continuava a essere pressante e proseguì il prelievo dal clero mediante il sistema della «dadie pro subsidium civitatis». È possibile seguire nel dettaglio la trafila dei prelievi fiscali attraverso cui Stefano da Carrara e i suoi uomini (canonici della cattedrale di per sé strutturali con la signoria padovana) insistettero nella riscossione di sussidi e prestanze, mentre nel contado padovano avanzavano le truppe nemiche. Dal 21 maggio al 18 luglio, giorno in cui l’esercito veneziano entrò in territorio carrarese, si rinnovarono le «minationes» del vescovo Stefano per il versamento del «subsidium»72 e dai contabili di Sacrestia si evince che Pietro di S. Giacomo, subsacrista, fu puntuale nei versamenti delle imposizioni capitolari. Il collettore del «subsidium civitatis» fu un custode del duomo, Bartolomeo da Piove, che riscosse dalla Sacrestia £ 7, s. 11 e d. 1 al mese, raccogliendo in questo modo, in tutto l’anno, £ 90 e s. 1973. Dall’altro lato, tuttavia, Francesco Novello rastrellò altro denaro mediante la strategia delle «prestantie», come si desume ancora dalla contabilità del capitolo, sotto un voce di uscita detta «de prestanciis inpositis pro subsidio civitatis Padue»74.
Com’era stata difficile nel 1403 la riscossione di dadie e prestantie non fu semplice neppure nel 1404. Il 5 agosto il canonico e vicario vescovile Nicolò Portogruaro emanò un altro editto contro i non paganti: «volumus ipso facto coletam et prestanciam clero paduano impositam in subsidium civitatis Padue». I giorni di tempo erano quattro, dalla data di affissione dell’editto sulle porte della cattedrale75. Il capitolo era già stato regolare nei versamenti (del resto era troppo grande la sua affinità con la signoria per un’aperta disobbedienza) e il 2 agosto il collettore Benedetto Galli della Galta, preposito di Sant’Andrea (e futuro arciprete della cattedrale) mise insieme un ammontare di 17 ducati76.
Nonostante l’avanzata veneziana la politica di sfruttamento dei benefici canonicali in cattedrale continuava col solito metodo, vale a dire l’affidamento dei seggi canonicali a uomini dell’entourage signorile77. Al posto del fiorentino Matteo Cavalcanti, canonico dal 1387, risultò eletto sacrista nel 1404 Pietro Rabatta, il quale, non a caso, era fratello di un fedelissimo di Francesco Novello, il diplomatico goriziano Michele78. Non sembra che la regolarità liturgica della cattedrale padovana abbia subito contrattempi. Le predicazioni in cattedrale, che la
72
ACP, Acta capituli, reg. 2, c. 14r (1404, 21 maggio): elezione di un collettore delle dadie fatta in vescovado alla presenza di Ugutio, ufficiale vescovile, di Bernardo, priore di S. Giovanni Decollato, e di Antonio da Piove, cappellano in cattedrale. Il subsidium in causa, qui, è annidato nella richiesta di un contributo per l’Università di Padova, il cui collettore è il preposito di S. Andrea, Benedetto Galli della Galta. Ibidem, c. 14v (1404, 12 luglio): commissione di lettere circa quanti non versano le «prestancie» da parte del vicario vescovile con ordine di versamento nell’arco di 8 giorni. Ibidem, c. 15r (1404, 14 luglio): Pietro q. Daniele da Piove, «marangon», presenta al notaio alcuni «brevia» del vicario e canonico Nicolò Portoguraro circa le prestanze cui è tenuto il clero padovano, estendendo l’ordine ai monasteri di S. Maria di Fistomba, di S. Giacomo di Pontecorvo, con annesso ospedale, e di Santa Maria Maddalena. Nello stesso giorno «Thodescus» (un ufficiale di curia) dichiara di aver presentato le lettere con le prestanze a tutti i preti e alle chiese cittadine per il subsdium civitatis Padue. Il 18 luglio, nel banchum iuris del vescovado, Pietro di S. Lucia dichiara al notaio che due giorni prima, tra lunedì e mercoledì, è stato nel pievanato di Maserà a presentare i mandati al clero locale. 73
ACP, Quaderni della Sacrestia, reg. 1, c. 56v. Si deduce con maggior precisione dalla contabilità la motivazione “ufficiale” del subsidium, specificando che esso era a beneficio della persona del vescovo: «reverendus pater et dominus, dominus Stephanus de Cararia, Dei et apostolice sedis gratia electus episcopus paduanus».
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Ibidem, c. 56r. Le prestantie consistevano infatti in prestiti forzosi imposti alla cittadinanza e comportavano la promessa di una restituzione, in somme uguali o maggiorate da interesse, del denaro prestato. 75 Ibidem, Acta capituli, reg. 2, c. 16r. 76 Ibidem. 77 Collodo, Lo sfruttamento dei benefici, p. 287. 78
ACP, Quaderni della Sacrestia, reg. 1, c. 48r. Su Cavalcanti Matteo cfr. supra. Michele Rabatta, fratello del canonico Pietro, fu un diplomatico che servì prima Francesco il Vecchio e quindi Francesco Novello. Ad esempio nel