L’involuzione Capitolo e cattedrale tra 1420 e 1430
4. I patrizi veneziani, padroni del capitolo
Oltre che privilegiati in materie fiscali, i canonici originari di Venezia erano maggioranza assoluta: 3/5 del capitolo. Tra 1440 e 1460 i veneziani furono infatti ben 31 sui 54 canonici totali e 19 tra i 33 neocanonici. L’impossessamento dei canonicati in cattedrale da parte veneziana era ormai ben più di una tendenza abbozzata. La composizione del contingente 70 Cfr. supra. Lo si trova, inoltre, docente di diritto civile e pontificio nello Studium patavino nel 1464, fino alla sua morte 1472 (Belloni, Professori giuristi, p. 215). 71 Per la ricostruzione delle circostanze della nomina del Solimani si rinvia al capitolo V e, per la sua carica di uditore del cardinal Trevisan, al capitolo XV. La sua paternità si conosce da Acta graduum ... ab anno 1406 ad annum 1450, n. 1125. 72 Ricavo l’età di Alberto Abriani da ACP, Acta capituli, reg. 5, c. 76v, 7 dicembre 1461, quando l’Abriani stesso giurò al capitolo di aver compiuto 18 anni. Il pagamento della nomina sta in Ibidem, c. 51r. Vedi anche Bellinati, Il
Quattrocento a Montagnana, pp. 34, 70, 84, 103‐104, 128, 141, 151. 73 ACP, Acta capituli, reg. 4, c. 29v. 74 Ibidem, c. 43r. 75 Si hanno a disposizione non più di 19 inventari di benefici della cattedrale, compresi tra il 1421 e il 1491, 12 sono di canonici originari di Padova e 9 di canonici forestieri o, comunque, del dominio veneziano. Cfr. ACP, Estimi, reg. 22, passim; Ibidem, Libro Croce, passim. 76
Riguardo alla politica fiscale ecclesiastica di Venezia lo studio imprescindibile è G. Del Torre, La politica
ecclesiastica della repubblica di Venezia in età moderna: la fiscalità, in Fisco, religione, Stato nell’età confessionale, a cura di H. Kellenbenz, P. Prodi, Bologna 1989, pp. 387‐426. Di utilità è anche E. Orlando, Fiscalità pubblica e chiesa locale: l’estimo del clero di Padova del 1488‐1492, in «Rivista di Storia della Chiesa in Italia» 2(2001), pp. 439‐469. Fondamentale al proposito continua a essere Knapton, I rapporti fiscali. 77 ACP, Pergamene, Canonici, reg. 16, n. 222. 78 Cfr. Orlando, Fiscalità pubblica e chiesa locale.
lagunare può essere descritta con più precisione. Il capitolo, infatti, tra 1440 e 1460 più che veneziano era “patrizio” poiché ben 25 dei 31 canonici originari di Venezia furono patrizi della capitale79.
Sui 31 canonici di origine veneziana, per cominciare, cinque non erano ascrivibili al ceto patrizio: Nicolò Del Vida (nominato nel 1409), Lucido Pietro de Quarteriis (canonico dal 1421), Giovanni Dalla Sega (1456), Angelo Fasolo (canonico da prima del 1457), l’arcidiacono Giovanni Francesco Brendole e il futuro cardinale Ludovico Trevisan80. Per il resto, i canonici di Padova di origini veneziane furono tutti patrizi. I canonicati posseduti dalle varie famiglie si possono così riassumere: ‐ 3 canonici: Michiel ‐ 2 canonici: Badoer, Condulmer, Dolfin, Venier
‐ 1 canonico: Barbo, Baseggio, Bembo, Bon, Cappello, Correr, Donà, Foscari, Gabriel, Malipiero, Marcello,
Morosini, Vignati, Vitturi.
4.1 “Figli di”
Se confrontiamo le famiglie dei canonici patrizi con quelle che si spartivano negli stessi anni i posti di podestà e capitano a Padova, si trovano per lo più nomi differenti. Tra le 23 famiglie veneziane “rettrici” di Padova tra 1439 e 1461 solo 5 coincidono con le famiglie installatesi in capitolo. Nel periodo 1439‐1461 furono a disposizione 44 mandati per le cariche di podestà e capitano a Padova ma le famiglie dei canonici, nel complesso, non le occuparono che per sette anni81. Anomalia o sintomo di una logica distributiva all’interno del patriziato?
Un paio di esempi daranno conto di alcune sincronie esemplari; seppure rare, infatti, potevano esistere corrispondenze tra amministrazione del potere civile veneziano in Padova e mercato canonicale urbano. Prima del 1455 era stato immesso nel canonicato Nicolò Gabriel, patrizio veneziano, e il 5 agosto dello stesso anno fu un suo parente, Cristoforo Gabriel, che ottenne per Nicolò di poter affittare terre e decime pertinenti al canonicato del suo congiunto. Cristoforo Gabriel agiva «procuratorio nomine» e, proprio nel 1455, era «camerarius camere dominii de Padua», ossia camerlengo della camera fiscale cittadina82. Nicolò Gabriel non mise piede in cattedrale per oltre un anno e solo il 30 novembre 1456 i canonici appresero che il Gabriel «noviter venit Paduam pro faciendo residentiam»83. La residenza fu brevissima poiché l’arciprete Gerolamo Michiel espose al capitolo del 25 giugno 1457 che Nicolò Gabriel «mortus et sepultus erat»84. Il canonicato vacante del Gabriel venne subito optato da un altro canonico, Geremia Badoer, patrizio veneziano che era entrato in capitolo da un anno85. Lo stallo di Geremia Badoer rimase dunque vacante e l’arciprete Gerolamo Michiel, il 25 giugno 1457, chiese ai canonici che «secondum eorum conscientias deberent nominare aliquam venerabilem et egregiam personam idoneam»86. In capitolo si proposero «quamplures venerabiles et egregias personas» tra le quali il capitolo scelse un patrizio veneziano di 27 anni, 79 Appendice 15, Tabella 1. 80 Di Nicolò Del Vida si sono già visti gli appoggi nelle magistrature veneziane (ACVP, Diversorum, reg. 14, c. 46r). Circa il De Quarteriis si potrebbe ipotizzare che egli fosse imparentato con quel Tommaso De Quarteriis di Venezia, mercante di seta, presso il quale la cattedrale padovana si era rifornita di paramenti serici dopo la visita pastorale del 1426 (ACP, Quaderni della Sacrestia, reg. 3, c. 110r). Giovanni Dalla Sega era nipote di Francesco Dalla Sega, già canonico padovano e cancelliere ducale di Francesco Foscari (cfr. infra capitolo XIV). Angelo Fasolo, invece, era originario di Chioggia. Nato nel 1426, si laureò a Padova e fu canonico prima del 1457, poiché in quell’anno, al momento della sua nomina a vescovo di Cattaro, egli era indicato come «canonicus Padue» (Eubel, Hierarchia, II, p. 122). L’arcidiacono Giovanni Francesco Brendole, infine, era imparentato con quel Francesco Brendole, ingegnere militare, inviato nella prima metà del secolo nei domini da Mar per valutare lo stato dei fortilizi veneziani (E. Concina, Dal Medioevo al primo Rinascimento: l’architettura, in Storia di Venezia, V, p. 291). 81 Relazioni dei rettori veneti in Terraferma, Podestaria e Capitanato di Padova, pp. XLIX‐LV. 82 ACP, Acta capituli, reg. 5, c. 26r. 83 Ibidem, c. 40v. 84 Ibidem, c. 45r. 85 Ibidem, c. 32r. 86 Ibidem, c. 45r.
Francesco Vitturi. Quali fossero le sue credenziali è noto dall’atto della sua nomina:«filium magnifici et generosi viri, domini Benedicti Vitturi de Veneciis, dignissimi potestatis Padue»87.
Sarebbe erroneo cercare corrispondenze tra i canonici e l’amministrazione civile veneziana limitandosi a sondare il quadro delle magistrature veneziane in Padova. V’era pur sempre, oltre all’amministrazione periferica, il cuore dello Stato, a Venezia. Questo è il caso del canonico Giovanni Michiel, che non si trova mai residente in cattedrale, mai presente alle sedute del capitolo e testimoniato unicamente per una delibera del capitolo presa dopo la sua morte, nel 1459. Giovanni Michiel, infatti, aveva disposto nel suo testamento la celebrazione di anniversari in sua memoria nella cattedrale di cui era stato canonico e il capitolo (25 giugno 1459) incaricò Lucido Pietro de Quarteriis di recarsi presso i Procuratori di San Marco, a Venezia, per riscuotere da loro, commissari testamentari di Giovanni Michiel, il denaro per le messe di suffragio. Nel verbale dell’assemblea il notaio specificò che il canonico defunto Giovanni Michiel era figlio di Fantino Michiel «olim procurator Sancti Marci». Il fatto che Giovanni fosse figlio di un procuratore di San Marco istrada di per sé verso i centri del potere veneziano, ma cercando più a fondo nelle vicende di suo padre, Fantino Michiel, ci si renderà conto di come quest’ultimo, nella capitale, fosse un politico di primo piano, «homo molto degno». Fantino Michiel, padre del canonico Giovanni, morì nel 1433 e le circostanze delle sue esequie sono significative del prestigio da lui acquisito come uomo della Repubblica: «Moritte in questi zorni Fantin Michiel, Procurator, et li fo fatte belle esequie; fo homo molto degno. Vi fo el Dose, fé la oracion Zorzi Trabesondeo [Giorgio da Trebisonda]»88. 4.2 Giovani e anziani
Tra i canonici patrizi v’era un gruppo di anziani, eletti da oltre un ventennio. Angelo Correr, il «canonicus antiquior», era entrato in capitolo nel 1406, morì nel 1464 e detenne il canonicato per oltre mezzo secolo. Il Correr fu l’unico patrizio del post conquista ancora attivo nel ventennio 1440‐1460, per il resto i canonici patrizi di più antica nomina erano ascrivibili agli anni Venti, come Ottone Baseggio (1425‐1461), Nicodemo Marcello (1426‐1447) e Lorenzo Cappello (1428‐1443)89. Anche i due Condulmer, Giacomo di Antonio e Giovanni di Asteano, appartenevano a una congerie storica ormai superata, in quanto sia l’uno che l’altro furono nominati negli anni del pontificato di Gabriele Condulmer90.
Accanto ai patrizi più anziani vi sono due canonici in giovanissima età. Il patrizio Santo Venier era stato immesso nel canonicato nel 1457 all’età di 15 anni e il 7 luglio 1458 papa Callisto III scrisse lettere al capitolo di Padova nelle quali si esponeva come il Venier, compiuti ormai 15 anni, fosse impegnato «vehementer» in «litterarum studiis». Il papa, sapendo che il Venier aveva fatto un anno di continua residenza in cattedrale, ordinò ai canonici di 87 Ibidem. 88 È sufficiente sfogliare le Vite dei Dogi di Marin Sanudo per seguire le tappe cruciali della carriera di Fantino: nel 1423 fu tra gli elettori del doge Francesco Foscari e rettore designato di Salonicco (carica che rifiutò); nel 1424 fu eletto Capitano del Golfo ed armò una flotta di galee nei domini da Mar; nello stesso anno fu inviato ambasciatore presso Martino V e partì quindi, con il titolo di Capitano generale da Mar, partì alla testa delle galee inviate a Salonicco, assediata dai Turchi. Fantino rientrò vittorioso a Venezia nel 1425, fu inviato come oratore a Ferrara per abboccarsi con gli ambasciatori papali e quindi eletto nel Consiglio dei 100 sopra la guerra. L’anno successivo (1426) Fantino Michiel fu dapprima ambasciatore presso il Carmagnola, nelle pieghe della guerra in terraferma, e quindi, conquistata Brescia, ne fu provveditore, carica che mantenne anche nel 1427. Esplosa la guerra contro Milano, nel 1431 fu provveditore in campo, operando sempre in territorio bresciano. Nel 1432, infine parlamentò a Piacenza con gli ambasciatori di Sigismondo d’Ungheria e a Ferrara con quelli di Milano. Cfr. Sanudo, Le vite dei dogi, I/1, p. 129. Il resto della carriera di Fantino Michiel si può leggere, sempre in Sanudo, alle pp. 8, 20, 32, 35, 37, 38, 43, 46, 47, 543, 545, 547, 574, 578, 589, 598, 600. Sulla vicenda di Salonicco cfr. C. Manfroni, La marina veneziana alla
difesa di Salonicco, 1423‐1430, «Nuovo Archivio Veneto», n.s. 20 (1910), pp. 5‐68. Giorgio da Trebisonda fu un
umanista assai noto, per rendersene conto è sufficiente leggere gli innumerevoli riferimenti sul suo conto in King, Umanesimo e patriziato. 89 Appendici 14, 15. 90 Desumo i patronimici da fonti differenti: Giovanni q. Asteano Condulmer, suddiacono apostolico, si trova in Cenci, Senato veneto, p. 385; per Giacomo q. Antonio Condulmer, invece, accolito di Eugenio IV, cfr. Acta graduum ... ab anno 1406 ad annum 1450, n. 1476.
immetterlo subito alle distribuzioni quotidiane affinché «ipse commodius litteris intendat»91. Un altro caso è quello di Giovanni Sega, canonico, come già accennato, non ascrivibile al patriziato veneziano ma pur sempre nipote di un cancelliere ducale. Immesso nel canonicato nel 1456, a 15 anni, dovette scontrarsi con una mozione contraria del capitolo che non lo voleva ammettere alla residenza poiché troppo giovane. Il padre di Giovanni, Andrea, si rivolse al papa, ottenne una dispensa per difetto d’età a nome del figlio e la presentò in capitolo. Undici canonici furono favorevoli allo strappo alla regola, ma l’anziano Angelo Correr si oppose fermamente «propter interessem suum particularem ac pro interesse omnium beneficiatorum», invitò i canonici a schierarsi dalla sua parte, ma non ottenne nulla. Il giovane veneziano, Giovanni Sega, restò ammesso alle distribuzioni92.
4.3 I patrizi residenti
Altri canonici padovani appartenenti al patriziato si radicarono nella cattedrale, conseguendo promozioni all’interno della stessa e segnalandosi per residenze lunghe. Ai canonici “anziani” menzionati in precedenza si devono aggiungere altri patrizi che si accontentarono del capitolo padovano. Andrea Bembo, eletto nel 1435, canonico residente fino al 1481, fu ad esempio «camerarius» del capitolo nel 144893. Alessandro Bon, altro patrizio veneziano, fu canonico dal 1447, cominciò con una prebenda di basso valore (solo 23 fiorini), scalò in prebende sempre più ricche e nel 1473 ottenne la terza dignità capitolare, la tesoreria, che detenne, facendo residenza continua, fino alla morte (1499)94. Nel periodo che si considera (1440‐1460) sorte analoga a quella dei patrizi radicatisi nella cattedrale padovana, fu in genere quella dei possessori delle dignità. Prima di Alessandro Bon, infatti, erano stati tesorieri due altri patrizi, il ben noto Angelo Correr (1455‐1460) e, prima di lui, Giacomo Condulmer (1449‐1455). Lo stesso dicasi per l’arcidiaconato, in mano al patrizio Vittore Dolfin dal 1451 al 1457, e per l’arcipretura, posseduta per oltre un trentennio dai due fratelli Michiel, Agostino e Girolamo, figli del patrizio Marco95. 4.4 I patrizi dalle grandi carriere Alcuni patrizi del capitolo di Padova, lanciati nella carriera dei benefici maggiori, passarono dallo stallo canonicale a più grandi dignità ecclesiastiche. Santo Venier, canonico di Padova all’età di 14 anni, ad esempio, dopo aver tentato a 31 di ottenere l’episcopato di Torcello, senza esito, nel 1481 divenne arcivescovo di Corfù96. Francesco Morosini, che aveva rifiutato la
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Callisto III, in questo modo, dispensava Santo Venier dalla rubrica degli statuti capitolari che interdiceva la partecipazione alle distribuzioni per tutti i «canoniculi» che non avessero ancora compiuto i 18 anni: ACP,
Pergamene, Canonici, reg. 16, n. 229. Il medesimo breve è trascritto anche in Ibidem, Acta capituli, reg. 5, c. 55r.
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Ibidem, cc. 41v‐43r. Giovanni Dalla Sega ebbe in seguito una buona carriera ecclesiastica, possedendo benefici in diocesi di Padova: chiesa e ospizio di Brancafora a Urbana, canonicato di Corte, canonicato di Monselice e arcipretura di Montagnana (cfr. Gios, Nomine canonicali, p. 194). Altri benefici posseduti dal giovane veneziano erano un canonicato nella cattedrale di Treviso, la rettoria dell’ospedale di San Lazzaro (in diocesi di Padova) e un canonicato a Limena nella chiesa dei santi Felice e Fortunato (Bellinati, La casa canonicale, p. 125). Numerosi documenti sull’arcipretura di Montagnana, detenuta da Giovanni Sega a partire dal 1482, si leggono in Bellinati, Il Quattrocento a Montagnana, pp. 14, 67, 75‐77, 87‐89, 93, 97, 137, 140. Nel 1468 Giovanni Sega ottenne la laurea nei due diritti (Acta graduum ... ab anno 1461 ad annum 1470, a cura di G. Pengo, Padova 1992, n. 792), nel 1481 fu protonotario apostolico ed entro il 1497 divenne familiaris del cardinale Giovanni Battista Zeno, anch’egli canonico di Padova (cfr. Gios, Nomine canonicali, p. 199). Cfr. per tutto questo capitolo XIV. 93 ACP, Acta capituli, reg. 5, c. 45v. 94
Ibidem, c. 60r. Nel 1457 Alessandro Bon era «clericus Venetiarum» (Gios, Nomine canonicali, pp.194‐194) e disponeva di benefici nel duomo di Montagnana, poi rinunciati il 3 marzo 1466 (Bellinati, Il Quattrocento a
Montagnana, p. 47; Dondi, Serie, p. 253). Alessandro Bon fu un canonico assai assiduo in cattedrale, cfr. ACP, Acta capituli, regg. 5‐6, passim. 95 Cfr. supra. 96 Eubel, Hierarchia, II, 136 (3 agosto 1481). Dondi, Serie, p. 213; Cenci, Senato veneto, pp. 405, 417. Cfr. su Santo Venier anche le dettagliate partite di estimo relative al suo canonicato (ACP, Estimi, reg. 22, c. 38r). Santo Venier era figlio del patrizio Andrea, a sua volta figlio di «Sanctus miles»: Ibidem, Acta capituli, reg. 5, c. 55r. Nel canonico Santo Venier si può dunque riconoscere un nipote di quel Santo Venier miles che nel 1416 era Avogadore di Comun e si era recato a Padova per comunicare all’arciprete Astorelli di tacitare la lite sul canonicato del veneziano Nicolò
nomina ad arcidiacono di Padova nel 1449, dapprima venne eletto vescovo di Parenzo, quindi di Recanati e, infine, preside di S. Maria di Loreto, nella Marche97. Anche il canonico Ludovico Donà ebbe fortuna nella carriera ecclesiastica, se nel 1458 era già protonotario apostolico, in seguito vescovo a Belluno e a Bergamo e se fu lui, nel 1464, a ventilare la tiara per il cardinal Bessarione98. Il patrizio Bartolomeo Malipiero, canonico della cattedrale dal 1443 al 1447, nello stesso anno in cui entrò in capitolo tentò di accedere al vescovado di Treviso, resosi vacante per la morte di Ludovico Barbo. Alla proba erano iscritti altri ecclesiastici che erano o erano stati canonici di Padova: Domenico Michiel, Giovanni Condulmer, Pietro Barbo ed Ermolao Barbaro99. Chiusa un porta, per il canonico Bartolomeo Malipiero si aprì un portone ed egli accedette nel 1457 al ricco vescovado di Brescia100. Il Malipiero tentò senza successo di diventare vescovo di Padova (nel 1459) e rimase a Brescia fino alla morte. Nel 1464, morso da un cane, morì di idrofobia e fu sepolto nella cattedrale lombarda con un’iscrizione evocativa della sua sorte: «Nam quam fragilis et caduca sit / vita mortalium meo exemplo / discite»101.
Il patrizio Ludovico Donà diventò canonico della cattedrale nel 1445 quando suo zio, Pietro Donà, era vescovo di Padova. Ludovico mantenne il suo canonicato fino al 1450, anno in cui, a Padova, si laureò in arti102. In seguito il Donà passò agli studi di diritto e nel 1451 nel palazzo dell’Arena in Padova il cardinale Ludovico Trevisan, ex canonico, gli conferì le insegne di protonotario apostolico. Cominciò così la carriera ecclesiastica vera e propria di Ludovico Donà: ordini minori nel 1452, suddiaconato nel 1457, diaconato nel 1458 e iscrizione alla proba per il patriarcato di Venezia nel 1460. Sconfitto, Ludovico Donà si trasferì a Roma presso la Curia pontificia, «nella speranza di ottenere favori» e nel 1462 giunse puntuale la sua promozione a vescovo di Belluno103. Il Donà lasciò dunque il canonicato e il suo posto fu preso da un altro patrizio veneziano, Lorenzo Gabriel, nipote del doge in carica Pasquale Malipiero104. Ludovico tentò la proba per il patriarcato di Venezia nel 1464 (respinto) ma Paolo II, nel 1465, riuscì a trasferirlo nel vescovado di Bergamo105.
Il caso più rappresentativo rimane quello di Pietro Foscari, nipote del doge Francesco e canonico di Padova dopo due tentativi106. Il 1° luglio 1448, morto il canonico Nicodemo Marcello, Andrea Bembo ne aveva optato la prebenda vacante, ma Pietro Foscari, primicerio della basilica di S. Marco a Venezia107, avanzò proteste poiché lui stesso disponeva di lettere apostoliche per il canonicato del Marcello, con l’appoggio esecutorio del vescovo di Castello, Lorenzo Giustinian. I canonici, per spiegare le proprie ragioni, scrissero una lettera al Giustinian, ribadirono la fermezza dell’opzione esercitata da Andrea Bembo e chiesero lumi
Del Vida: cfr. capitolo III. Il trasferimento vescovile nei domini da terra non riuscì al Venier, che perse la proba per Treviso nel 1485 (Cenci, Senato veneto, p. 405, 417, 426). 97 Dondi, Serie, pp. 122‐123. 98 Per il titolo di protonotario di Ludovico Donà cfr. ACP, Acta capituli, reg. 5, c. 53v. Su Ludovico Donà cfr. capitolo XIII. 99 Fu quest’ultimo il vincitore della proba: Cenci, Senato veneto, pp. 380‐383. 100 Eubel, Hierarchia, II, p. 111. 101 Dondi, Serie, pp. 121‐122. 102 Acta graduum … ab anno 1451 ad annum 1460, a cura di M.P. Ghezzo, Padova 1990, n. 319. Il Foscari conseguì la licenza in diritto canonico sotto la promozione di Gaetano da Thiene, canonico di Padova, e alla presenza di Palla Strozzi. 103 K. Walsh, Donà Ludovico, in DBI, pp.771‐773; Eubel, Hierarchia, II, pp. 103, 214. 104
Walsh, Donà Ludovico, p. 771. Il canonico che sostituì Ludovico, Lorenzo Gabriel, si trova per la prima volta in capitolo in ACP, Acta capituli, reg. 5, c. 87r (9 febbraio 1463) 105 Walsh, Donà Ludovico. Il Donà fu vescovo di Bergamo fino all’anno della sua morte, 1484. Nel frattempo, senza fortuna, aveva tentato ancora di ottenere il patriarcato di Venezia (1466), la diocesi di Milano (1470), il vescovado di Padova (1481) e l’arcivescovado di Nicosia (1481). 106 King, Umanesimo e patriziato, pp. 543‐545. 107
Egli era inoltre protonotario apostolico (dal 1447) e commendatario dell’abbazia benedettina di S. Maria di Summaga. Cfr. G. Del Torre, Foscari Pietro, in DBI, 341‐344.
«itaque ut sciamus quod in facto nostro facere debeamus»108. Lorenzo Giustinian rispose per lettera otto giorni dopo, sospese la pratica di elezione e Pietro Foscari venne respinto109.
Nel 1455, tuttavia, un breve di Callisto III rivolto ai canonici di Padova ordinava di immettere Ludovico Ludovisi, notaio e referendario apostolico, nella prebenda vacante poiché il «canonicus paduanus» Pietro Foscari era stato eletto al vescovado di Treviso110. Il Foscari dunque, escluso nel 1448, fu canonico prima del 1455 e ciò lascia intendere che un secondo e non testimoniato assalto al beneficio si sia risolto, diversamente dal primo, in suo favore. Promosso a vescovo di Treviso, secondo il breve di Callisto III, Pietro Foscari avrebbe lasciato il canonicato di Padova e il papa avrebbe imposto il sostituto: Ludovico Ludovisi, referendario apostolico. La richiesta era stata respinta dal capitolo, il Ludovisi si era appellato al pontefice e questi aveva inviato a Padova altre lettere apostoliche per la sospensione delle contestazioni111. Non servì. Ludovico Ludovisi, infatti, non entrò mai nel canonicato di Padova poiché Pietro Foscari non fu mai vescovo di Treviso. Di fronte all’elezione vescovile infatti, nel novembre 1455, il canonico di Padova e primicerio di S. Marco «ex certis causis» aveva preferito rinunciare alla nomina112.
Pietro Foscari, dunque, fu canonico di Padova almeno dal 1455 al 1464, anno in cui lo si trova presente, come «protonotarius apostolicus», in alcune riunioni del capitolo tenutesi nel mese di maggio. Nello stesso 1464, salito al soglio pontificio il veneziano Pietro Barbo, già canonico di Padova, la carriera ecclesiastica del Foscari prese uno slancio decisivo113. Nel giugno 1468 era a Roma e fu chiamato a testimone dell’atto con cui Paolo Morosini «prese possesso per conto di Venezia della biblioteca del cardinal Bessarione» e, nello stesso anno, fu nominato cardinale in pectore114. Nel 1477, ancora a Roma, Sisto IV lo nominò ufficialmente