Nel rimestamento che sconvolse il capitolo dopo la conquista veneziana il fatto più singolare ha a che fare con il futuro cardinal Zabarella ma costringe lo storico a lavorare su pochissimi documenti. Altri studi hanno già tracciato l’affascinante biografia del celebre giurista Francesco Zabarella che fu arciprete della cattedrale padovana fino alla sua nomina a vescovo di Firenze (1410), giunta un anno prima della sua ulteriore promozione a cardinale diacono del titolo dei SS. Cosma e Damiano (egli infatti, non avendo che gli ordini minori, fu immesso dall’antipapa Giovanni XXIII in un cardinalato diaconale)132.
5.1 L’intronizzazione del vescovo Marcello (28 luglio 1409)
La centralità dello Zabarella nella transizione di Padova dalla signoria carrarese al dominio veneziano è stata rilevata nel precedente capitolo. Salendo invece fino al 1409, più precisamente al 28 luglio, si incontra l’arciprete protagonista nel cerimoniale di intronizzazione del nuovo vescovo di Padova Pietro Marcello, in una cattedrale gremita da «multitudine copiosa»133. Il notaio di curia che trascrisse l’intronizzazione del vescovo Marcello focalizzò l’attenzione su Francesco Zabarella, regista della cerimonia e indicato con grande enfasi come «famosissimus utriusque iuris doctor, in orbe monarcha, dominus Franciscus De Zabarellis de Padua, archipresbiter et canonicus paduanus»134.
Tanto de iure quanto de consuetudine a Francesco Zabarella spettava, in quanto arciprete, l’immissione in possesso del nuovo vescovo. Alla processione in cattedrale del 28 luglio 1409 presero parte anche 14 canonici e 12 tra mansionari e custodi, i quali percepirono, come “salario” per la loro presenza, £ 14 e s. 6135. Il 28 luglio 1409 il neoeletto Pietro Marcello presentò al capitolo e all’arciprete lettere apostoliche di Gregorio XII e insieme ai canonici Francesco Zabarella intronizzò Pietro Marcello conducendolo prima al trono di marmo che stava presso l’altare di S. Daniele e quindi a un’altra «sede marmorea», dietro a quella dell’altar maggiore. A quel punto, accolto il nuovo vescovo, tutto il clero («tota congregatio clericorum civitatis Padue») intonò il salmo Te Deum laudamus secondo l’usanza della cattedrale136. 130 Ibidem, c. 63v. 131 G. Zonta, Francesco Zabarella (1360‐1417), Padova 1915, p. 113. 132 È sterminata la bibliografia disponibile sul cardinale Zabarella. Oltre al già citato Zonta, Francesco Zabarella, si sono occupati di lui Dondi, Serie, pp. 222‐226 e G. Vedova, Memorie intorno alla vita ed alle opere del cardinale
Francesco Zabarella padovano, Padova 1829. Molte notizie si leggono in Gloria, Monumenti, I, pp. 214‐217. Esistono
numerosi e più recenti studi: G. Piaia, La fondazione filosofica della teoria conciliare in Francesco Zabarella, in
Scienza e filosofia all’Università di Padova nel Quattrocento, Sarmeola di Rubano‐Trieste, 1983, pp. 431‐461; S.
Kuttner, Francesco Zabarella’s Commentary on the Decretals: a note on the editions and the Vatican manuscripts, «Bulletin of medieval canon law», n.s. 16 (1986); Belloni, Professori giuristi, pp. 204‐208; Kohl, The paduan élite, pp. 210‐212, 255. I lavori più recenti si devono tuttavia a Girgensohn: D. Girgensohn, Francesco Zabarella da Padova, Dottrina e attività politica di un professore di diritto durante il grande scisma d’occidente, «Quaderni per la Storia dell’Università di Padova», 26‐27 (1993‐1994), pp. 1‐48; Idem, Studenti e tradizione. Alcune indicazioni, relative alla casa canonicale abitata dall’arciprete Zabarella si leggono infine in C. Bellinati, La casa canonicale, pp. 111‐116. 133
ACP, Diversorum, reg. 14, c. 1r. La lista dei testi è la seguente: Marino Caravello capitano di Padova, Franco Cauco, Marco de Verardo, Antonio Bragadin cittadini veneziani; Benedetto Galli della Galta preposito di S. Andrea di Padova, Giovanni Andrea da Piove e Giovanni Dalle Riviere custodi della cattedrale; i «milites» Enrico Scrovegni, Paolo Lion, Giacomo da Vigonza, Ognibene Scola; cittadini padovani Pietro Scrovegni, Galeazzo dall’Orologio, Nicolò Mussati; ser Donato de Sileto da Tarvisio, notaio vescovile, Bartolomeo Nicolini notaio del capitolo. 134 Ibidem. 135 Ibidem, Quaderni della Canipa, reg. 2, c. 21r. 136 Ibidem, Diversorum, reg. 14, c. 1r.
5.2 I vescovi di Padova nel primo quindicennio veneziano
La concessione della cattedra vescovile al Marcello, tuttavia, fu una vicenda travagliata. Occorre procedere secondo ordine e ritornare al 1405, quando la Repubblica di Venezia rimosse il vescovo Stefano da Carrara. Fatto ciò, nell’anno successivo, il 4 marzo 1406, a Venezia era già stata effettuata la proba per la scelta del nuovo presule. I concorrenti furono nove e risultò vincitore il domenicano Giovanni Benedetto, priore del monastero veneziano dei SS. Giovanni e Paolo137, ma il candidato prescelto dal Senato, riluttante per ragioni di coscienza, rifiutò la nomina138. Ad essere traslato a Padova (8 marzo 1406) fu dunque Albano Michiel, arcivescovo di Corfù, che s’era piazzato quinto nella proba del Senato139.
Lo stato della documentazione permette di dire poco dell’azione vescovile del Michiel, egli tuttavia morì a Padova a soli tre anni dalla nomina, intorno al 20 maggio 1409, e fu sepolto nella cattedrale140. Il 25 maggio dello stesso anno, infatti, giunsero puntuali in Senato, a Venezia, lettere dei rettori padovani (in quell’anno Egidio Morosini e Gabriele Emo) nelle quali si comunicava la morte di Albano Michiel. Il Senato, stabilito che nel vescovado padovano dovesse entrare «persona nobis grata», deliberò di scrivere al papa affinché attendesse, prima di nominare il sostituto, che il Senato stesso gli avesse notificato «illam personam de qua nostra dominatio et consilia nostra contenti essent»141.
La lista dei candidati alla proba fu chiusa l’8 luglio 1409 e vi concorsero in sei. Anche se l’esito della votazione veneziana non è noto142, si sa che Gregorio XII, il veneziano Angelo Correr, dopo la proba trasferì a Padova Pietro Marcello. Quest’ultimo, venti giorni dopo, il 28 luglio, ebbe modo di prendere possesso del vescovado143.
5.3 L’azzardo del capitolo (e dell’abate di S. Giustina): Francesco Zabarella vescovo di Padova (1409)
Non sembra all’apparenza che vi siano state discontinuità o particolari complicazioni nell’elezione del nuovo vescovo di Padova, ma nei due mesi che stanno tra la morte accertata di Albano Michiel (25 maggio 1409) e la presa di possesso del vescovado da parte di Pietro Marcello (28 luglio 1409) sta un fatto del tutto eccezionale, quale non si aveva in Padova dalla fine del Duecento e quale non si avrà in seguito per tutto il primo secolo di dominazione veneziana. Nel Catastico verde dell’abbazia padovana di S. Giustina, in margine a un compromesso del 1214, si legge una nota autografa del veneziano Ludovico Barbo, l’illustre abate di S. Giustina tra il 1409 e il 1443:
Et ego Ludoicus abbas prefacti monasterii Sancte Iustine, vacante Ecclesia paduana per mortem domini Albani Mchaelis de Veneciis, interfui cum canonicis ellectione et ellegimus in episcopum Paduanum famosissimus iuris utriusque doctorem dominum Franciscum de Zabarella tunc archipresbiterum et fuit anno Domini M°CCCCX (recte
1409)144.
ll capitolo di Padova pertanto, assieme all’abate di S. Giustina, morto Albano Michiel aveva eletto per suo conto il vescovo e aveva scelto il proprio arciprete Francesco Zabarella, senza
137
Cfr. Cenci, Senato veneto, p. 353. Giovanni Benedetto sarà vescovo di Treviso dal 1418 al 1437, cfr. Pesce, La
Chiesa di Treviso, pp. 230‐285. 138 Ibidem, p. 234; Cenci, Senato veneto, p. 358. 139 Eubel, Hierarchia, I, pp. 209, 386. Il Michiel era arcivescovo di Corfù sin dal 1392. 140 Cfr. Dondi, Dissertazione Nona, pp. 6‐10. Non si può essere d’accordo con la data di morte del Michiel indicata dal Dondi, che parla del marzo 1409. Nella contabilità di Sacrestia si trova menzione della sepoltura in cattedrale del Michiel, ACP, Quaderni della Sacrestia, reg. 1, c. 162v. Il 14 marzo 1410, nello scavo della fossa, emersero infatti due grandi pietre che furono trasferite e collocate nella cappella di S. Giorgio («pro portatura duorum lapidum qui evulsi fuerunt de sepultura domini Albani episcopi paduani et posite fuerunt in capella sancti Georgi […]»). 141 ASVE, Senato Misti, reg. 48, c. 78v. 142
Questa la lista dei concorrenti al vescovado di Padova: Antonio Correr, vescovo di Brescia; Giacomo figlio di Geremia Badoer, studente in diritto canonico; Giovanni Benedetto, domenicano; Guido Memo vescovo di Pola; Pietro Marcello, vescovo di Ceneda; Giovanni Lombardo, vescovo di Parenzo (Cenci, Senato Veneto, p. 358).
143
Eubel, Hierarchia, I, p. 386.
144
Cfr. Il Catastico verde del monastero di S. Giustina di Padova, a cura di L. Casazza, Fonti per la storia della Terraferma veneta, 24, Roma 2008, p. 193. Cfr. anche Rigon, Le elezioni vescovili, p. 9.
attendere la proba veneziana e procedendo a un atto di esplicita insubordinazione. Nel 1696 il padovano Giacomo Cavacius, nei suoi Historiarum Coenobii D. Iustinae Libri sex, è stato forse il primo a segnalare tale appunto dell’abate Barbo e a porre in luce l’elezione vescovile di Francesco Zabarella a vescovo di Padova. Egli imputò il fatto alla «tempestas» dello scisma d’occidente: la chiesa padovana, non sapendo a quale dei papi rivolgersi per richiedere il nuovo vescovo, «resumpsit vetus suffragium», riprese, cioè, l’antica procedura elettiva secondo la quale il vescovo padovano veniva designato dal capitolo cattedrale e dall’abate di S. Giustina. Essendo «viziosa» quest’antica procedura, concluse il Cavacius, la nomina dello Zabarella non andò a effetto145. Il Dondi Orologio, a inizio Ottocento, spinse più oltre le interpretazioni del Cavacius, sostenendo che l’elezione non andò in porto per volontà dello stesso Zabarella: «giacché questo Prelato, avvedutissimo siccome egli era, ben vedeva che la sua nomina piacer non poteva al veneto Senato, che voleva solo patrizii a coprir questa Sede, e perciò ricusò l’onore e rinunziò al Vescovato»146. Ancora secondo il Dondi tale «condotta» dello Zabarella sarebbe stata «grata oltremodo al Senato» e la Repubblica avrebbe pertanto “ricompensato” l’arciprete dandogli in commenda le abbazie padovane di Praglia e di S. Giovanni di Verdara, entrate annue di oltre 5.000 ducati147. La carta di conferimento allo Zabarella del possesso dell’abbazia di Praglia non rivela nessi specifici tra la mancata elezione vescovile e la concessione della commenda e non testimonia un esplicito meccanismo di contropartita in relazione alla rinuncia al vescovado padovano. Fu invece l’antipapa Giovanni XXIII a scrivere alla Repubblica, chiedendo che l’abbazia di Praglia fosse assegnata al cardinal Zabarella. La risposta veneziana fu favorevole e motivata con l’augurio che lo Zabarella stesso «multum faciat pro nostro Dominio dictum dominum Papam habere propitium et favorabilem». La Repubblica riconosceva inoltre come Francesco Zabarella fosse già stato «propitium et favorabilem factis nostris», dimostrando «continue» la «laudabilem dispositionem dicti cardinalis ad honores nostri Dominii»148.
La biografia su Francesco Zabarella scritta nel 1915 da Gasparo Zonta ripropone in sostanza l’interpretazione del Dondi Orologio, mentre l’osservazione più recente di Dieter Girgensohn appare di segno differente, poiché attribuisce il blocco dell’audace iniziativa capitolare a Gregorio XII. Il papa veneziano, infatti, sapeva benissimo che «il patriziato reggente teneva che le prelature situate nel proprio dominio andassero esclusivamente ai figli di nobili veneziani»; perciò «fu ovvia conseguenza» che la nomina dello Zabarella [a vescovo di Padova] venisse ignorata a favore di quella espressa in sede politica dalla proba veneziana, che segnalava invece Pietro Marcello149. 5.4 Altri indizi. Una lettera e una nota contabile
Si è ragionato fin qui su un solo, e sporadico, documento: la nota autografa di Ludovico Barbo in un catasto della sua abbazia. Allo stato attuale della ricerca non si possono offrire che due altri documenti i quali, tuttavia, sono molto attendibili: da un lato una lettera di Pier Paolo Vergerio il Vecchio e dall’altro una nota di contabilità capitolare.
L’umanista Pier Paolo Vergerio, oltre che allievo, era fin da vecchia data amico fraterno di Francesco Zabarella150. L’amicizia tra i due è testimoniata dalle numerose e informatissime lettere raccolte nell’epistolario del Vergerio e indirizzate ora allo Zabarella e ora, più in generale, a una cerchia di corrispondenti uniti da reciproca amicizia151. Alla morte di Francesco Zabarella (avvenuta a Costanza nel 1417, durante il concilio), Pier Paolo Vergerio scrisse una 145 J. Cavacius, Historiarum Coenobii D. Iustinae Libri sex, Patavii 1696, p. 217. 146 Dondi, Dissertazioe Nona, p. 11. 147 Ibidem. 148 ACP, cod. D56, c. 128rv. 149 Girgensohn, Francesco Zabarella, p. 13. 150
Epistolario di Pier Paolo Vergerio, a cura di L. Smith, Fonti per la storia d’Italia, Istituto storico italiano per il Medio Evo, Roma 1934.
151
Notizie sul Vergerio in King, Umanesimo e patriziato, I, pp. 15, 29, 37, 64, 114, 124‐125, 306, 353, 443. La cerchia dei corrispondenti si può ricostruite in Ibidem, II, pp. 567, 568, 590, 591, 625, 645, 646, 647.
lunga lettera al padovano Ludovico Buzzacarini, componendo in tal modo una sorta di biografia del defunto cardinale152. Il Vergerio ricordò come lo Zabarella, dopo la sua permanenza prima a Bologna e poi a Firenze (1383‐1391), fosse ritornato a Padova come professore di diritto nello
Studium e detentore di un «officium» e di una «dignitas», l’arcipretura della cattedrale, che lo
rendevano «proximus espicopo» e facevano sì che egli, per la sua «auctoritas» e «potentia», fosse addirittura «superior» al vescovo stesso. In seguito, col cambio di dominio, l’arciprete Zabarella «in episcopum Paduanum electum est»153. Considerata la familiarità che legava Vergerio allo Zabarella, questo riferimento all’elezione vescovile del 1409 risulta pertanto un buon indizio.
Non meno valida, per il suo carattere di oggettività, è una nota contabile che si trova in un
Quaderno della Canipa del 1409. Tra le spese sostenute in quell’anno dalla Canipa, infatti, vi è
la registrazione di un versamento di £ 23 e s. 8 a favore di Simonpietro, fattore del defunto vescovo Albano Michiel. Simonpietro, poi, aveva girato la somma a tale prete Lorenzo, come rimborso delle spese di quest’ultimo quando si era recato di persona da papa Gregorio XII per ottenere la conferma dell’elezione di Francesco Zabarella a vescovo di Padova154. Questa nota contabile chiama in causa il papa Gregorio XII. Se la conferma dell’elezione di Francesco Zabarella era stata richiesta a papa Gregorio e se l’elezione non sortì effetto alcuno, ne consegue allora che a bloccare la pratica sia stato proprio Gregorio XII, il veneziano Angelo Correr. Tutto ciò, insomma, collima con l’ipotesi formulata da Dieter Girgensohn155. 5.5 Il «vetus suffragium» resuscitato Non vi sono dubbi che a soli quattro anni dalla conquista di Padova, il capitolo da un lato e l’abate di S. Giustina dall’altro fossero incorsi nell’avventura di eleggersi il presule. Stupisce che l’abate di S. Giustina Ludovico Barbo, così intrinseco al patriziato veneziano, abbia accettato di prendere parte a un’azione così audace, in spregio delle ben note volontà del potere lagunare. Più comprensibile, invece, sembra essere la volontà del capitolo di far sentire la propria voce più autorevole, considerato che la funzione “arcaica” del collegio dei canonici era proprio quella di assemblea elettiva del vescovo156.
Per quanto riguarda Padova il meccanismo delle elezioni vescovili, ovvero quel «vetus suffragium» cui si riferì il Cavacius nel 1696, è stato studiato da Antonio Rigon nel 1977. La prima nomina vescovile di cui si conoscano le modalità risale al 1165 e, in essa, gli elettori furono per l’appunto il capitolo della cattedrale da un lato e l’abate di S. Giustina dall’altro157. Nei secoli XII e XIII le elezioni vescovili padovane furono lotte e contestazioni: i canonici volevano avocare a sé il diritto elettivo, ed escludere l’abate di S. Giustina, e il anche il primicerio della congregazione dei cappellani mirava a partecipare all’elezione. L’assemblea per la nomina del vescovo padovano, per il secolo XII, fu composta da canonici e abate di S. Giustina e solo a partire dal 1214 vi ebbe parte anche il primicerio dei cappellani. Il punto di svolta si ebbe con il contrasto insorto alla morte del vescovo Giovanni Forzaté (1283), che si era concluso (1287) con l’elezione a vescovo di Padova del francesce Bernardo di Agde, per volontà esclusiva di papa Onorio IV. Sul finire del Duecento, insomma, «l’elezione passò ai pontefici» e tramontò in questo modo il «vetus suffragium», tipico dell’epoca in cui il presule era espressione della volontà del clero locale158. Con il XIV secolo, poi, l’affermazione della signoria carrarese aveva inflitto un ulteriore colpo ai residui del «vetus suffragium», con il 152 Epistolario di Pier Paolo Vergerio, pp. 362‐378. Su Lodovico Buzzacarini, cfr. infra, capitolo V. 153 Epistolario di Pier Paolo Vergerio, p. 366. 154 «Item solvimus domino Symonipetro factori domini Episcopi, quos ipse dederat presbitero Laurentio quando ivit ad papam G(regorium) pro electionem Episcopatus factam in dominum Franciscum et cetera, £ 23, s. 8»: ACP,
Quaderni della Canipa, reg. 2, c. 22r. 155 Cfr. supra. 156 In area italiana, nel corso del Quattrocento, questo diritto era stato ormai eroso da altri poteri, civili e religiosi. Solo in area imperiale i capitoli continuavano a designare i propri vescovi: Curzel, Le quinte e il palcoscenico, pp. 41‐ 42. 157 Rigon, Le elezioni vescovili, p. 373. 158 Ibidem, p. 372.
diritto elettivo oscillante tra la curia pontificia e la corte della familia signorile159. La conquista veneziana aveva sancito infine una tendenza ancora nuova, con il vescovo eletto per proba delle magistrature veneziane e confermato in secondo momento dall’autorità pontificia.
Nel 1409, quando il capitolo della cattedrale e l’abate di S. Giustina decisero di eleggere vescovo lo Zabarella, essi risuscitarono una procedura estinta dal 1287. Con questo atto non si andò soltanto contro la nuova prassi veneziana, che si era già ben configurata con l’elezione di Albano Michiel nel 1406, ma si scavalcavano, addirittura, il secolo carrarese e il periodo del predominio papale nella nomina dei vescovi per ricollegarsi direttamente, quasi in un moto di orgoglio, all’antico diritto che la storia aveva cancellato.
Sconvolto dalla conquista di Padova, nel caos che gli stava intorno e che lo investiva, il capitolo scorse la possibilità di riacquisire quell’autonomia decisionale che il Papa e i Carraresi gli avevano negato e che Venezia avrebbe negato in misura maggiore. Da tutto ciò scaturì l’impennata di indisciplina che portò all’elezione vescovile dello Zabarella. La domanda cui rispondere viene ad essere ora la seguente: chi erano quei canonici di Padova che ebbero l’ardire di eleggere il proprio arciprete a vescovo della diocesi?
Non si ha registrazione scritta dell’assemblea di elezione tuttavia, a prendervi parte, oltre a Ludovico Barbo, dovettero essere i canonici residenti, ossia quei canonici che si trovavano a Padova nel 1409 e prendevano parte in senso proprio alla vita capitolare. Per identificare quest’ultimi è sufficiente scorrere i nomi dei canonici che fecero residenza nell’anno dell’elezione dello Zabarella, il 1409. I canonici veneziani erano quanti, almeno in via teorica, dovevano essere portatori diretti dell’adesione alla volontà lagunare ma essi non erano che 6160. I canonici non veneziani, invece, erano 11 e pertanto rappresentavano la maggioranza assoluta. Tra di loro due erano stranieri161 e ben 9 erano padovani e/o legati alla signoria carrarese162. La maggioranza dei canonici residenti nel 1409 non era dunque, almeno in via teorica, filoveneziana. In tal senso l’anacronistica impennata che aveva condotto all’elezione vescovile di Francesco Zabarella assume per davvero i caratteri dell’ultima scossa d’insubordinazione del capitolo nei confronti di Venezia, favorita da quei canonici residenti che non erano ancora del tutto asserviti al nuovo stato di potere. 159 Gaffuri, Gallo, Signoria ed episcopato. 160 Domenico Da Ponte, Michele Condulmer, Nicolò del Vida, Zanino Nigro Dal Sale, Marco Dandolo, Francesco Dalla Sega. Tra questi sei veneziani i patrizi furono però soltanto due: Michele Condulmer (parente del futuro Eugenio IV) e Marco Dandolo. 161 Il senese Mino Rinuccini e il nobile friulano Guecello da Prata. 162
A parte Francesco Zabarella si ritrovano: Nicolò da Portogruaro, già vicario vescovile di Stefano da Carrara, il fiorentino Leonardo Salutati, le cui procedure per la nomina a canonico padovano erano state avviate da Francesco Novello e Pietro Rabatta, di famiglia appartenente all’entourage dirigente dei Carraresi. E ancora: Leone Lazzara, Francesco Alvarotti, Caluro Zabarella, Giovanni Ludovico Basiani e Francesco Trapolino, upper class padovana.
Fig. 7: L’involuzione della cattedrale e del capitolo negli anni Venti del Quattrocento, connessa con il cambio di dominio, è ben ravvisabile anche nel “decoro” della documentazione (5 settembre 1425, ACP, Acta capituli, reg. 3, c. 117r).