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Al momento dell'arrivo delle truppe francesi in Toscana nel

settembre del 180766, l'Università di Pisa continuava a strutturarsi nei

tre tradizionali Collegi: teologico, legale e medico fisico. L'Università che si presentava ai nuovi reggitori francesi era un'istituzione mal finanziata, caotica in materia di regolamenti di funzionamento, assai poco organica sul versante degli insegnamenti, seppur dotata di un buon corpo docente e di una discreta frequenza, fortemente regionalizzata.

La prima questione destinata a porsi già nei mesi iniziali del 1808, dopo che il dominio napoleonico sulla regione era ormai completato, fu costituita dal tema della giurisdizione universitaria. Le autorità centrali francesi dimostravano una particolare attenzione verso la cultura toscana, permettendo tra l'altro l'uso della lingua italiana

negli atti ufficiali67, condizione questa unica in tutto l’Impero, non

potevano accettare però il mantenimento di un foro privilegiato così esteso. Secondo la normativa leopoldina nel 1772 godeva di un giudizio particolare, sia nelle cause civili che in quelle criminali, l'intera popolazione universitaria, intesa in senso molto lato, essendovi compresi i professori, le loro famiglie e i loro servitori, gli

66

R.P. COPPINI, Il Granducato di Toscana, dagli ‘anni francesi’ all’Unità, Torino, UTET, 1993; C. MANGIO, I patrioti toscani fra ‘Repubblica Etrusca’ e restaurazione, Firenze, Olschki, 1991.

67

R.P. COPPINI, Dall’amministrazione francese all’Unità (1808-1861), in <<Storia dell’Università di Pisa>>, Edizioni Plus, Pisa, 2000, pp. 135-136.

47 studenti e gli impiegati, il personale dei vari Collegi della Sapienza, Vittoriano, Ferdinandeo, Ricci e Puteano, fino agli stampatori e librai

cittadini.68E’ ovvio che una simile condizione apparisse stridente in

maniera palese non solo con i generali sforzi di unitaria codificazione napoleonica, ma anche con lo specifico ruolo assegnato dai piani bonapartiani alla figura del professore universitario, membro di un corpo dello Stato, indissolubilmente legato ad esso e primo esecutore delle sue leggi. Nell'Accademia napoleonica cioè la volontà di coltivare lo spirito di corpo non doveva tradursi in nessun modo in privilegio corporativo; il decreto del marzo 1808 relativo all'Università imperiale aveva mirato infatti a realizzare un corpo docente la cui indubbia natura corporativa si fermava però sulla soglia della uniformità giuridica propria della nuova figura del

cittadino.69 Così, nell'agosto del 1808, nonostante alcuni tentativi di

mediazione svolti da Lorenzo Quartieri, docente di Istituzioni civili, venne soppressa ogni traccia di giurisdizione privilegiata, con

l'eliminazione del Tribunale dello Studio, mentre

contemporaneamente fu abolita la carica di Gran Cancelliere dell'Università, tenuta fino ad allora dall'Arcivescovo di Pisa. Il Cancelliere dello Studio aveva inviato alle autorità francesi una nota specifica circa le prerogative della giurisdizione privilegiata, Quartieri si era fatto carico di preparare su sollecitazione di Lorenzo Pignotti, una <<memoria>> che avrebbe dovuto mettere ben in luce il luminoso passato e le recenti funzionalità del Tribunale dello Studio, presentandolo come una delle più felici riforme di Pietro Leopoldo. Nello stesso periodo il corpo docente pisano, che aveva nominato una commissione permanente destinata a <<trattare>> in qualsiasi

68 L. RUTA, Tentativi di riforma dell’Università di Pisa sotto il granduca Pietro Leopoldo (1765-1790), cit., pp. 206-209.

69

G. TOMASI STUSSI, Per la storia dell’Accademia imperiale di Pisa (1810-1814), Firenze, Olschki, 1983, estratto da << Critica storica>>, pp. 61-120.

48 momento con l'autorità napoleonica, era riuscito invece ad ottenere la messa in pagamento dei propri stipendi.

L'altro grosso problema che la Giunta di Governo francese si trovò ad affrontare in via preliminare fu rappresentato dalla determinazione delle dotazioni finanziarie dell'Università. A differenza di quanto accadeva per le altre Università francesi, direttamente finanziate dal Tesoro, l'esistenza economica di quella di Pisa risultava dunque legata a filo doppio alla politica ecclesiastica di Napoleone, derivandone certo un condizionamento non indifferente nei contenuti culturali dello stesso organismo accademico. Dopo queste prime misure di natura molto generale, le autorità centrali dell'Impero decisero che era giunto il momento di un sopralluogo diretto, secondo la prassi tipicamente napoleonica delle inchieste. Così nel dicembre del 1809 arrivarono in Toscana i tre componenti di una commissione straordinaria, incaricata di un'indagine sullo stato dell'istruzione universitaria dei dipartimenti d'oltralpe. A presiederla era posto Georges Cuvier, uno dei dieci membri nominati a vita da Napoleone nel Consiglio Centrale dell'Università, di cui reggeva la prima Sezione che si occupava dello Stato e del perfezionamento degli Studi. Completavano la Commissione Henry Coffier, consigliere ordinario dell'Università, e Prospero Balbo, Rettore dell'Università di Torino. Cuvier ebbe un peso determinante nelle ristrutturazioni dell'Università pisana, cercando di trasferirvi alcune delle massime animatrici del progetto che coltivava fin dal 1802, quando Napoleone lo aveva incaricato di procedere alla riorganizzazione dei licei francesi. Egli aveva concepito il piano di fare dell'istituzione superiore il luogo di svecchiamento della cultura nazionale prima, ed imperiale poi. Le discipline scientifiche, matematiche, fisiche e chimiche, su un piano più generalmente sociale, apparivano indispensabili a plasmare un'abitudine mentale, un atteggiamento nei confronti della vita assolutamente laico. La scienza sintetizzava un unico paradigma di

49 progresso, materiale e culturale, di cui l'Università doveva essere la sede di più alta elaborazione ed esplicazione. Per queste prerogative, di dimostrazione di una nuova epistemologia del sapere, l'istituzione universitaria acquisiva, nel pensiero di Cuvier, anche il tratto del mezzo di formazione del corpo docente delle scuole secondarie. In altre parole la razionalità laica avrebbe permesso la ricerca scientifica e le sue ricadute sociali, unendovi un forte civismo, oggetto di

un'efficace preparazione pedagogica70. Con idee di questo tipo Cuvier

si presentò ai professori pisani71, ai quali rivolse, nelle sale

dell'Arcivescovato, un discorso molto cauto e formale in cui prevalevano i toni della consueta mitologia napoleonica: il tono generale del discorso di Cuvier insisteva sulla capacità della “nuova” Francia di fecondare la copiosa tradizione italiana, ed in particolare quella toscana dei Dante, dei Michelangelo e dei Galileo, sottolineando ancora una volta la particolare ricchezza culturale della regione, tanto da farne una sorta di eccezione nel panorama europeo. Soprattutto cercò di tranquillizzarli circa la loro sorte accademica, ricevendo per questo la <<commossa>> riconoscenza del professor Lorenzo Quartieri in nome dell'intero corpo docente, a cui si unì un altrettanto retorico atto di devozione formulato da Giovanni Rosini. Ben diverso invece fu il portato del Rapport inviato a Parigi da Cuvier, a conclusione della sua ispezione, che fotografava lo stato dell'Università pisana e ne proponeva alcune significative riforme. Deferenza verso la tradizione ed assimilazione alle regole francesi furono i due termini entro cui circoscrivere le considerazioni degli ispettori transalpini. In apertura del Rapport veniva affermata l'opportunità che la sede universitaria toscana restasse a Pisa, sia per quel che concerneva l'ordinamento didattico che per la sua amministrazione finanziaria. La città, infatti, fortemente depauperata

70

R.P. COPPINI, Dall’amministrazione francese all’Unità, cit., pp. 137-139. 71 D. BARSANTI, L’università, cit., pp. 48-50.

50 dalla soppressione dell'Ordine di S. Stefano, avrebbe accolto con grande favore la decisione di tale mantenimento, disponendo di un notevole numero di case sfitte. Inoltre si trattava di un luogo <<politicamente>> tranquillo. La Toscana, sostenevano, a differenza di altre realtà italiane, aveva disposto nel tempo di un sistema di istruzione non frammentario, legato appunto ad una grande tradizione scientifica dove brillava il culto di Galileo. Aveva goduto anche di un'autorità pubblica attenta fin dai Medici a non spegnere tali tradizioni, così che i cambiamenti da introdurre non dovevano in nessun modo cancellare il passato, ma rispettarlo rimuovendo, quasi chirurgicamente, <<gli abusi e le negligenze>>. Questo sforzo avrebbe significato, in primo luogo, proprio il raggiungimento di una maggiore regolarità nel funzionamento dell'istituzione, potendo combinarsi in essa migliore efficienza e più chiara uniformità di diritti e doveri. Secondo il Rapport, l’Università pisana conservava ancora sostanzialmente la forma datale dagli statuti del 1544, per volontà di Cosimo I. Dunque, nell'analisi di Cuvier, il passato luminoso di Pisa non si legava, se non in minima parte, alle tanto decantate riforme lorenesi. Le carenze non provenivano infatti dalla qualità del corpo docente, giudicato in maniera assai positiva, fatto salvo soltanto l'insegnamento della Medicina, che risultava troppo generico e privo di un tirocinio pratico possibile. La questione era quella di ristrutturare la distribuzione delle materie nei vari corsi. Occorreva poi stabilire un numero fisso di cattedre e di professori, che subiva per consuetudine nello Studio lorenese forti oscillazioni, connesse intimamente alla prerogativa del Principe di disporre degli insegnamenti con propri atti di benevolenza all'interno di una sua personale proprietà. Questo fatto valeva anche per gli stipendi, estremamente variabili, rispetto ai quali i commissari napoleonici proponevano un'omologazione per tutti i docenti. Dall'Università del Principe si doveva passare così, attraverso un complesso di misure

51 solo apparentemente amministrative, ad una Università di Stato, che poteva licenziare i professori a causa del loro esubero numerico, ed era frequentata non da sudditi ma da cittadini, nel pieno rispetto dell'enfasi culturale egualitaria contemplata nel decreto imperiale del 17 marzo 1808. Nella stessa direzione si indirizzava l’abolizione di quell'aspetto fortemente privatistico e personalizzato, rappresentato dalle lezioni domestiche, che si tenevano a casa dei professori; in una dimensione pubblicistica dell'istruzione universitaria esse avrebbero dovuto lasciare il posto ad un'unica forma di lezione pubblica da

tenersi in Sapienza o nei vari stabilimenti scientifici.72 Così ancora in

un'istituzione statale la durata dei corsi non poteva soggiacere alle pretese dei docenti di mantenere un'eccessiva brevità dell'anno accademico, dovendo pertanto essere cancellate le terzerie e introdotto un calendario che avrebbe previsto solo tre mesi di vacanze in agosto, settembre e ottobre, mentre gli ultimi 20 giorni di luglio venivano riservati agli esami e alle lauree. In linea con un'ispirazione di natura meritocratica, subiva inoltre una decisiva riforma anche il sistema degli esami. Nell’ordinamento napoleonico erano presenti tre gradi e titoli di studio universitario, conferiti mediante esami di profitto, il baccalaureato, la licenza e il dottorato. Fino ad allora a Pisa veniva rilasciato in pratica solo quest'ultimo grado, a conclusione di un esame finale puramente mnemonico e quasi preconfezionato, senza una tesi scritta né orale. Per modificare questa condizione Cuvier propose l'introduzione degli esami di profitto, fino ad allora sconosciuti in Toscana, e l'obbligatorietà della tesi finale. L'idea ventilata dal Rapport era quella di fare di tutti questi corsi una sorta di quinto anno obbligatorio, da frequentare prima di presentarsi all'ultimo esame ed a sostenere la tesi, sul modello francese. La maggiore selettività del curriculum di studi si rifletteva poi nella ferma volontà di sottoporre ad un più attento controllo gli

52 studenti provenienti da altre Università, per accertare il loro reale

grado di preparazione ed i loro titoli, prima di farli laureare.73 Le

vaste considerazioni di Cuvier si posero però in larga misura soprattutto alla base del decreto napoleonico del 18 ottobre 1810 che, tenendo fermi alcuni elementi introdotti nell'ordinamento francese nelle già ricordate disposizioni del 1806 del 1808, dava vita all'Accademia imperiale di Pisa. Una prima legge di riordino generale dell'istruzione pubblica era stata emanata dal Corpo legislativo francese nel 1806 e promulgata dieci giorni dopo, dando vita all'<<Università imperiale>>. Un successivo decreto del 1808 ne definì l'organizzazione interna, sancendo il monopolio statale dell’istruzione di ogni ordine e grado. Non era stabilita neppure un'età precisa per l'ammissione ai corsi universitari ed accadeva che molti studenti accedessero all'Università a soli tredici, quattordici anni, senza che fosse richiesto un determinato cursus studiorum. L'Università imperiale sarebbe stata composta da <<tante accademie quante erano le corti d'appello>>, ed avrebbe contemplato cinque tipi di Facoltà: teologiche, giuridiche, mediche, scientifiche e letterarie. I docenti, dopo una prima volta in cui sarebbero stati ancora nominati dal Gran Maestro, sarebbero stati in seguito reclutati per concorso. Il corso di studi universitario avrebbe rilasciato tre ordini di titoli, il baccalaureato, per cui occorrevano sedici anni almeno e un esame su tutte le materie del liceo, la licenza, dopo aver conseguito il baccalaureato da un anno ed aver sostenuto una nuova serie di esami specifici di ciascuna Facoltà, il dottorato, infine, per il quale era necessario essere licenziati e discutere due tesi. Le basi dell'insegnamento in tutte le scuole dell'Università sarebbero stati <<i precetti della religione cattolica, la fedeltà all'imperatore, alla monarchia imperiale, depositaria della felicità dei popoli ed alla dinastia napoleonica, conservatrice dell'unità della Francia e di tutte

53 le idee liberali proclamate dalle costituzioni e l'obbedienza agli statuti

del corpo insegnante>>74. Dal Rapport trasmigrò nel provvedimento

la volontà di dare un ordine unitario all'istruzione universitaria, essendo stabilita l'esistenza di un solo circondario che riuniva i tre dipartimenti toscani sotto la competenza dell'Accademia. Venivano soppressi i singoli Collegi Ferdinandeo, Puteano, Ricci, della Sapienza e Vittoriano che dovevano essere sostituiti da un pensionato, dove sarebbero stati accolti alunni scelti dalle comunità locali, dagli

stabilimenti di beneficenza e dall'autorità pubblica75. Dopo la

pubblicazione del decreto del 1810 venne promulgato lo Statuto sulla formazione dell'Accademia di Pisa che riordinava compiutamente il

quadro istituzionale76. Lo spirito animatore era orientato a

razionalizzare il funzionamento universitario. La prima necessità in tal senso era legata alla riduzione del corpo dei docenti che eccedendo <<i bisogni dell'istruzione non permette né di accordare a ciascuno di essi una provvisione sufficiente per un mantenimento decoroso, né di dare lo sviluppo che reclama lo stato attuale delle Scienze>>. Naturalmente, si chiariva subito, un simile scopo sarebbe stato raggiunto gradatamente, con i dovuti riguardi <<a degli uomini commendabili per i loro servigi e i loro talenti>>. In altre parole questo significava la conservazione dell'antico trattamento per professori e funzionari, mentre al vertice dell'amministrazione erano posti un Rettore, due Ispettori ed un Procuratore Generale. Al Gran Maestro, capo dell'Università imperiale, era riservata la prerogativa di <<designare>> tra i professori già esistenti quelli che avrebbero dovuto rimanere in attività, mentre gli altri venivano accorpati in due

74

Decreto imperiale concernente l’Accademia di Pisa del 18 ottobre 1810, riportato da A. ZOBI, Storia civile della Toscana, Firenze, Molini, 1850-52, III, Appendice, documento n. CXLIV.

75

R.P. COPPINI, Dall’amministrazione francese all’Unità, cit., p. 141.

76 Statuto sulla formazione dell’Accademia di Pisa e disposizioni transitorie per il passaggio dallo stato attuale allo stato permanente, del 23 ottobre 1810, in Calendario dell’Università imperiale per l’Accademia di Pisa 1812, Pisa, Prosperi, 1812, pp. 60-64.

54 classi: <<I più anziani>> entravano a far parte degli Emeriti, dispensati da qualunque servizio, ma trattenuti nei ruoli per la loro riconosciuta fama. Gli Aggiunti, in attesa di succedere di diritto ai docenti titolari del loro stesso insegnamento, potevano essere impiegati come supplenti; nel caso di più aggiunti alla stessa cattedra sarebbe stato poi il Gran Maestro a determinare la gerarchia nella successione. Inoltre al medesimo Gran Maestro era riconosciuta la prerogativa di destinare i professori aggiunti <<nei licei e nei Collegi della Toscana>>, pur continuando essi a mantenere il rango universitario ed il diritto di successione. I giubilati infine sarebbero stati licenziati o mandati in pensione d'ufficio. Unitamente allo Statuto fu approvato anche un nuovo regolamento universitario in virtù del quale, come aveva già sostenuto Cuvier, erano cancellate le lezioni domestiche, e lo svolgimento degli esami veniva sottoposto alla disciplina valida per tutto l'Impero. Queste misure interne subirono poi un'ulteriore precisazione con decreto del 1812 che rendeva maggiormente difficile per i professori ottenere l'esonero dalle lezioni, e non consentiva loro licenze più lunghe di una settimana, durante la quale era comunque necessario essere reperibili. Il processo di regolarizzazione del funzionamento della macchina accademica si completava con varie disposizioni relative alle modalità di iscrizione e di frequenza che cercavano di ridurre al minimo i margini di casualità nella condotta dei corsi. In questo senso veniva posto in essere un tentativo di riparare ad alcune disposizioni precedenti; in seguito alla constatazione di esami <<meno che gravosi>> di quelli francesi nella formazione dei dottori in Diritto, si stabiliva che i laureati, già iscritti nel ruolo degli avvocati, per ottenere realmente tale titolo, avrebbero dovuto dare giustificazione degli esami di profitto svolti e ripetere gli esami di fronte ad una commissione nominata dalla Corte imperiale di Firenze; solo in questo modo avrebbero potuto esercitare la professione in tutto il territorio dell'Impero, in caso contrario,

55 sarebbero stati considerati soltanto come licenziati in Diritto. Coloro che, invece, non fossero ancora divenuti avvocati neppure con il sistema precedente, avrebbero avuto, in tutto l'Impero, la qualifica unicamente di baccalaureati. L'impegno napoleonico risultava infatti particolarmente attento al ruolo delle Facoltà di Diritto, perché ad esse, ovviamente, si collegava la possibilità di rendere realmente tangibile il portato della vasta opera di codificazione intrapresa. In altre parole, gli avvocati, ed in generale gli uomini di legge, insieme ai medici apparivano come i due ceti professionali a cui la riforma universitaria dedicava maggior attenzione proprio perché attraverso di essi avrebbero dovuto concretizzarsi alcuni degli aspetti centrali dello Stato legale e sociale bonapartiano. Nell'ordinamento imperiale, infatti, erano previsti selettivi corsi di studio per queste due professioni. Il primo anno della Facoltà giuridica richiedeva una generale preparazione filosofica, cui andava unita, da parte di coloro che intendevano fermarsi al baccalaureato, la frequenza e il superamento di un esame in Legislazione criminale e Procedura civile e criminale. Coloro che erano invece intenzionati a non fermarsi avrebbero dovuto seguire anche le lezioni di Istituzioni di diritto romano e sulla prima parte del Codice Napoleone. Il secondo anno contemplava poi la seconda parte del Codice Napoleone, Legislazione criminale e Procedura civile e criminale, mentre il terzo era riservato alla terza parte del Codice Napoleone e alla Giurisprudenza romana e francese. Infine il dottorato richiedeva l'ultima parte del Codice Napoleone, Legislazione criminale e Procedura civile e criminale. La ristrutturazione universitaria, contenuta nelle misure prese in Toscana tra il 1810 ed il 1812, era dunque, almeno sulla carta, indubbiamente profonda, anche se non mancò la volontà di giungere a mediazione con ciò che già esisteva, così molti insegnanti conservarono le loro attribuzioni tradizionali, soprattutto il cambiamento nella definizione istituzionale avvenne lungo una

56 continuità personale che certo ne smussò molte asperità. Nel 1812 si riunì il nuovo Consiglio accademico, del quale facevano parte, oltre al Rettore Sproni ed ai due ispettori Santi e De Latour, i professori decani e più <<rappresentativi>> di ogni facoltà: Paoli, Bottieri, Malanima, Torrigiani, Gerbi, Quartieri e Del Mare. Nelle successive riunioni, di cadenza quindicinale, l'organo affrontò soprattutto questioni finanziarie e relative alla nomina di docenti nelle varie scuole comunali. Al di là del più generale significato di ordine culturale, la riforma napoleonica portò con sé, se non altro, due idee di fondo che lasciarono una traccia: quella di una razionale uniformità quale condizione di efficienza, e quella della natura pubblica del docente universitario, non mera espressione di un monarca, ma figura intimamente legata ad un corpo sociale di appartenenza,

regolato nelle sue attribuzioni dalla legge.77

La ristrutturazione istituzionale, operata dall'autorità napoleonica, non ebbe rilevanti conseguenze sulla composizione del corpo