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La iurisprudentia, cioè la scienza del diritto, trasmessa dalla cattedra civilistica pisana a generazioni di futuri funzionari, avvocati, giudici e docenti, aveva avuto il ruolo fondamentale di gestire la pluralità delle fonti giuridiche: con l'avvento del governo lorenese un elemento del sistema, la legislazione prodotta dallo Stato, tendenzialmente accentratore e assolutista, si proietta ad acquistare la preponderanza, in nome della pubblica utilità, per vincere la sfida di sbrogliare il caos costituzionale e assicurare la certezza del diritto. All'inizio, ai bellicosi atteggiamenti della Reggenza, intesa a cambiare ogni legge, si contrappone un’aspra difesa degli aristocratici autoctoni, arroccatisi intorno al diritto romano. L'arrivo di Pietro Leopoldo concilia un modus vivendi: il principe detta norme alle quali i giuristi riservano una buona accoglienza applicativa, come prodotto giustificabile di saggezza amministrativa. Una ‘consolidazione’ come la Leopoldina del 1786 si candida ad assumere la veste di vero codice, mentre un ‘codice’ come quello di procedura civile del 1814 appare in linea con le tradizioni processualistiche, una collettanea semplificatrice delle numerose leggi previgenti. Nemmeno la parentesi francese intacca la sostanziale continuità del sistema giuridico. Il Collegio, poi Facoltà, di diritto di Pisa non tradisce quel

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Corpus iuris giustinianeo il cui simbolo forte è la Littera già pisana.102 Un memento sempre rinnovato, a rafforzare la posizione del diritto romano: che è, però, <<comune>>. Giunge la rivalorizzazione di iura propria come il diritto marittimo, il diritto commerciale e il diritto statutario. Allo scopo di affrontare la vita con spirito di giustizia, la linea di continuità vera nello svolgimento della storia dell'insegnamento universitario del diritto a Pisa va cercata in un luogo simbolico come gli ammaestramenti dei pedagogisti di corte: impegnati a dare il massimo della propria esperienza giuridica a un futuro reggitore di popoli, il Quartieri, il Foggi, il Del Rosso avrebbero edotto che le leggi debbono essere sempre <<sottoposte al ragionamento con un fine pratico d'utilità>>103.

<<La vera novità ed originalità>> del Code civil francese, ha scritto Guido Astuti, <<sta nel valore giuridico formale della codificazione>>; al sistema del diritto comune <<succedeva il sistema del diritto codificato, costituito da un solo testo legale>>, unitario, sistematicamente ordinato, <<in cui materiali vecchi e nuovi, di diversa derivazione e natura, erano insieme rifusi ed uniformemente presentati con formule concise e precise, come parti organiche di un

unico corpo>>104. Dopo la fine del Regno d'Etruria, la Toscana divisa

in tre dipartimenti viene unita all'Impero e via via vengono in essa promulgati il codice per antonomasia (ormai Napoleone) e i suoi <<fratelli minori>> quello di procedura civile, di commercio, di procedura criminale, penale. Il diritto ‘positivo’, quello creato dal legislatore, assumeva una valenza inedita, e i giuristi francesi, soprattutto i civilisti, tesero ad assumere un atteggiamento intransigente, esclusivo: il credo della cosiddetta <<scuola

102

E. SPAGNESI, Il Diritto, in <<Storia dell’Università di Pisa>>, Edizioni Plus, Pisa, 2000, p. 461.

103 R. ORESTANO, Introduzione allo studio del diritto romano, Bologna, Il Mulino, 1987, p. 130.

104

G. ASTUTI, Tradizione romanistica e civiltà giuridica europea, Napoli, ESI, 1984, p.728.

83 dell'esegesi>>, lapidariamente condensabile nella frase <<non conosco il diritto civile, insegno il codice Napoleone>> aveva implicazioni ideologiche gravide di conseguenze pratiche: la tesi della completezza, cioè la capacità del codice di risolvere ogni possibile controversia; la negazione di qualsiasi potere discrezionale del giudice, cioè la rigida e meccanica attuazione della teoria della divisione dei poteri; la limitazione delle indagini sul significato del testo legislativo, vale a dire bisogno di spiegare la norma soltanto attraverso la parafrasi di esso senza alcun ricorso alla ‘natura’ o alla

‘ragione’ del fenomeno disciplinato.105 Un'elaborazione dottrinale del

genere non si mette insieme d’un colpo e le linee di tendenza, diritte e marcate al centro, in periferia si presentano sfumate e curve. Nei territori italiani si andò a rimorchio della dottrina francese; tra le poche eccezioni, spicca quella rappresentata proprio nell’ex Studio (e

ora imperiale Accademia) di Pisa da Lorenzo Quartieri.106

Secondo la tradizione, l'impegno didattico era suddiviso tra aule e domicilio: nella cattedra si trattava della parte storico-enciclopedica della disciplina, mentre il lato tecnico di essa veniva spiegato a casa. La nuova Facoltà di Diritto ridefiniva razionalmente la propria posizione, cedendo a quella di Lettere le materie esclusivamente storiche e letterarie, eliminando quelle di ius canonicum, e riducendo le cattedre a cinque: tre di <<Codice Napoleone>>, una di <<Diritto Romano>>, una di <<Procedura civile e criminale>>, diventata l’anno seguente <<Procedura civile e criminale e legislazione criminale>>. Questa fu retta, nei quattro anni accademici alla francese, sempre dal Carmignani: ma non cambiarono nemmeno gli altri docenti, cioè il romanista Pier Francesco Morali, e i tre civilisti, Antonio Bottieri, Tito

105

G. TARELLO, Cultura giuridica e politica del diritto, Bologna, Il Mulino, 1988, pp. 69-71.

106

E. MICHELI, Storia dell’Università di Pisa dal MDCCXXXVII al MDCCCLIX, in <<Annali delle Università toscane>>, XVI (1879), pp. 1-84: pp. 44-45 e R. ORESTANO, Introduzione, cit., p.130.

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Giuliani, e il Quartieri, appunto.107 Quest’ultimo adesso si fa audace,

forse ringalluzzito dalla preminenza acquistata tra i colleghi nel 1809, quando gli era toccato rappresentare all'imperiale inviato Cuvier la prona disponibilità, anzi il <<giubilo>> dell'antico e malandato

Ateneo, alle cure prospettate.108 Il Quartieri dunque pubblica i <<due

volumi di giurisprudenza romana e francese comparata>> - scrisse Francesco Buonamici - <<ad ajutare la pratica legale del tempo suo, ma non a porgere una idea piena ed elevata di quelle due legislazioni e delle loro differenze>>. Giudizio non troppo generoso perché quel giurista (circondato, finché visse, <<di venerazione e di fama>>, tanto da essere chiamato <<nella Corte toscana per ammaestrare il Principe ereditario, che poi fu Leopoldo II>>) si rese responsabile, con quei due piccoli tomi, d'un tentativo di resistenza allo strapotere degli esegeti francesi. Dice Buonamici: con la riforma del 1810 <<trionfava l'idea francese, oggi dagli stessi francesi valorosamente rinnegata, che i Codici rendano inutili gli studi romani, e i testi

d’Ulpiano siano cose viete e da rivenduglioli di antichità>>109. Le cose

non stavano esattamente così, perché il rispetto per il Diritto romano non venne mai meno tra quegli autori; il pericolo d'un completo travolgimento era però reale in una terra, come la Toscana, di Diritto comune. E il succo dell'operazione comparativa messa in atto dal Quartieri sta forse nel suo commento all'articolo quattro del Code, dove s'apre un modesto spiraglio dall’eterointegrazione col divieto al giudice di sentenziare sotto pretesto di oscurità o insufficienza del testo legislativo. Potrà essere allora utilizzato, chiosa il Quartieri,

il dovizioso tesoro del Diritto Romano, considerato non come legge, ma come ragione scritta.

107

D. BARSANTI, L’Università, cit., pp. 57-61. 108

Ivi, pp. 49-50.

85 Se si considera l'apprezzamento fatto dal Forti dell'opera sua, come quella d'un <<conoscitore profondo del testo romano>> e <<Senza dare gran estensione al suo insegnamento, serviva almeno al bisogno di formare dei giurisperiti forensi conoscenti dei più notevoli testi delle Pandette e del Codice>>, ci si rende conto che per valutare correttamente l'intensità luminosa della fiammella accesa da lui bisognerebbe almeno esaminare con cura il comportamento degli

organi giurisdizionali toscani degli anni cruciali.110 La vicenda, inoltre,

andrebbe confrontata con quanto successo in altri ambiti d’applicazione del Diritto francese, ad esempio sappiamo che il Codice di commercio fu molto apprezzato dagli operatori toscani, tanto da <<imporne il mantenimento al restaurato governo lorenese>>, e da generare un commento di tipo molto simile a quelli

circolanti in Francia.111

2. A proposito di Lorenzo Quartieri.