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La successione di Leopoldo II a Ferdinando III non provocò alterazioni avvertibili nell'amministrazione delle cose universitarie. Il nuovo sovrano si limitò infatti, nei primi mesi del proprio potere, ad alcuni normali avvicendamenti, ad esempio nell'anno accademico 1825-26, Federigo Del Rosso successe a Quartieri sulla cattedra di Pandette.

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E. MICHEL, Maestri e scolari dell’Università di Pisa nel Risorgimento nazionale (1815-1870), cit., pp. 15-16.

75 Accanto alle misure di ordinaria amministrazione, Leopoldo II, che aveva avuto tra i propri precettori i due docenti universitari Quartieri e Paoli, concesse nel luglio del 1824 i fondi per alcune opere di sistemazione edilizia, destinate a coinvolgere soprattutto il Giardino botanico e la Biblioteca. Lo stesso Granduca volle ribadire con una serie di motupropri la regolarità del funzionamento dell'Ateneo pisano, non ammettendo eccezioni alla durata quadriennale dei corsi. La richiesta di un personale burocratico, in possesso di maggiori conoscenze tecniche, aveva indirizzato la scelta del legislatore toscano, che accompagnava la nuova modulazione dei curricula per l’ammissione in determinate cariche della pubblica amministrazione, ponendo così alcune evidenti premesse per un legame eminentemente statalistico fra Università e professionalizzazione funzionariale. Nella stessa direzione della trasformazione del corpo docente in un ramo specifico dell'amministrazione pubblica, convergeva nelle intenzioni di Leopoldo II anche l'istituzionalizzazione di quello che si potrebbe definire un trattamento pensionistico. Al di là del manifestarsi delle iniziali insufficienze dell'edilizia universitaria, le due questioni principali che animarono, in questi anni, la struttura accademica furono rappresentate dalla sentita necessità di migliorare la qualità dell'esame di ammissione e dall'adozione dei cosiddetti libri di testo. Riguardo al primo punto venne istruito un processo verbale, firmato dai docenti delle materie letterarie, contenente precise lamentele nei confronti dell'istruzione secondaria, incapace di fornire qualsiasi preparazione. Soprattutto si criticava la scarsa conoscenza della filosofia e della metafisica, giudicate necessarie, invece, sia ai medici che ai legisti, che dovendo <<occuparsi dei rapporti morali e sociali>> rischiavano di scadere in un freddo materialismo, qualora non le avessero sufficientemente possedute; era opportuno pertanto abbandonare il mero formalismo, praticato fino a quel momento, per l'ammissione, imponendo spinose traduzioni scelte dalle orazioni

76 ciceroniane e dai primi sei libri dell'Eneide, il criterio meritocratico tendeva, in questo caso, ad essere sottolineato mediante l'insistenza sull'opportunità di sostituire l'interrogazione sopra passi scelti dal candidato, come era avvenuto fin da allora, con una scelta operata dal docente. Paradossalmente, mentre si andava ormai abbandonando l'uso del latino quale lingua accademica, si tornava ad insistere sul peso delle materie umanistiche come condizione primaria per l'accesso ai corsi e per un miglioramento del livello qualitativo dell'Università, giocato nel ruolo di chiaro rafforzamento di una tradizione politicamente conservatrice. Anche la vicenda dei manuali per i vari corsi è assai probabilmente ascrivibile all'interno della volontà di operare un maggior controllo pubblico sull'istituzione accademica. Dietro la decisione di procedere ad una determinazione preventiva delle opere su cui si sarebbe svolto ciascun esame stavano indubbie motivazioni di regolarità ed uniformità degli itinerari universitari. Nel Collegio legale, unitamente ad un vasto ricorso ai famigerati scritti a penna, più volte qualificati come troppo simili alle dispense dettate, che sottraevano tempo prezioso alle lezioni stesse, si specificava una cerchia ridottissima di titoli, quasi disarmante. Era stato proprio il Provveditore a farsi interprete del desiderio sovrano di rimuovere la pratica della dettatura degli appunti, che tanto peso aveva rivestito nelle consuetudini delle lezioni domestiche. Sproni aveva vietato ai docenti di fornire copia dei loro volumi agli studenti affinché potessero trascriverle e farle circolare, così come aveva proibito la vendita delle stesse pubblicazioni nelle aule della Sapienza, ponendo fine ad un discreto commercio. Neri Corsini, per reagire alle difficoltà che i professori andavano sollevando contro l'adozione dei libri di testo, convinse Leopoldo II ad abbandonare l'abitudine di sovvenzionare la stampa di volumi dei medesimi insegnanti, una delle varie misure di chiaro taglio polemico di questi anni, o meglio ancora di palese subordinazione. Diverse reprimende

77 vennero rivolte nel corso del 1833 ai bidelli, che avrebbero dovuto incarnare sempre più il ruolo di informatori dell'autorità di polizia; nello stesso anno, infine, venivano sottratte le propine a tutti quei professori che non avessero partecipato alle sessioni d'esame. Dunque, si profilava una sorta di lotta sotterranea fra Corsini e una parte del corpo insegnante all'evidente scopo appunto di ridimensionarne il peso, scisso da quello dell'istituzione. Accanto agli Elementa iuris criminalis di Carmignani, rigorosamente in latino, per quanto ne esistessero già alcuni corposi ed aggiornati <<compendi>> in italiano, ritroviamo i Prospetti del ius romano privato di Del Rosso, le Istitutiones iuris canonici di Cantini, l'Hermeneuticae legalis di Quartieri, e gli Elementa iuris civilis di Heinecke. Non stupisce così che proprio al Collegio legale fosse diretto l'invito della Segreteria di Stato di ampliare il novero dei volumi. Dopo aver stabilito la lista dei libri per gli esami, alcune disposizioni toccarono le modalità del loro

stesso svolgimento.99 Il maggior controllo che la Segreteria di Stato

intendeva esercitare sui programmi d'esame si ricollegava almeno in parte al clima di avvertibile tensione politica, diffusosi anche a Pisa in relazione ai fatti rivoluzionari del 1830-31. Era ormai noto infatti che alcuni docenti, tra i quali Giovanni Carmignani, simpatizzassero per le idee liberali, così come si sapeva della presenza di studenti greci e corsi, aderenti a varie sette segrete. Il complesso di questi sospetti sembrò aver fondamento nei primi mesi del 1831, quando partirono da Pisa verso Modena e le Romagne diversi volontari e si diffuse la notizia di un progetto di provocare un'agitazione popolare a Firenze, sorprendendo il Granduca mentre si recava alla Pergola, per costringerlo a concedere la costituzione. Le misure di polizia non tardarono a farsi sentire, numerosi corsi furono allontanati e i toscani che avevano partecipato ai moti di Romagna vennero arrestati appena rimesso piede nel territorio granducale, dunque, l'ordine

78 sembrava ristabilito. È forse questo il momento di massima pressione da parte dell'autorità poliziesca e degli organi periferici del Buon Governo nei confronti della vita universitaria, prima del 1848. E’ questo un complesso di fermenti all'interno di un panorama locale insolitamente agitato da numerosi aristocratici, i cui nomi iniziano a comparire nei verbali di polizia, da funzionari accademici e da

molteplici forestieri.100 Il successivo anno accademico 1831-32 si aprì

in un clima di analoga sorveglianza, voluta fermamente dalla Segreteria di Stato che impose peculiari attenzioni nell'ammettere studenti di nazionalità sospette. In particolare si pretese dai docenti, il cui ruolo era per molti versi ormai identificato con uno status quasi funzionariale, di farsi garanti della regolarità delle loro lezioni, orientando i propri corsi a non trascurare mai un pedagogismo fondato sui <<principi della sana morale, tanto nei rapporti religiosi che civili, onde non incontrare la disistima pubblica e il rigore delle coercitive misure di polizia>>. L'autonomia dei singoli insegnanti riceveva un altro colpo, dopo quello relativo ai programmi d'esame ed ai testi. Nelle indicazioni di Neri Corsini tendeva a profilarsi una concezione dell'Istituzione accademica, dotata di una soggettività autonoma, scissa e aprioristica rispetto al personale che la componeva, ma legittimata invece dalla sua natura di oggetto della Corona. Nella stessa prospettiva si fondevano pertanto elementi di maggiore strutturazione accademica con segni di una subordinazione che limitava l’evoluzione scientifica individuale, costringendola all'interno di un contenitore complessivo, dai tratti illiberali. Tutto ciò era naturalmente condizionato dal rapporto tra corpo docente e potere governativo, che si svolgeva appunto in una chiave politica, secondo cui la necessità di controllare alcuni membri di esso si traduceva in un presupposto ineliminabile nella costruzione dello

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E. MICHEL, Maestri e scolari dell’Università di Pisa nel Risorgimento nazionale (1815-1870), cit., pp. 55-82.

79 stesso sistema universitario. In altre parole, l'Accademia come istituzione avrebbe dovuto scindersi dai suoi singoli membri, passo necessario per una compiuta maturità formale, che aveva lo scopo primario però di sorvegliarne non tanto la capacità scientifica o formativa, quanto piuttosto la <<pericolosità>> politica. Certo è che, la politicizzazione di alcuni docenti rappresentò una variabile determinante nella vita universitaria, accelerando forse quel processo di ancoramento dell'Accademia al Principe, già avviato durante la restaurazione. Nel Collegio legale, il decennio 1825-35 vide una serie di spostamenti interni che non modificarono tuttavia sensibilmente l'impianto generale e la natura dei corsi. Ai ridottissimi mutamenti sul piano del corpo docente, si accompagnò una sostanziale immobilità nel tenore delle lezioni, tendendo ad emergere anche in questo caso una evidente discrasia fra la buona attività pubblicistica di alcuni insegnanti ed il tono di quanto veniva da loro trasfuso nei corsi, rispetto ai quali, per molti versi, lo stesso obbligo di adottare testi d'esame giocava in direzione di un pesante freno all'aggiornamento e di continua ripetitività. Così Grassini e Bonaini perseveravano a trattare di Istituzioni canoniche, affidandosi unicamente al datato manuale del Cantini e, del resto, il secondo aveva una formazione quasi esclusivamente antiquaria. Del Rosso invece, pur attento al dibattito filosofico coevo, ricorreva al volume di Lorenzo Quartieri, sulle Istituzioni dello ius civile, per affrontare l'ermeneutica del Diritto. Dal Borgo si atteneva rigidamente per il Diritto romano allo studio generale di Heinecke, e Cantini non apportava il minimo mutamento alle sue lezioni sulle decretali e sulle costituzioni più celebri dei Sacri canoni. Le sole eccezioni in tale quadro erano rappresentate da Carmignani e Rosini. Il primo riferiva alla scolaresca il frutto dei suoi recenti studi che lo avevano condotto a curare una nuova versione degli Iuris criminalis elementa e a ritornare sul tema della pena di morte e della <<pubblicità>> di essa.

80 Rosini invece pose ad oggetto delle sue lezioni le poesie minori di Tasso, scatenando un'importante polemica letteraria. Erano però, queste due ultime, esperienze singole, in nessun modo riconducibili ad un contesto unitario, secondo quanto avrebbe voluto la Segreteria di Stato con l'adozione dei programmi d'esame, rivelatisi al contrario un infelice soluzione che legittimava un insito carattere stazionario. L'istituzione universitaria continuava ad essere ampiamente secondaria nei confronti della qualità personale dei professori. Era palese l'assoluta mancanza di ogni peso del Collegio in una prospettiva di preparazione professionale: i giuristi che uscivano da Pisa erano dei buoni conoscitori di un Diritto canonico molto teorico e di un Diritto civile altrettanto dottrinario, spesso abbastanza polveroso e superato dal dibattito del tempo. Non avevano, invece, nessuna formazione in materie mercantili, brillando unicamente nelle competenze criminalistiche, dove il ruolo di Carmignani ne usciva più incisivo. Lo stesso linguaggio a cui venivano educati restava totalmente retoricheggiante, imperniato su un complesso di letture di chiara matrice erudita ed antiquaria, forse destinate a rivelarsi utile premessa per una futura scuola storica. Si trattava, in altre parole, di un ordinamento concepito nel clima della restaurazione, o comunque modulato su uno spirito di tal genere, che risultava ormai fuori tempo, al momento in cui tendeva ad avviarsi una differente

collaborazione fra autorità granducale e società civile.101

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CAPITOLO TERZO