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Lorenzo Quartieri 1765 –

1. Dall’interpretatio all’interpretazione Scrive il Quartieri:

<<Il fissare queste leggi, che si dicono civili, appartiene al Sovrano, il farle eseguire ai Magistrati, l’interpretarle ai Giureconsulti, l’adempirne i precetti a tutti i Cittadini>>.160

Inoltre scrive:

<<Definisco l’interpretazione: una operazione dell’intelletto, per cui bene intesa la lettera della legge, se ne cerca e se ne trova lo spirito, per uniformarsi alla mente del legislatore. Se questa si parte dalla sovrana autorità, dicesi Autentica, ed equivale alla legge; se dalla consuetudine di giudicare invalsa nei Tribunali, chiamasi usuale, e sebbene mai non acquisti forza di legge, pure merita sempre somma considerazione; se dal giudizio dei privati Giureconsulti, appellasi dottrinale, ha tanto peso, quanto si trova giusto il raziocinio dell’interprete>>.161

Per autentica il Quartieri intende quando la legge de’ 16 Settembre 1807 determina i casi, nei quali la suprema corte di Cassazione possa o debba domandare al sovrano l’interpretazione dei punti controversi. Per usuale specifica che i magistrati non sono Legislatori ma semplici esecutori della legge; quindi richiama l’art. 5 del Cod. Nap. che proibisce ai Giudici di pronunziare sentenze in via di disposizione generale o di regolamento nelle cause di loro competenza. Per dottrinale individua alcune regole speciali di

160

L. QUARTIERI, Istituzioni di giurisprudenza francese e comparata, I, Pisa, Prosperi, 1812, Proemio, p. 1.

145 interpretazione, che sebbene stabilite per la materia dei contratti possono nonostante servire di norma anche per interpretare le leggi.162

Per interpretazione si intende, oggi, il riconoscimento degli enunciati normativi nel loro significato, mentre nei tempi in cui la cultura giuridica ebbe forma di tradizione romanistica interpretatio fu, in senso pieno, determinazione di precetti, dati altri precetti. L'attività detta interpretatio venne praticata e teorizzata come un fenomeno compreso tra i fatti normativi; oltre l’ovvio riconoscimento degli enunciati, cui si dava il diverso nome di expositio.

L'accezione cognitiva di interpretazione - e specificamente l'accezione ermeneutica - sarà esclusiva negli Stati di diritto, regolati dall'appartenenza delle elementari funzioni pubbliche ad organi contrapposti, coerente al programma di costituzione formale e codificazione. Questo programma reggerà il <<divieto per i giudici di pronunciare in via di disposizione generale>> (art. 5 c. Nap.) e l'incriminazione del <<diniego di giustizia>> (art. 4 c. Nap.): nel regno sabaudo d'Italia, nell'articolo 73 dello Statuto, l'antica parola del linguaggio latino e mediolatino sarà piegata al contesto nuovo, riservandosi <<al potere legislativo>> <<l'interpretazione delle leggi in modo del tutto obbligatorio>> ,la competenza normativa si riserverà al <<capo supremo dello Stato>> ed alle <<due Camere>>; mentre <<il funzionario dell'ordine giudiziario>>, che <<per qualsiasi pretesto, anche di silenzio, oscurità, contraddizione o insufficienza della legge, ometterà o rifiuterà di fare un atto del proprio ufficio>> sarà punito con sanzione penale. L’art. 3, 2° co., prel. 1865 detterà i criteri per l'integrazione della legge, rendendo questa completa nel suo insieme e con ciò escludendo che <<silenzio o insufficienza della legge>> medesima possano mai precludere la decisione.

162 Cfr., Ibid., p. 12.

146 Negli ordinamenti succeduti al vecchio regime, che prendono carattere dall'appartenenza delle fondamentali funzioni pubbliche ad

organi contrapposti, vi sarà obbligatorietà dunque

dell'interpretazione, in quanto momento dell'esercizio della funzione giurisdizionale.

Una storiografia rigorosa dell'interpretazione pone in luce il lento distinguersi di interpretazione da interpretatio, che è il prevalere della visuale cognitivistica sull'impianto originario. Ma questa variazione semantica è quella riforma che, nella costituzione degli Stati europei, segnò l'inizio dell'età moderna. Perciò la storia dell'interpretazione è il variare di questa figura da fatto normativo a momento del pensiero. Il senso medievale di interpretatio (precettivo) e quello moderno di interpretazione (ermeneutico) sono coerenti a due riparti delle funzioni pubbliche variamente connesse alle norme. Il primo prende carattere da quell'esclusiva appartenenza di ogni funzione pubblica al princeps senza distinzione dei campi e degli effetti, il secondo prende carattere dal distinguere e contrapporre gli organi competenti alle diverse funzioni pubbliche

fondamentali.163

La struttura dell’interpretatio differisce da quella dell’attività indirizzata a porre immediatamente precetti, endogena o esogena che sia questa attività per quanto riguarda l'iniziativa. Interpretatio è il fatto normativo di un solo soggetto, sia questi il princeps sia il populus. Una tale attività presuppone una norma vigente e prende questa ad oggetto, modificando non già il disposto, ma l'ipotesi dedotta in precetto, ora ampliandone l'ambito ora limitandolo: ciò cui si daranno i nomi di extensio e di restrictio. Ma un secondo presupposto è complementare al primo: l'assenza di una norma che direttamente disciplini il fenomeno e l’evidenza in questo di un

163

S. CAPRIOLI, Interpretazione nel diritto medioevale e moderno, in <<Digesto delle Discipline Privatistiche IV Ed., Torino, 1993, pp. 13-15.

147 interesse che meriti sanzione, positiva o negativa. Produzione di norme a mezzo di norme è la formula, che meno infelicemente potrebbe tradurre il mediolatino interpretatio. Questa è un fatto normativo, non cognitivo, e cade nel campo della nomopoiesi, non in quello dell'ermeneutica. Il problema esegetico può presentarsi anche

al termine dell’attività detta interpretatio.164

Qualunque riflessione di teoria generale che volesse analizzare l’esperienza di diritto comune non potrebbe prescindere dal prendere in considerazione il problema della “interpretazione delle leggi”, con la avvertenza che il termine mediolatino interpretatio non può essere sic et simpliciter tradotto con l'italiano interpretazione, secondo l'accezione corrente presso i giuristi contemporanei. Questo perché l’interpretatio appartiene alla nomopoiesi e non, come l'odierno interpretazione, alla mera ermeneutica: essa si sostanzia quindi nella produzione di precetti, dati altri precetti, o nella produzione di norme partendo dalle disposizioni contenute nel corpo nei corpora iuris e nei singoli testi che il giurista deve interpretare. Diverso è l'atteggiamento del giurista di diritto comune verso i testi dei corpora iuris rispetto a quelli di diritto statutario: ma soltanto in conseguenza della diversa origine e funzione dei testi da interpretare, gli uni quelli romano-canonici bisognevoli di una forte storicizzazione e dunque di un'opera esegetica, volta a cavar rationes; gli altri, essendo ius novum di recente positum proprio per far fronte alle necessità manifestatesi, meno bisognosi di questa

opera interpretativa del giurista.165

Con l'affacciarsi dello Stato moderno e con il Settecento riformatore, i tentativi del sovrano assoluto sono nella direzione di limitare il più possibile l'attività interpretativa dei giuristi: sembra tornare in auge

164

Ibid., cit., pp. 17-18.

165 A. LANDI, Tra diritto comune e codice civile. Francesco Forti e il problema dell’interpretatio nella Toscana della Restaurazione, in <<Scritti in onore di Antonio Cristiani omaggio della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Pisa>>, Torino, GIappichelli, 2001, pp. 321-322.

148 quella metodologia che sin dall'alto medioevo era stata chiamata expositio, proprio per indicare che essa era rivolta soltanto alla corretta intelligenza del testo, al fine di consentirne l'applicazione. Le codificazioni ottocentesche si muovono generalmente nell'ottica di

ridimensionare il ruolo del giurista166 e presentano un'idea di

interpretazione ben lontana dall’interpretatio dell'esperienza di diritto comune; questa idea è riconducibile a quella dell’expositio, meramente dichiarativa, piuttosto che a quella dell’interpretatio, di

fatto creativa.167

I fallimenti dei tentativi di codificazione in Toscana, che a partire dall'avvento dei Lorena sul trono granducale, avevano interessato gli ultimi cento anni, un po' dappertutto, con esiti diversi, avevano interessato l'Europa dell'Assolutismo illuminato.

Rispetto agli altri Stati italiani però l'esperienza giuridica toscana denotava alcune sue proprie peculiarità. Intanto si riscontrava una forte accentuazione del carattere giurisprudenziale del sistema, con magistrature autorevoli e di fatto forse perché affidate a giuristi di buona formazione e levatura capaci di funzionare. Ciò comportava l'assenza nell'opinione pubblica Toscana di quegli aspetti fortemente critici nei confronti della giurisprudenza in generale, e di quella decidente in particolare.

Il collegamento dei giuristi toscani, con le riforme leopoldine, rappresentava ancoraggio alla migliore tradizione del diritto

comune.168 In questo contesto un eventuale codice poteva essere

concepito come “frutto di una buona giurisprudenza” dunque diretta filiazione di quella giurisprudenza decidente che proprio il codice avrebbe dovuto ridimensionare, per poi confinarla nell'ambito della

166

P. ALVAZZI DEL FRATE, L’interpretazione autentica nel XVIII secolo. Divieto di interpretatio “riferimento al legislatore” nell’illuminismo giuridico, Torino, Giappichelli, 2000, pp. 56-90.

167

A. LANDI, Tra diritto comune e codice civile. Francesco Forti e il problema dell’interpretatio nella Toscana della Restaurazione, cit., p. 322.

149 mera esegesi, togliendole ogni rilevanza nell'ambito delle fonti di produzione del diritto.

Altrove un “codice giurisprudenziale”, nel senso di codice, appunto, originato dalla giurisprudenza, avrebbe suonato come un ossimoro, se non come una vera e propria contraddizione in termini: ma in

Toscana no.169 Qui vi fu un rifiuto da parte della giurisprudenza

stessa, anche ad opera della dottrina che non si entusiasmò dei modelli codicistici d'Oltralpe, di ridurre il diritto alla sola dimensione legale, in ciò procedendo in direzione contraria rispetto a quella cui si assisteva nella gran parte dei paesi d'Europa.

Con la transizione dal diritto comune al codice si produsse in tutta Europa il passaggio da un diritto non solo sostanzialmente ma ormai anche formalmente giurisprudenziale, a un diritto formalmente solo

legale.170 Un passaggio, quello verso il legalismo, che interessò, anche

la Germania, sotto l'impero dottrinale della Scuola storica. Questa scuola infatti, nel suo disegno di creazione di un sistema scientificamente fondato del diritto, postulava l'abolizione del diritto giurisprudenziale dell'età di mezzo (si pensi alla sua critica verso l’Usus modernus Pandectarum) ed il ritorno allo studio dei testi romani originali, con i quali piegare, mediante la costruzione di una dogmatica giuridica, tutti i singoli fatti.

La dottrina toscana sembrava preferire alla codificazione la costruzione per così dire pre-pandettistica di “principi” nell'ambito di un quadro giuridico di indubbia complessità, riservare una grande attenzione all'interpretazione, percepita come aspetto essenziale della scientia iuris non solo nel momento “patologico” dell'ambiguità od oscurità del testo legislativo, ma tematizzata soprattutto come

169 F. COLAO, Progetti di codificazione civile nella Toscana della Restaurazione, Bologna, Monduzzi, 1999.

170

A. LANDI, Tra diritto comune e codice civile. Francesco Forti e il problema dell’interpretatio nella Toscana della Restaurazione, cit., pp. 324-325.

150 strumento insostituibile ai fini della comprensione dell'intima ratio legis.171

Era dunque una dottrina capace di rifuggire dal formalismo giuridico, secondo una tradizione che risaliva nel tempo, fino ai discepoli

dell’Averani e a quella giurisprudenza utile e soda172 che già agli inizi

del settecento veniva auspicata dagli spiriti innovatori dell'Università di Pisa. Diffidenza verso le astruserie, attenzione alla pratica partendo però da saldi principi scientifici e dallo studio di testi della compilazione giustinianea scientificamente vagliati e ritenuti affidabili, rifiuto dei filosofemi e di una scientia iuris chiusa nelle proprie elucubrazioni sono soltanto alcune delle caratteristiche dei giuristi toscani che fioriti nel Settecento, lasciarono il testimone alla

dottrina toscana ottocentesca, influenzandola profondamente.173

E’ proprio con Lorenzo Quartieri che si incontra una trattazione ex professo della interpretatio, negli anni cruciali della Toscana “infrancesata”; la sua celebre Hermeneutica legalis dove è compiutamente compendiata la tradizione interpretativa del diritto comune in Toscana risale al 1820, ma già le sue Istituzioni di giurisprudenza romana e il francese comparata, risalenti al 1812 e scritte in qualità di “Professore di Codice Napoleone nell'Imperiale Accademia di Pisa”, danno un esempio della specifica strada toscana dell’interpretatio, con quell'accenno al dovizioso tesoro del Diritto Romano, considerato non come legge, ma come ragione scritta174, da utilizzare quale “valvola del sistema giuridico”, in caso di lacune dell'ordinamento e segnatamente della disciplina codicistica. È convincente quanto osserva Enrico Spagnesi a proposito di questa particolarità rispetto alle tendenze dottrinali italiane incanalate verso

171

F. COLAO, Progetti di codificazione civile nella Toscana della Restaurazione, cit., pp. 4-5.

172 Cfr. E. SPAGNESI, Il Diritto, cit., p. 467. 173

A. LANDI, Tra diritto comune e codice civile. Francesco Forti e il problema dell’interpretatio nella Toscana della Restaurazione, cit., p. 325.

151 i sentieri dell'esegesi, laddove, contraddicendo il Tarello, asserisce che l'impostazione data dal Quartieri al divieto del diniego di giustizia mediante il riferimento alla ratio scripta romanistica, è la conseguenza di ben diversa educazione, rispetto ai francesi, nella maniera di concepire il diritto. Il Quartieri aveva rappresentato in età napoleonica, infatti, un tentativo di resistenza allo strapotere degli esegeti francesi175 e nella successiva età della Restaurazione poteva riallacciarsi alla tradizione del diritto comune del Granducato, tradizione assai diversa da quella propugnata dalla Scuola storica

tedesca di Savigny.176

Nonostante il lungo soggiorno fiorentino, Savigny non ebbe modo di visitare altre località del Granducato, né assistere alle lezioni nelle sedi universitarie, sicché le notizie derivano dai cataloghi delle lezioni dell'anno accademico 1824-25 e soprattutto dalle informazioni ricevute da un noto studioso, che si era addottorato a Pisa: Pietro Capei.

Significativa era la situazione degli studi giuridici nel Granducato di

Toscana durante gli anni centrali della Restaurazione177: a Firenze

un'università vera e propria non esisteva; a Pisa, maggiore ateneo del

Granducato,178 emergeva nella persona del penalista Giovanni

Carmignani, Savigny mostra considerazione anche se non lo conobbe personalmente, come si evince da uno scambio di lettere. I rapporti tra i due studiosi si incentrano soprattutto sull'interesse dimostrato da Carmignani di ricevere suggerimenti inerenti alla riforma degli studi universitari, intesi a offrire un quadro esaustivo dell'insegnamento giuridico nelle principali università europee. La riforma fu più lunga del previsto, per l'opposizione da un lato dei

175 E. SPAGNESI, Il Diritto, cit., pp. 504-505. 176

A. LANDI, Tra diritto comune e codice civile. Francesco Forti e il problema dell’interpretatio nella Toscana della Restaurazione, cit., p. 327.

177 L. MOSCATI, Italienische Reise. Savigny e la scienza giuridica della restaurazione, Viella, Roma, 2000, p. 73.

178

E. MICHEL, Maestri e scolari dell’Università di Pisa (1815-1870), cit. e D. BARSANTI, L’Università di Pisa dal 1800 al 1860, cit.

152 professori più anziani, che non vedevano positivamente l'istituzione di un numero elevato di nuove cattedre, dall'altro lato di alcuni dei più giovani, tra cui Pietro Capei, che invece non considerava con favore l'istituzione di una cattedra di storia del diritto intesa come studio di antiquitates iuris e non come mezzo per conoscere e approfondire il diritto vigente.

Per quanto attiene alla Sapienza Pisana, Savigny dà una sommaria descrizione dei corsi: è noto, del resto, che egli era attratto

soprattutto dagli insegnamenti di Diritto romano e di Pandette.179 Dei

romanisti gli unici che avrebbero potuto destare il suo interesse

erano Lorenzo Quartieri e Federigo Del Rosso.180 Il primo,

riconosciuto valido nell'insegnamento da alcuni alunni quali ad esempio Francesco Forti, viene indicato da Savigny come professore di Pandette secondo il catalogo del 1824; in realtà, nell'anno del soggiorno di Savigny, Quartieri aveva già lasciato tale insegnamento a Federigo Del Rosso, docente fino ad allora di Istituzioni canoniche. Negli anni dedicati alle lezioni di Codice Napoleone prima, di Pandette poi, Quartieri aveva spiegato le più significative rubriche del Corpus Iuris giustinianeo con particolare riguardo alla dottrina delle

obbligazioni181 e si era già distinto per i volumi di giurisprudenza

comparata, che magnificavano le leggi romane ed erano usati dalla pratica legale del tempo. In essi Quartieri si limita, esaltando la struttura del diritto privato romano, a porre in luce i punti di dissonanza del Codice Napoleone allora vigente: anche se <<le leggi Romane debbano essere l'ultima a determinare il giudizio del magistrato, pure trattandosi non di eseguire, ma di insegnare, sono le

179

L. MOSCATI, Italienische Reise. Savigny e la scienza giuridica della restaurazione, cit., pp. 73-75.

180

Per un panorama generale, si veda F. BUONAMICI, Della scuola pisana del diritto romano o dei più chiari professori di diritto romano dell’Università di Pisa dall’origine al 1870, in <<Annali delle Università toscane>>, XIII (1874), parte I, 1-32; parte II, 1-19.

181

L. MOSCATI, Italienische Reise. Savigny e la scienza giuridica della restaurazione, cit., p. 75.

153 prime […] a trionfare nelle scuole per la perfezione del vero Giureconsulto, che voglia distinguersi nella onorata carriera della scienza legale e sollevarsi con gloria sopra la folla volgare degli legulej>>.182 Ma la fama di Quartieri si deve non tanto alle erudite

dissertazioni di dogmatica giuridica,183 quanto a un breve trattato di

ermeneutica legale sulla base delle massime del diritto romano, non lungo, chiaro, avente ben disposte le sue parti, ricco di note e di esempi testuali, acconcio alla pratica, frequentemente adoperato

nelle contese di interpretazione giuridica,184 è l'opera che, sopra le

altre sue, lo fa rammentare.

Sulla cattedra di Pandette nel 1825, succedendo al Quartieri, salì Federigo Del Rosso di Buti. Nell'anno accademico 1826-27 Del Rosso aveva iniziato il corso con alcune lezioni dedicate all'ermeneutica legale, basandosi per le prime due parti su propri appunti, per la terza sul testo già ricordato di Quartieri. Nel trattare il tema delle obbligazioni, Del Rosso aveva come riferimento l'opera di Pothier, mentre per la teoria delle istituzioni giudiziarie si atteneva ad annotazioni personali. Si sa che spesso integrava l'insegnamento ricevendo gli studenti a casa, distinti nei vari gradi di preparazione e << a turni di quaranta giovani per sera per esercitarsi in discussioni e studi legali>>.185

Savigny si sofferma poi sul piano generale degli studi giuridici, sul quale non muove rilievi: quel che non tollera, invece è quanto succede nel corso di Pandette. Il docente dovrebbe scegliere ogni anno i titoli più importanti del Digesto, del Codice e delle Novelle,

182

L. QUARTIERI, Istituzioni di giurisprudenza francese e comparata, cit., p. 8. 183

Id., De meliorationibus disquisitio, Pisis, 1805; Id., Prolusio publice habita VI, idus Maii anni MDCCCIXV, Pisis, 1814: si tratta della dissertazione per l’apertura al corso di Pandette.

184

Id., Hermeneutacae legalis libri IV, Pisis, 1820; in seguito l’opera fu rivista e approfondita: Illustrazioni speciali de’ varij punti della ermeneutica legale, Pisa, 1832.

185

L. MOSCATI, Italienische Reise. Savigny e la scienza giuridica della restaurazione, cit., pp. 76-77.

154 <<fissarsi sui testi più noti e più contraddetti, ed esporre le regole della ermeneutica>>; in realtà

le intere Pandette riduconsi ad alcune povere esposizioni arbitrariamente scelte e sconnesse. Sicché […] sarebbe impossibile anche al giovine più studioso apprendere qualche cosa di importante nella Università, e quando ciò avvenisse, lo sarebbe fortuitamente per studi posteriori e privati, ai quali mancherebbe però ogni bene avvisata direzione.186

Quindi dalle informazioni ricevute da Savigny si desume che le Pandette venivano ancora esposte ed pedestremente sia nella scelta dell'argomento, sia nella trattazione senza dare alla materia né uno sviluppo completo né una sistematica. A Savigny sembrava inconcepibile che proprio in Toscana, nuovamente terra di diritto comune dopo la parentesi napoleonica, forse insegnato in maniera inadeguata il diritto romano, unica fonte legislativa accanto alle leggi

granducali, peraltro scarne per quanto riguardava il diritto privato.187

Singolare anche il fatto che Savigny non abbia avuto rapporti culturali con il giovane Francesco Forti, allora ventenne e appena laureato nell'università pisana, in seguito eminente figura di studioso scomparso assai presto, magistrato insigne, che ebbe una fortissima propensione pedagogica come dimostra la sua opera postuma formulata con il precipuo scopo di formare il giurista nell'esercizio della pratica forense. Né va dimenticato che il cosiddetto piano di studi scritto da Forti durante il terzo anno universitario, peraltro di grande interesse per il maestro tedesco soprattutto nella parte dedicata alla legislazione, aveva avuto una vasta circolazione nell'ambiente culturale fiorentino proprio nel periodo del soggiorno di Savigny.

Del pari singolare risulta l'atteggiamento di Forti che, preparando le sue Istituzioni civili alla metà degli anni trenta, non menziona le

186

E. SPAGNESI, Il Diritto, cit., p. 511. 187

L. MOSCATI, Italienische Reise. Savigny e la scienza giuridica della restaurazione, cit., p. 82.

155 scoperte più significative del periodo e non sembra condividere i dettami della Scuola storica del diritto, ormai chiaramente percepiti