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Lorenzo Quartieri 1765 –

3. L’Ordine di S Stefano.

3.2. Il granduca Ferdinando III: la rinascita dell’Ordine di S Stefano.

Il granduca Ferdinando III, dopo il suo ritorno a Firenze, avvenuto il 17 settembre 1814, fece passare solo circa 11 mesi per annunciare, il 15 agosto 1815, la rinascita dell'Ordine dei Cavalieri di S. Stefano. Ciò mostra quale alto valore attribuiva a quell'Ordine, due anni dopo si

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F. ANGIOLINI, L’Ordine di S. Stefano negli anni della Reggenza (1737-1765), cit., pp. 37-46.

124 era di fatto ripristinato l'Ordine con motu proprio del 22 dicembre 1817.

Già a 22 anni – dopo Francesco e Pietro Leopoldo – terzo lorenese, aveva assunto sul trono fiorentino l'eredità di suo padre quale granduca di Toscana. Questo grande compito gli fu trasmesso dopo che Pietro Leopoldo, nel 1790, era succeduto al fratello Giuseppe II come sovrano sulla terra ereditaria asburgica e, in seguito, come Leopoldo II imperatore del Sacro Romano Impero. Immediatamente dopo il suo solenne insediamento a Firenze dell'8 aprile 1791, Ferdinando III assunse da suo padre anche la Croce di Gran Maestro dell'Ordine di S. Stefano.

Tra il 1791 e l'autunno del 1817 si profila un periodo di grandi eventi drammatici sia per il granduca che per la Toscana e per l’Ordine. Lo scoppio della rivoluzione francese e i moti controrivoluzionari in una Toscana fino ad allora così <<dolce e mite>>, quali forme di protesta contro le riforme economiche e, soprattutto, religiose, di Pietro Leopoldo nel 1790, dovevano interpretarsi come segni dell'inizio di una nuova epoca. Tuttavia Ferdinando III, nei primi anni della sua signoria in Toscana, rinnovata nel 1814, condusse l'Ordine senza alcuna difficoltà, come se nel mondo nulla fosse cambiato. Egli seppe ben tenersi sulla stessa linea dei suoi due antenati e predecessori sul trono fiorentino. Fu il nonno di Ferdinando III, Francesco Stefano, il marito di Maria Teresa, che mise definitivamente fuori servizio le galee dell'Ordine, tecnicamente superate, assegnando ai Cavalieri di S. Stefano un contributo, piuttosto modesto, nell'ambito della piccola flotta di navi da guerra a vela della Toscana. Tuttavia, l'intelligente uomo di finanza riorganizzò sul trono imperiale la posizione dell'Ordine.

Il padre di Ferdinando, Pietro Leopoldo, il grande principe dell'Illuminismo, lasciò in eredità a suo figlio un serio riordinamento

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dell'<<Istituto Carovanistico>> emanato nel 1775.141 A questa scuola

furono assegnati nuovi obiettivi. Essa non doveva perfezionare le nuove generazioni per la Marina da guerra, ma servire a <<promuovere nei giovani cavalieri la buona cultura e le scienze, ed a formarsi in loro dei cittadini abili a servire la Religione e la Patria>>. Inoltre, la rigorosa istruzione quadriennale dei <<Paggi Magistrali>> servì come reclutamento per l'Ordine e per il servizio statale di Pietro Leopoldo, l'<<educatore del suo popolo>>. Infine, Ferdinando III, assunse da Pietro Leopoldo, nel segno dell'assolutismo illuminato,

anche la severa organizzazione interna dell'Ordine.142

È sorprendente che, Ferdinando III, proprio nel settembre 1795, stimasse come urgentemente necessario l'emanazione di un <<Regolamento sulle uniformi dei Cavalieri dell'Ordine>>, in un momento in cui gli eserciti rivoluzionari francesi, respinte le armate dei grandi Stati conservatori ed inflitta agli alleati, a Tolone, una micidiale sconfitta, incominciavano a rappresentare una minaccia per l'Italia con il loro ingresso nel territorio genovese. Ma Firenze si aggrappava ad una neutralità solennemente dichiarata, anche dopo che la Francia aveva minacciato di intervenire, e lo fece sul serio,

occupando Livorno, mettendo in fuga gli inglesi. 143 All'inizio del 1797

Seratti credette giunto il momento giusto di emanare dei <<Provvedimenti>> per la scelta e l’educazione dei Carovanisti e di esigere da loro una sufficiente conoscenza della lingua latina. Il desiderio degli allievi di perfezionarsi militarmente, fu respinto perché considerato <<non opportuno>>.144

Ciò era tipico dell'atteggiamento di Ferdinando III di fronte alla questione della sicurezza del paese all'esterno. Come suo padre

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G. GUARNIERI, L’Ordine di Santo Stefano nei suoi aspetti organizzativi sotto il Gran Magistero Lorenese, Pisa, Giardini, 1965, pp. 74-83.

142 Ibid., pp. 94-96. 143

F. PESENDORFER, Ferdinando III e la Toscana in età Napoleonica, Firenze, Sansoni, 1986, pp. 153-184.

126 Pietro Leopoldo, anch’egli credeva che bastasse annunciare solennemente la neutralità per poter vivere in pace. Il granduca non pensò affatto alla mobilitazione di forze a difesa dei confini e delle coste. Così anche il potenziale militare dell'ordine di S. Stefano rimase inutilizzato. Ben presto seguì una seconda invasione francese, che aveva più il carattere di una ricognizione militare; Firenze non fu toccata e presto tutto finì. Poco dopo, però, la cosa si fece seria: dopo l'entrata in Toscana con l'obiettivo Firenze, il generale Gaultier, il 26 marzo 1799, ordinò a Ferdinando III di lasciare il paese entro 24 ore. Questi prese soltanto un quadro di Raffaello e una Madonna con il Bambino Gesù; mentre le insegne dell'Ordine del Gran Maestro, nella precipitosa partenza del Principe, rimasero al loro posto.

Ferdinando III, anche durante i molti anni del suo esilio, non fece mai valere un suo diritto su di esse - e quindi sulla conduzione dell'Ordine - né durante il suo soggiorno a Vienna, e neppure quale principe elettore di Salisburgo e granduca di Würzburg. Il deposto granduca di Toscana della casa Asburgo-Lorena non protestò nemmeno quando Napoleone, il 4 ottobre 1801, a Firenze, fece consegnare al parmense principe ereditario Ludovico I, quale re d'Etruria, la Gran Croce di Gran Maestro, di Rettore della Chiesa dell'Ordine (chiesa conventuale); e neppure, dopo la precoce scomparsa del re, il di lui figlio di soli quattro anni, Carlo Ludovico, sotto la tutela e la reggenza della madre Maria Luisa, il 12 giugno 1803 ricevette la Croce di Gran Maestro, il lorenese, dal suo esilio, non prese nuovamente alcuna posizione contraria. È questa una prova evidente che Ferdinando III subordinava la conduzione dell'Ordine alle funzioni della signoria toscana. Ma anche negli anni successivi la Reggente, mentre tenacemente combatteva per il suo diritto sulla Toscana, in occasione del Congresso di Vienna, contrastava a Ferdinando III la presa di possesso del paese, per accontentarsi solo anni dopo di Lucca e del suo diritto su Parma, non fece, però, mai valere il titolo di Gran

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Maestro di suo figlio145, e nel 1817, non sollevò alcuna obiezione in

nome del figlio, quando Ferdinando III assunse di nuovo le funzioni di Gran Maestro. Tanto lei che il figlio Carlo Ludovico erano ben lontani dal tentativo di assumere, dall’esilio in Francia, poi a Roma e, dopo la caduta di Napoleone, da Lucca, la conduzione dell'Ordine.

Dopo la partenza dei Borboni e l'inserimento della Toscana nell'Impero francese, l’Ordine si trovò praticamente senza guida e,

quindi, condannato alla passività.146

L'Ordine era nato grazie ad una iniziativa di Cosimo I; ed era stata la più alta istanza della Chiesa cattolica, papa Pio IV, a convalidarlo il 1 febbraio 1562 e ad approvarne gli statuti. Non esiste, quindi, alcun dubbio che l'Ordine non poteva essere soppresso con un atto unilaterale giuridicamente valido, senza il concorso ed il consenso

della Chiesa.147

Napoleone I, allora all'apice della sua potenza, non si dette premura di chiedere l'assenso di Pio VII. Il problema dell'Ordine di S. Stefano era per la Chiesa del tutto secondario: sullo Stato pontificio incombeva la minaccia di annessione all'Impero francese, ciò che avvenne poco dopo, nel 1810.

Tanto meno di Pio VII, poteva Ferdinando III cercar di salvare, nel 1809, l'Ordine di S. Stefano dallo scioglimento. Come granduca dell'ex Arcivescovado di Würzburg egli poteva ricorrere al favore di Napoleone I, di cui fin dal 1796, godeva in non lieve misura. Senza esitare Ferdinando istituì a Würzburg l'ordine di S. Giuseppe, conferendo all'Imperatore la sua massima onorificenza, ricevendo in cambio, come segno di amicizia, la croce della Legion d'Onore. Al suo

ritorno a Firenze il granduca mantenne questo ordine dinastico.148

145

F. PESENDORFER, Ferdinando III, cit., pp. 485-495.

146 R. BERNARDINI, Notizie storiche sul Palazzo, in Il Palazzo del Consiglio dei Dodici del Sacro Militare Ordine dei Cavalieri di S. Stefano, Pisa, Zannini, 1987, p. 156. 147

E. NASALLI ROCCA, Ordini cavallereschi ”dinastici” e Stati “successori”, in <<Archivio giuridico>>, vol. CXXXVIII (1950), p. 158.

128 Così la Toscana, con il risorgere nel 1817 dell'organizzazione pisana, fu in possesso di due ordini cavallereschi con storia e strutture giuridiche diverse.

Quali motivi mossero Ferdinando III a rimettere in vita l'Ordine di S. Stefano? Un memorandum, che fu presentato al granduca poco tempo dopo il ritorno nella <<sua Toscana>>, cita tutti gli argomenti

in favore dell'Ordine149: il decreto napoleonico di soppressione del

1809 è giuridicamente sospetto, perché disposto senza il consenso della Chiesa; il tentativo dello Stato napoleonico di appropriarsi dei beni dell'Ordine, e poiché questi beni si trovavano, per la maggior parte, in Toscana, la possibilità di restituzione o di indennizzo; le possibilità per le famiglie benemerite ed agiate di acquistare un titolo nobiliare; i vantaggi dell'Ordine per lo Stato, in tempi passati come organizzatore della marina da guerra; la concessione di crediti allo stato in tempi di calamità, ecc.

Ferdinando III si lasciò convincere: nel suo motu proprio del 1817 egli si attenne alla linea di suo padre. Accordò all'Ordine un compito con un indirizzo diverso, quale quello di educare una élite che si rendesse benemerita per le sue capacità distintive. All’Ordine venne assegnata una notevole somma per la dotazione dei cavalieri e per le spese di amministrazione dalle casse dello Stato. Come ai vecchi tempi, è prevista nuovamente la fondazione di commende di patronato; si tratta di beni di determinate entità che, secondo regole precise, passano ai discendenti maschi, delle cui commende tocca all’Ordine una ulteriore assegnazione.

Ferdinando III, in questo motu proprio, cercò di tutelare la continuità e di cambiare gli Statuti solo quando era necessariamente inevitabile. Su di un punto di grande importanza Ferdinando III non poté decidersi: quello di accogliere nuovamente la tradizione di Pietro Leopoldo. Egli lasciò in sospeso fino alla sua morte la rinascita della

129 scuola dell'Ordine, la Carovana, e, con essa, la cosiddetta <<Anzianità>>150, le disposizioni, cioè, in base alle quali il rendimento scolastico ed il comportamento erano un criterio per il diritto alle Commende.

Un anno dopo la morte di Ferdinando III (1824), nella segreteria di Gabinetto del granduca Leopoldo II, fu preparata una bozza di legge, con cui la Carovana e l’Anzianità dovevano essere rifondate, progetto, però, rimasto fermo per più di vent'anni.

Il risorto Ordine, non avendo alcuna sua scuola, fu costretto a concentrarsi sulle commende e sul mantenimento delle Chiese dell'Ordine. Il governo granducale emanò precise disposizioni al fine di impedire ogni abuso commendizio. Ciò era urgentemente necessario, essendo pervenute numerose istanze di fondazione e di ripristino di commende, molte delle quali da famiglie nobili toscane. Il severo esame delle istanze non prendeva in alcuna considerazione né titoli né gradi di notorietà del candidato.

Pure la maggior parte delle istanze di rifondazione o di rinnovamento delle commende esistenti prima del divieto napoleonico del 1809, resistette alle indagini più accurate. Gran parte delle commende erano, del resto, reperibili al di fuori della Toscana. Il <<Libro di patrie dei Cavalieri>> rinnovato il 1 gennaio 1818 cita - per nominare solo alcune città fuori d'Italia – commende in Anversa, Bruxelles, Dresda, Lubiana, Metz, Monaco, Praga, Vienna. Con ciò era tutelata l'internazionalità dell'Ordine.

Certamente il centro di gravitazione si trovava in Toscana.151

Che cosa è rimasto dell'operato di questo granduca Ferdinando III?

150

M. BERNOCCHI, Proposta di ripristino dell’Istituto della Carovana e metodo pedagogico dell’Ordine di S. Stefano Papa e Martire, in <<Quaderni stefaniani>>, supplemento, IV (1985), pp. 11-21.

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F. PESENDORFER, Il granduca Ferdinando III: la rinascita dell’Ordine di S. Stefano, in <<L’Ordine di S. Stefano nella Toscana dei Lorena>>. Atti del convegno Pisa 19-20 maggio 1989, Roma, 1992, pp. 67-68.

130 Da tempo la storiografia ha riesaminato il modello di <<debole figlio di un grande padre>>. Questo nobile e degno sovrano, in 25 anni, pur in mezzo a rivoluzioni, guerre, riordinamenti politico-statali, ha cercato di adempiere ai suoi doveri con grande fermezza. Gli stessi rivoluzionari, non ultimo Napoleone, gli dimostrarono, per questo, la loro stima.

Negli ex arcivescovadi di Salisburgo e di Würzburg, che egli, durante il suo esilio, resse come primo sovrano laico, si seppe apprezzare il suo modo di governare, nonostante i pericoli, piccoli Stati di una parte del mondo scossa dalle guerre.

Nella Toscana si ricorda la prudenza con cui Ferdinando III, dopo il suo ritorno, seppe legare il vecchio con il nuovo: la rinascita dell'Ordine di S. Stefano ne è prova significativa. Delle molteplici iniziative di Ferdinando III nell'ambito dell'Ordine di S. Stefano e della città di Pisa, sua sede ab antiquo, è palese testimonianza ancor oggi

la scala esterna del palazzo della Carovana.152

Il punto fondamentale è quello di aver Ferdinando III rimesso in vita, dopo nove anni di interruzione, l'Ordine di S. Stefano, e di avergli lui per primo e suo figlio Leopoldo II dopo, accordato il suo appoggio

fino al 1859, consentendone, per tutto il tempo, la continuità.153

3.3. L’Ordine di S. Stefano nella Toscana di Leopoldo II (1824-1859).