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L’anoressia come “disturbo etnico”

Lo psicoanalista e antropologo Georges Devereux afferma che esistono delle complesse relazioni tra cultura e psicopatologia, così che certi disturbi psicologici possono divenire espressioni centrali delle angosce e delle tensioni che rappresentano il tratto distintivo di una particolare cultura o di un determinato periodo storico.

Il termine chiave attraverso il quale egli esprime tale concetto è quello di

“disturbo etnico”, dove l’aggettivo “etnico” sta per “tipico di una cultura”.

Devereux si era occupato di patologie psichiche scoperte da alcuni etnologi all’interno di società non occidentali. Tra queste “sindromi culturalmente caratterizzate” vi erano l’amok, una forma di violenza omicida diffusa soprattutto nel Sudest asiatico e il latah, una sindrome da terrore rilevata nella popolazione femminile del Sud del Pacifico. Tuttavia, il suo interesse si estendeva al di là di questi argomenti, in quanto egli si sforzava di comprendere l’ambito della psicopatologia occidentale, applicando il concetto di disturbo etnico alla schizofrenia e ai disturbi ossessivo-compulsivi.

Secondo Devereux, un disturbo etnico è una forma di malattia che, in virtù di dinamiche proprie, arriva ad esprimere le contraddizioni cruciali e le angosce esistenziali di una determinata società.

In un suo famoso saggio sul rapporto tra normalità e anormalità, Devereux enumera una serie di criteri che permettono di qualificare una sindrome come disturbo etnico: 10

1. Il disturbo si sviluppa più frequentemente nella cultura in questione, rispetto ad altri tipi di patologia psichica.

2. Se esiste una certa continuità tra i sintomi del disturbo e gli elementi

“normali” della cultura, il disturbo costituisce l’espressione intensa di forme precliniche.

3. Il disturbo mostra conflitti fondamentali e tensioni patologiche normalmente diffuse nella popolazione che però, a livello dei singoli individui, possono svilupparsi verso forme acute di ansia e arrivare ad innescare alcuni meccanismi di difesa.

4. Il disturbo è la tappa finale per l’espressione di un disagio psichico e di una grande varietà di problemi personali.

10 Gordon riporta questi criteri dall’opera di Georges Devereux, Normal and abnormal, Universuty of Chicago Press, in Gordon R. (1990), Anoressia e bulimia. Anatomia di un’epidemia sociale, Raffaello Cortina, Milano, 20042, p. 8

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5. I sintomi non sono solo l’estensione di atteggiamenti normali e ricorrenti, ma includono spesso comportamenti che, in situazioni normali, vengono considerati altamente positivi.

6. Il disturbo è un disordine fortemente strutturato, che dà la possibilità a chi lo attua di comportarsi in modo deviante, pur rimanendo in un certo senso all’interno di ciò che è socialmente accettato.

7. Poiché il disturbo si fonda su comportamenti apprezzati, ma costituisce al tempo stesso un’espressione di devianza, provoca negli altri risposte ambivalenti: da una parte timore e rispetto, dall’altra invece, reazioni negative e di controllo della devianza. In questo modo, il disturbo acquista una certa notorietà all’interno della cultura e sviluppa un suo particolare modo di proporsi.

Utilizzando come quadro di riferimento il concetto di disturbo etnico proposto da Devereux, Richard Gordon esplora i fattori socio-culturali che sono alla base dell’aumento dei casi di anoressia nel nostro tempo.

Secondo l’autore, si può sicuramente definire l’anoressia come un disturbo etnico, in quanto in essa ritroviamo le caratteristiche elencate da Devereux.

Infatti, l’anoressia esprime, a livello sintomatico, le contraddizioni presenti nell’identità femminile all’interno della società contemporanea.

Secondo Gordon, il valore attribuito dalla società alle diete e al controllo del cibo viene usato dalla persona anoressica come una difesa, che permette di sfuggire ad un disagio interiore ritenuto intollerabile, il quale, nella maggior parte dei casi, ruota intorno al problema dell’identità.

Devereux afferma che i sintomi di un disturbo etnico rappresentano l’esagerazione dei valori dominanti in una certa cultura e che pertanto costituiscono sia un’affermazione, sia una sconfessione di tali valori.

Perciò, la risposta sociale nei confronti del disturbo è ambivalente. Da una parte, coloro che ne sono affetti suscitano ammirazione, dall’altra vengono invece considerati dei devianti o dei ribelli.

A questo proposito, Hilde Bruch ha rilevato che le persone anoressiche incutono rispetto, ma anche timore, a causa dell’universalità della paura umana per la fame; coloro che se la procurano volontariamente suscitano sentimenti ambivalenti di ammirazione e di terrore al tempo stesso.

Eppure, pur sapendo di provocare tali sentimenti, le pazienti anoressiche ammettono spesso la segreta gratificazione che provano quando sentono di essere temute e al tempo stesso ammirate. Il disturbo diviene infatti una parte importante della loro identità. Come ha osservato una paziente della Bruch, ella non avrebbe mai potuto rinunciare alla sua malattia, perché altrimenti si sarebbe sentita “niente.” 11

11 Si veda il caso di Betty in Bruch H., (1988), Anoressia. Casi Clinici, Raffaello Cortina, Milano, 1988, p. 49

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Descrivendola, la terapeuta afferma che «il non mangiare le dava potere; ogni chilo perduto era come un tesoro che andava ad aggiungersi al suo potere e da questo accumulo di potere le derivava un peso di tipo diverso, il diritto di essere riconosciuta come individuo.»

L’anoressia ha anche una connotazione politica, perché è strettamente connessa alla questione della femminilità e della conformità agli standard di bellezza tipici della cultura occidentale e per tanto è stata spesso utilizzata in nome della causa femminista.

L’emaciazione delle anoressiche funge da caricatura delle richieste irrealistiche di magrezza proprie della cultura moderna,12 proprio perché ne rappresenta l’adesione estrema.

Da questo punto di vista, si potrebbe dire che una delle funzioni culturali dell’anoressia è stata ed è tuttora quella di provocare una discussione sui rischi legati ai regimi dietetici, esattamente come l’isteria provocò, a suo tempo, una critica della repressione sessuale femminile.

Si tratta dunque di una patologia che ha acquisito una certa notorietà all’interno del mondo occidentale e anche questa caratteristica è annoverata da Devereux tra i criteri per qualificare un disturbo come etnico.

Egli definisce i sintomi etnici come “comportamenti sociali anti-sociali,”

perché permettono all’individuo di adottare comportamenti antisociali secondo

12 E’ possibile approfondire questo concetto in I. Story, “Caricature and impersonating in other:

Observations from the psychotherapy of anorexia nervosa”, in Psychiatry, 39, 1976, pp. 176-188

una modalità socialmente approvata. Gordon fa notare che ciò avviene anche nel caso dell’anoressia.

In effetti, il sintomo principale di questa malattia, che consiste in una progressiva perdita di peso dovuta a pesanti restrizioni alimentari, rappresenta l’esasperazione di atteggiamenti che, nella nostra società, non solo sono considerati normali, ma vengono anche connotati come altamente positivi.

Ricorrere ad una dieta, comportamento così in voga nel mondo occidentale, soprattutto tra le donne, è considerato come un segno di autocontrollo e di cura personale, oltre che un modo per essere più attraenti e quindi avere maggior successo nelle relazioni sociali.

L’anoressia è quindi un disturbo socialmente strutturato; una possibilità “alla moda” di distinguersi attraverso l’attuazione di comportamenti estremi, pur rimanendo all’interno di ciò che viene socialmente accettato, ovvero il culto della magrezza.

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1.4 Il paradosso della società occidentale: l’invito al consumo