Capitolo Terzo
3.2 Il difetto nella percezione degli stimoli corporei
3.2.1 L’importanza di un corretto feedback tra madre e bambino
La Bruch sostiene che l’esperienza della fame non sia innata, ma che contenga importanti elementi di apprendimento. E’ fondamentale che la madre offra al bambino delle risposte appropriate ai suoi segnali di bisogno. Se questo accade, il
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bambino impara a identificare correttamente i suoi bisogni fisici e a soddisfarli in modo biologicamente appropriato e nello stesso tempo consono al suo ambiente sociale e culturale.
Al contrario, se queste necessità del bambino non trovano risposte adeguate, ne risulterà una confusione che renderà incerta la consapevolezza concettuale dei suoi stati interiori.
Mara Selvini Palazzoli concorda con le conclusioni di Hilde Bruch, affermando che sia scorretto presumere che l’organismo umano, all’atto della nascita, disponga della capacità di riconoscere le sensazioni corporee, i suoi bisogni e il modo di soddisfarli. Tutto ciò dipende da un processo di apprendimento che avviene nell’infanzia.
Affinché il bambino possa passare dalla sensazione cenestesica, vaga e diffusa, a quella cinestesica, cioè legata a precise strutture sensoriali, deve ricevere conferma delle sue sensazioni. La conferma più adeguata è quella che passa attraverso la soddisfazione del bisogno. Si potrebbe quasi dire che nel momento in cui si risponde al bambino in corrispondenza della suo effettivo bisogno si “metacomunica” con lui sullo stesso e gli si conferma che esso è reale e adeguato.77
È attraverso la soddisfazione dei suoi segnali di bisogno che il bambino impara a riconoscere e a differenziare i suoi stimoli fisiologici, giungendo a comprenderne il significato concettuale e ad apprendere i comportamenti adatti a soddisfarli. Egli giunge così alla conoscenza della propria identità corporea.
77 Selvini Palazzoli M., L’anoressia mentale. Dalla terapia individuale alla terapia familiare, Feltrinelli, Milano, 19958, p. 74 - 75
Se tali segnali vengono ignorati o trovano risposte incongrue, il bambino crescerà con un disturbo percettivo, cioè con un’inadeguata percezione degli stimoli e delle sensazioni del suo corpo.
Il pianto è lo strumento più importante di cui il bambino dispone per segnalare i suoi malesseri, i suoi desideri e le sue necessità.
Il modo in cui si risponde al suo pianto, accontentandolo o trascurandolo, è fondamentale per renderlo consapevole dei suoi bisogni.
Occorrono risposte appropriate ai segnali provenienti dal bambino, sia nella sfera biologica che in quella intellettiva, sociale ed emotiva, affinché egli possa sviluppare un senso di autoconsapevolezza. Quanto più vasta sarà stata l’area delle risposte appropriate alle svariate espressioni delle sue necessità, tanto più il bambino sarà in grado di differenziare le sue esperienze fisiche da altre sensazioni.
Se invece ai suoi bisogni e impulsi, che all’inizio sono piuttosto indifferenziati, vengono a mancare conferme e rinforzi, oppure se le risposte sono contraddittorie ed imprecise, il bambino crescerà pieno di perplessità e non sarà in grado di riconoscere correttamente le proprie sensazioni.
Se offre del cibo in risposta ai segnali che indicano bisogno di nutrimento, la madre rinforza selettivamente certi comportamenti del bambino, aiutandolo ad acquisire consapevolezza delle sue condizioni interiori. Egli capirà gradualmente il significato di “avere fame”e sarà in grado di distinguere questa sensazione da altri stati di tensione o bisogno.
Imparerà così, poco per volta, a differenziare le sue necessità, ad identificarle e a manifestarle in una maniera adatta ad ottenerne l’appagamento.
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Al contrario, se le risposte della madre sono sempre incongrue, il bambino crescerà con idee confuse riguardo il riconoscimento delle sue sensazioni e dei suoi bisogni.
Per esempio, se ella trascura le richieste del figlio, oppure ha un atteggiamento di eccessiva sollecitudine, di costrizione o di permissività indiscriminata, oppure il cibo viene da lei offerto come consolazione universale, indipendentemente dalle cause di malessere del bambino, il risultato sarà per lui quello di una confusione che lo disorienta. Quando sarà più grande non saprà distinguere tra l’aver fame o l’essere sazio, tra il bisogno di mangiare e altri stati di necessità.
La mancanza di risposte congrue alle sue esigenze non permette al bambino di distinguere tra i suoi diversi bisogni e le sue diverse sensazioni fisiche ed emotive e lo priva delle basi essenziali su cui edificare la propria identità fisica.
Spesso poi, fa notare Hilde Bruch, alle esperienze fuorvianti riguardo al mangiare, si associano storture continue della comunicazione verbale con definizioni di quello che, secondo la madre, è lo stato del bambino.
Per esempio, ella può dire, prescindendo completamente dalla reale esperienza del bambino stesso, che egli deve aver fame, o freddo o che deve essere stanco ecc. Per questo motivo, il bambino non può che diffidare della legittimità delle proprie sensazioni, pensando che forse non vengono confermate perché sono sbagliate, così come la madre continuamente gli fa intendere. Come conseguenza, egli finisce per diventare sempre più dipendente dal giudizio altrui su quelle che devono essere le sue sensazioni e le sue esigenze.
La Selvini Palazzoli afferma che questa pare essere l’eredità lasciata alle ragazze anoressiche dal rapporto con la figura materna, che ha regolato
l’alimentazione non in base ai normali ritmi fisiologici di fame e sazietà, ma in base alle abitudini familiari o ai propri impegni personali o alle proprie idee su ciò che è giusto per il bambino, senza in realtà tenerne in conto le reali esigenze.
Dai racconti delle sue pazienti, emerge che quando esse erano bambine dovevano coprirsi se la mamma aveva freddo, mangiare molto o poco a seconda dell’appetito di lei oppure mangiare solo per fare piacere alla mamma, non perché avessero realmente fame.
I loro bisogni originali, anche i più elementari, venivano quasi costantemente fraintesi e di conseguenza confusi da una madre incapace di concepire la propria figlia come “altro da sé.” 78
Alla base della cattiva percezione della fame, ci sarebbe dunque una carenza di risposte appropriate ai bisogni della figlia da parte della madre, il cui comportamento sarebbe dominato dal desiderio di controllo, più che da quello di soddisfare le necessità della figlia stessa. Di conseguenza, i bisogni e gli impulsi di questa rimarrebbero scarsamente differenziati e la bambina cercherebbe di conformarsi a quelli che crede essere i propri bisogni, mentre si tratta in realtà di quelli della madre.
Una persona del genere, afferma Hilde Bruch, non sa quando ha fame, né quando è sazia e non è in grado di distinguere il bisogno di nutrimento da altre sensazioni o sentimenti di disagio. Per questo motivo, gli occorrono sempre dei segnali provenienti dall’esterno per sapere quando e quanto deve mangiare.
78 Selvini Palazzoli M., L’anoressia mentale, Feltrinelli, Milano, 1963, p. 90
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Ad esempio, ella racconta che per Sandy, come per la maggior parte delle sue pazienti anoressiche, rendersi piacevole e non dare noie era stata una regola basilare della vita. La ragazza ricordava con angoscia il modo in cui, quando era bambina, le veniva presentato il cibo; sentiva di essere costretta a mangiarlo, anche quando non le piaceva, ma non osava protestare. Sua madre le diceva sempre che “doveva finire quello che c’era nel piatto,”senza mai chiederle quanto cibo volesse e senza preoccuparsi che fosse di suo gradimento. Così, Sandy aveva dovuto spesso mangiare pur essendo sazia o senza avere fame e anche da adolescente era assillata dal timore di mangiare troppo, perché sentiva che l’educazione ricevuta da piccola l’aveva lasciata priva della capacità di regolarsi.
Per questo motivo, quando si trovava a mangiare nella mensa della scuola, sentiva la necessità di imitare le sue compagne, prendendo i cibi che prendevano loro e nelle stesse quantità, per essere sicura di mangiare in modo normale.
Nelle situazioni del loro trattamento terapeutico, nelle relazioni con i membri della loro famiglia, nelle loro esperienze interpersonali a scuola e nelle amicizie, le pazienti di Hilde Bruch dichiarano di non sentirsi padrone del loro comportamento, ma di sentirsi sempre sotto l’influenza di forze esterne.
Così, allo scopo di conservare un equilibrio con le persone che le circondano e in particolare con la madre, alla quale sono legate da uno stato di dipendenza, esse sono costrette ad accettare questi concetti distorti circa il proprio corpo e le proprie sensazioni.
Secondo la Bruch, un soggetto cresciuto in questo modo avrà sempre bisogno di conferme derivanti dall’esterno per riuscire a capire i suoi stati interiori. Potrà
acquisire la facciata di un vivere adeguato, sottomettendosi di continuo alle richieste dell’ambiente, ma si sentirà in realtà impotente sotto l’impatto dei suoi impulsi fisici, che non è in grado di riconoscere correttamente, oppure si sentirà governato da forze esterne, come se le sue sensazioni e il suo corpo non gli appartenessero.
I problemi maggiori compariranno nell’adolescenza, quando sarà chiamato ad affrontare situazioni nuove in cui dovrà dimostrare autonomia e fiducia in se stesso, cose che sente di non possedere.
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