Capitolo Quarto
4.1 Sottomissione e compiacenza come “doti” richieste alla figlia
Hilde Bruch e Mara Selvini Palazzoli concordano nell’affermare che, all’apparenza, queste sembrano famiglie felici, persino ideali.
I genitori sono persone dedite alla casa e al lavoro, ligi al dovere, molto educate e rispettose delle norme sociali e convenzionali. Inoltre hanno sempre provveduto a tutto quello di cui la loro figlia aveva bisogno per il suo benessere fisico e per il suo sviluppo intellettuale.
Eppure, un’analisi più attenta mostra che in queste famiglie esistono delle tensioni piuttosto serie.
I genitori tendono a presentare la vita della famiglia come più armoniosa di quanto non sia in verità, arrivando a negare l’esistenza di qualunque difficoltà.
La maggior parte di essi insiste nel sottolineare la stabilità, se non la felicità della propria unione, ma un intenso lavoro terapeutico rivela i problemi e le storture nascoste sotto questa facciata di normalità.
Riferendosi ai genitori delle ragazze anoressiche da lei avute in cura, la Selvini Palazzoli afferma: «Non mi è mai accaduto, in tanti anni di studio e di terapia, di imbattermi in un valido rapporto affettivo tra i genitori. Anche se l’ambiente familiare non era turbato da liti grossolane, esisteva sempre uno strato di tensione, un permanente malumore e, cosa caratteristica, una spiccata propensione alle discussioni interminabili e sfibranti sui più futili argomenti, sintomatica di aggressività nascoste e bisognose di sfogo. Generalmente, questi conflitti non vengono mai ammessi, anzi sono costantemente mascherati da una
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facciata di armonia e deviati mediante un’eccessiva sollecitudine verso la figlia.» 92
Dalla ricostruzione delle fasi precoci dello sviluppo delle ragazze anoressiche, si ricava che esse sono state molto ben accudite dai loro genitori, i quali hanno assicurato loro molti vantaggi e privilegi. Tuttavia, ad un esame più attento, si può constatare che essi non hanno sufficientemente incoraggiato o rafforzato la capacità di autoespressione delle loro figlie, per cui esse non hanno potuto sviluppare fiducia nelle proprie risorse interiori, nelle proprie idee e decisioni autonome e per questo motivo esse si sentono profondamente insicure e inadeguate.
Ecco cosa disse Esther alla Bruch durante un colloquio terapeutico: «Sono stata cresciuta con le cose piacevoli sempre a portata di mano: non ho mai dovuto lottare per nessuna cosa, perché i miei genitori mi hanno sempre reso tutto estremamente facile. Se avevo qualche difficoltà loro erano sempre pronti ad aiutarmi e a dirmi cosa fare in modo che non potessi sbagliare. Sono sempre intervenuti a correggermi, a guidarmi e a fare progetti per me. Ma se loro non c’erano io non sapevo più che fare; non ho mai avuto fiducia in me stessa, è qualcosa che mi è sempre mancato.» 93
Queste ragazze cercano di difendersi dalla loro sensazione di inadeguatezza attraverso un eccessivo conformismo; esse si adattano alle richieste altrui,
92 Selvini Palazzoli M., L’anoressia mentale. Dalla terapia individuale alla terapia familiare, Feltrinelli, Milano, 19958, p. 61
93 Si veda il capitolo intitolato ‘Esther: aggrapparsi alla magrezza’ in Bruch H. (1988) Anoressia. Casi clinici, Raffaello Cortina, Milano, 1988, p. 73
facendo sempre ciò che ci si aspetta da loro e ciò non fa che perpetuare il mancato sviluppo della loro autonomia.
Una caratteristica che accomuna questi genitori è che la figlia non è riconosciuta come individuo a sé stante, ma è sempre apprezzata come colei che può rendere la loro vita e le loro esperienze più soddisfacenti e complete.
Essi sono persuasi che sia loro compito fare tutti i progetti e prendere tutte le decisioni per lei, dirigendola sotto ogni aspetto e parlano del loro modo di educare come di una cosa giusta, normale e desiderabile e così anche del loro diritto di aspettarsi che la figlia appaghi i loro sogni e desideri. Non si rendono conto di esercitare un dominio eccessivo sulla figlia e sono pertanto incapaci di rinunciarvi.
Nel capitolo precedente, ho messo in luce come una caratteristica tipica delle persone anoressiche sia proprio un senso paralizzante di inefficacia che pervade ogni loro pensiero e ogni loro attività. Queste giovani infatti, abituate ad essere sempre controllate e dirette, mancano di iniziativa propria e sentono di non riuscire a gestire situazioni in cui devono cavarsela da sole.
Questa profonda insicurezza sembra contrastare con il comportamento energico delle pazienti e con le storie del loro sviluppo che, a quanto dicono i genitori all’inizio, sarebbe stato insolitamente esente da problemi.
Principio fondamentale della loro vita è sempre stato una compiacente obbedienza, grazie alla quale, in superficie, tutto si era svolto normalmente.
La maggior parte delle ragazze anoressiche presenta così poche difficoltà nell’infanzia che i loro disagi passano inosservati e sono notati soltanto dopo che si presentano i sintomi secondari e il grave dimagrimento.
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Nel descrivere le figlie, i genitori le dipingono come ragazze che sono sempre state straordinariamente brave e quiete, obbedienti, animate dal desiderio di far piacere e di accontentare gli altri, degne di fiducia ed eccellenti allieve.
Eppure, queste ragazze così perfette agli occhi altrui, dentro se stesse pensano di non valere nulla. Non conoscono le loro risorse e non si fidano dei propri sentimenti, pensieri e sensazioni fisiche. Si sentono assolutamente incapaci di agire autonomamente, hanno sempre bisogno di conformarsi al volere e alle aspettative degli altri nel timore di non fare la cosa giusta, ma anche per sentire di valere qualcosa, di essere apprezzate.
Pur essendo considerate delle “bambine perfette,” queste giovani vivono nel timore di non essere amate.
Bianca, una paziente della Bruch, le confidò un giorno: «Facevo in modo di garantirmi l’amore dei miei genitori assecondando tutte le loro richieste ed evitando di fare qualcosa di criticabile.» 94
In termini analoghi parlava della sua infanzia un’altra paziente della Bruch, Dawn, i cui genitori descrissero come una bambina tanto simpatica, cordiale, affettuosa e pronta a collaborare.
In realtà, tutta la vita di Dawn era stata una specie di rappresentazione: ella aveva sempre mostrato un comportamento dolce, sottomesso e obbediente, del quale, in un colloquio con la terapeuta parlò come del “grande imbroglio.”
Aveva paura di fare o dire qualcosa che potesse creare disapprovazione, ma non lo dava mai a vedere. «Se piangevo – diceva – temevo che i miei genitori
94 Bruch H. (1978), La gabbia d’oro, Feltrinelli, Milano, 1983, pag. 68
potessero darmi della piagnucolona, oppure che si seccassero, anche senza dimostrarlo apertamente. Non si sono mai mostrati irritati, ma io sentivo che lo erano.»
Dawn aveva sentito come i genitori parlassero di altre ragazze che erano sempre gentili e di buon umore e lei stessa voleva essere considerata così. Perciò, quando qualcosa la faceva arrabbiare o la deludeva, cercava di non mostrare questi suoi sentimenti, perché temeva che i genitori avrebbero preferito a lei le ragazze di cui parlavano.
Come si può notare, l’immagine serena che i genitori hanno della loro figlia non corrisponde al reale vissuto interiore della stessa.
La Bruch spiega che essi spesso non si accorgono della sua sofferenza, ma insistono a vederla secondo l’immagine irrealistica che si è formata nella loro mente. Questo è uno dei fattori responsabili del mancato sviluppo di un realistico concetto di sé e di una buona autostima nella figlia stessa.
Difficilmente i genitori riescono a riconoscere in un tale spirito di obbedienza il riflesso di un grave problema che riguarda la capacità della figlia di credere in se stessa e di far valere la propria personalità; il più delle volte, la sua sottomissione e la sua compiacenza vengono viste come qualità positive e sono quindi incoraggiate.
Per questo motivo, il conformismo della figlia anoressica viene considerato come un modello di comportamento ideale ed ella viene descritta come la più brava rispetto agli eventuali fratelli, proprio perché più disposta ad assecondare il volere dei genitori.
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Questi ultimi sono increduli quando si cerca di far comprendere loro che quel comportamento così docile della figlia non significa affatto che ella stia bene e sia felice, ma piuttosto che abbia dei dubbi circa la sua capacità e persino il suo diritto di far valere la propria personalità
E’ tipico di questi genitori, afferma La Bruch, parlare dell’impossibilità di credere che la loro figliola, che è sempre stata così equilibrata ed obbediente, possa aver trascorso un’infanzia tanto turbata e tormentata; essendo sempre stata una bambina buona e pronta a collaborare, era impossibile per loro accorgersi della sua scontentezza.
I genitori sottolineano la normalità dei loro rapporti familiari, con ripetute asserzioni che nel periodo precedente all’ammalarsi della figlia “non vi era nulla che non andasse.” Essi tendono a negare qualunque difficoltà presente nella loro famiglia, all’infuori della preoccupante perdita ponderale della figlia, di cui non sanno darsi una spiegazione.
Parlano della ragazza come di una figlia che non ha mai dato problemi, che quando era piccola mangiava sempre tutto quello che le si dava, che obbediva senza mai protestare, che faceva tutto quello che le si diceva e che inoltre eccelleva sia a scuola, sia nello sport. Insomma, una bambina modello, di cui essere orgogliosi. Spesso, essi si vantano di avere una figlia così, segno vivente del loro successo come genitori.
La quasi totalità delle ragazze anoressiche dichiara di aver vissuto l’infanzia come un’esperienza piena di ansia e stress, poiché costantemente preoccupate di non risultare all’altezza, di non essere abbastanza buone, di poter deludere le
aspettative altrui, e in particolare dei genitori, col rischio di perdere il loro amore e il loro rispetto.
Fino a quando non si è manifestata la malattia, queste giovani hanno fatto ogni sforzo per nascondere la loro scontentezza e rassicurare i genitori sul loro benessere e la loro felicità. Eppure, esse si sentivano immeritevoli, indegne e perfino ingrate.
La loro unanime lamentela è che hanno ricevuto troppi privilegi e si sono sentite schiacciate dall’obbligo di dimostrarsi all’altezza di una posizione tanto speciale. Le affligge la discrepanza tra quanto sentono di meritare e quanto ricevono; così, molte di loro divengono eccessivamente frugali, fino all’autopunizione, perché pensano di non poter mai ripagare il loro debito verso genitori tanto generosi.
Fin da bambina, Ida, una paziente della Bruch, aveva sentito di non meritare tutti i privilegi e i benefici che le erano stati offerti dalla famiglia.
Le venne in mente un’immagine: lei era come un passerotto in una gabbia dorata, troppo insignificante e semplice per la sua casa, che era invece così lussuosa.
L’idea della gabbia, afferma la Bruch, evoca in modo piuttosto chiaro la sensazione che questa ragazza aveva del proprio ambiente familiare: infatti, pur riconoscendo i grandi privilegi ottenuti, sentiva di essere stata privata della sua libertà.
Le anoressiche affermano che tutta la loro vita è stata dominata dal desiderio di soddisfare le aspettative dei loro familiari e dal timore di non essere in grado di farlo e quindi di deluderli.
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Un’altra paziente della Bruch, Sharon, all’età di sei anni aveva scoperto una scatola di giocattoli ed aveva intuito che doveva essere il suo regalo di Natale:
una cosa che non desiderava affatto. Non solo non lo aveva dato a vedere, ma nei giorni successivi aveva persino fatto diversi accenni per far credere ai genitori che fosse proprio quello il regalo tanto atteso; si sarebbe sentita colpevole ed egoista se avesse espresso ciò che realmente desiderava.
Questa insoddisfazione di fondo è un fattore fondamentale nell’anoressia mentale e precede la preoccupazione circa il peso e la decisione di adottare una dieta, che come abbiamo visto, è l’evento cruciale che segna l’inizio della malattia.