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Il concetto di “genere femminile”

1.7 Il disturbo anoressico: un linguaggio soprattutto al femminile

1.7.1 Il concetto di “genere femminile”

Quando parliamo di “genere” ci riferiamo alla costruzione sociale delle categorie del maschile e del femminile e quindi all’insieme dei ruoli che vengono attribuiti dalla società ad una persona, esclusivamente sulla base dell’appartenenza sessuale.25 Con tale nozione si intende sottolineare un insieme di attributi e di caratteristiche attitudinali e comportamentali che si ritengono adeguati ad un uomo ed una donna e, ancora prima, ad un bambino e ad una bambina.26

Ne deriva che il genere non sia una diretta conseguenza delle caratteristiche sessuali, ma rispecchi piuttosto il contesto socio-culturale del proprio tempo.

24 Bruch H. (1988), Anoressia. Casi clinici, Raffaello Cortina, Milano, 1988, p. 117

26 Busoni M., Genere, sesso, cultura, Carocci, Roma, 2000

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Infatti, un compito ritenuto di stretta pertinenza maschile in una determinata società, può essere svolto da donne in un altro tipo di società.

Ciò dimostra che la divisione dei ruoli non risponde a nessun criterio naturale, ma è frutto dell’educazione e della cultura di appartenenza.

In quanto costrutto culturale, il genere si oppone al sesso, che è invece un dato biologico. Si parla quindi di “identità di genere” per riferirsi al modo in cui l’essere donna o l’essere uomo vengono prescritti socialmente.

Il potere di procreare della donna è stato in molte società, compresa la nostra, un elemento che ha caratterizzato la divisione dei compiti e la distinzione dei ruoli tra maschio e femmina. Ciò sembra essere vero ancora oggi. A questo riguardo, è interessante considerare il IV rapporto IARD sulla condizione giovanile in Italia, che tratta ampiamente della percezione che i ragazzi hanno dei ruoli maschili e femminili.27

In questa ricerca emerge che i giovani hanno una visione interpretativa dei ruoli di genere di tipo paritario. Essi riconoscono l’interscambiabilità dei ruoli domestici e la compartecipazione dei partner nel mantenere la famiglia e nel prendere decisioni.

27 Si tratta di una ricerca condotta su un campione rappresentativo di individui tra i 15 e i 29 anni, intervistati in tutte le regioni d’Italia. Questo studio, pubblicato nel 1997, è stato preceduto da altri rapporti (1984, 1988 e 1993) ed è contenuto in Stagi L., La società bulimica, Franco Angeli, Milano, 2002, pp. 28-29.

L’Istituto IARD, fondato nel 1961, è un ente senza scopo di lucro, attivo nel campo della ricerca sociologica, finalizzata all’individuazione e allo studio dei processi culturali, educativi e formativi, con un approccio a tutto campo che integra le diverse scienze sociali. Presente sul territorio nazionale con un’attenzione costante all’evoluzione di atteggiamenti e comportamenti, l’Istituto IARD pone al centro delle proprie attività di ricerca l’osservazione dei fenomeni legati alla condizione giovanile, analizzata sia nei suoi aspetti strutturali, sia all’interno delle proiezioni sociali che dei vissuti individuali.

Tuttavia, la cura e l’educazione dei figli sono attività attribuite in modo specifico alla donna, che è generalmente vista come pronta a sacrificarsi per la famiglia in misura superiore all’uomo.

Come si può notare, anche se collocata in una prospettiva formalmente paritaria, l’identità femminile sembra quindi ancora giocarsi nell’ambito familiare, mentre quella maschile risulta maggiormente legata al ruolo professionale. Il successo nel lavoro è considerato da molti giovani più importante ai fini della realizzazione personale dell’uomo, rispetto a quanto lo sia per la donna. Inoltre, i due terzi del campione considerato evidenziano lo stereotipo della bellezza come importante attributo femminile.

L’analisi di questi dati è particolarmente significativa perché mostra come certe convenzioni relative ai ruoli di genere siano estremamente radicate, tanto da essere diffuse anche tra i giovani, dai quali ci si aspetterebbe un atteggiamento più rivolto al cambiamento.

La psicologa Jean Baker Miller afferma che, nelle donne, malgrado i mutamenti promossi dal femminismo, la percezione del proprio valore sia ancora largamente determinata dall’esigenza di aiutare ed assistere gli altri, in particolare i membri della propria famiglia, secondo un modello che richiede la subordinazione dei propri bisogni a quelli altrui. 28

28 Jean Baker Miller, Towards a New Psichology of Woman, Beacon Press, Boston, 1976.

Jean Baker Miller ha dato grandi contributi nel campo della psicologia femminile.

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Concorda con quest’idea Carol Gilligan,29 quando afferma che le donne tendono a giudicare molto se stesse in base alla loro capacità di prendersi cura delle cose e delle persone.

E’ evidente come le definizioni sociali dell’identità di genere e dei ruoli che ad essa vengono attribuiti, costituiscano un sistema di riferimento costante per l’individuo, un modello che orienta i vissuti soggettivi riguardo all’integrazione sociale, al senso di adeguatezza personale, all’autovalutazione e all’autostima. 30

Secondo Elena Faccio, i problemi nascono quando le aspettative sociali riguardo ai ruoli di genere cominciano a presentare delle incongruenze e delle discontinuità che riflettono le contraddizioni derivanti da una società in mutamento. In questo quadro, se le richieste della società appaiono difficili da assecondare, l’individuo può sentirsi profondamente insicuro e inadeguato.31

È ciò che accade oggi a molte donne, le quali sentono che, da un lato, le aspettative sociali nei loro confronti sono cambiate e si richiede loro di essere autonome, intraprendenti e di avere successo in campo professionale, mentre

29 Gilligan C. (1982), In a different voice. Psychological theory and woman’s development, Harvard University Press; trad. It. Con voce di donna. Etica e formazione della personalità, Feltrinelli, Milano, 1987.

Carol Gilligan è tra le più note studiose americane. Attraverso i suoi studi sulla formazione del giudizio morale nell'adolescenza ha proposto una teoria della differenza femminile che ha avuto grande influenza culturale in diversi campi disciplinari, sul pensiero femminista e nel modo comune di rappresentare i rapporti di genere.

30 Saraceno C., Pluralità e mutamento. Riflessioni sull’identità al femminile, Franco Angeli, Milano, 1987

31 Faccio E., Il disturbo alimentare, Carocci, Roma, 1999

dall’altro, esse si sentono ancora condizionate da un tipo di educazione che ha inculcato loro i valori tradizionali della famiglia e della maternità.

Sorge allora un conflitto tra due linee d’azione: perseguire il successo individuale, che in un certo senso comporta l’assunzione di un ruolo maschile, oppure diventare pienamente femminile e perciò subordinata ai bisogni altrui.

Si tratta di prospettive contrastanti, che contribuiscono a generare, nei soggetti più vulnerabili, un autentico disagio psicologico.

1.7.2

Le contraddizioni culturali intorno al ruolo