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La distorsione dell’immagine corporea

Capitolo Terzo

3.4 La distorsione dell’immagine corporea

Uno degli enigmi più interessanti dell’anoressia mentale è il sintomo tipico della distorsione dell’immagine corporea.

E’ stato Schilder ad esplorare per primo i fenomeni dell’immagine corporea in rapporto a comportamenti normali e abnormi.

Egli la definisce come “quel quadro del nostro corpo che formiamo nella nostra mente, ossia il modo in cui il nostro corpo appare a noi stessi.” 86

L’immagine che abbiamo del nostro corpo è dinamica e pertanto si evolve nel tempo, destrutturandosi e ristrutturandosi continuamente in rapporto sia allo sviluppo, sia alle esperienze personali e sociali dell’individuo. Se è possibile affermare che nell’età adulta l’immagine del corpo pervenga al più alto grado di stabilità, si deve tuttavia riconoscere la presenza di fattori capaci, direttamente o indirettamente, di produrre ulteriori trasformazioni. La malattia può essere uno di questi fattori.

Nell’anoressia si crea una sfasatura tra l’immagine corporea reale e l’immagine corporea percepita. Le anoressiche hanno infatti la percezione illusoria di essere grasse, anche se non lo sono affatto. Alcune vedono in questo modo tutto il loro corpo, altre soprattutto parti di esso, come la pancia, i glutei o

86 Schilder P., The image and appearance of the human body, Psyche Monographs, 4, London, 1935

le cosce. Paradossalmente, tale convinzione si accentua con l’aggravarsi dello stato di denutrizione.

Il disturbo dell’immagine corporea viene considerato dalla Bruch come il primo sintomo caratteristico dell’anoressia mentale primaria. Nell’altra forma di anoressia, quella da lei definita “atipica,” le preoccupazioni per il corpo e per il peso, pur essendo presenti, non assumono proporzioni così notevoli. Inoltre, mentre l’anoressica pura si identifica col suo aspetto scheletrico e ne nega le anomalie, l’anoressica atipica è consapevole del suo evidente stato di emaciazione. Nella terminologia più recente, la prima forma verrebbe considerata egosintonica, mentre la seconda egodistonica.87

Quando descrive le sue pazienti, la Bruch afferma che esse non si preoccupano affatto della loro eccessiva magrezza, anzi la difendono con energia e ostinazione, negandone il carattere anomalo.

Le anoressiche affermano che le preoccupazioni degli altri sono prive di fondamento, perché loro stanno benissimo, anzi, non si sono mai sentite meglio.

Questa negazione del proprio aspetto denutrito è tipica dell’anoressia mentale vera e propria. Infatti, pazienti che abbiano perso peso per altre cause non solo ammettono senza difficoltà di essere troppo magre, ma si dimostrano preoccupate per la perdita ponderale e vogliono porvi rimedio.

Mara Selvini Palazzoli sottolinea che la caratteristica costante nel quadro clinico delle anoressiche sia proprio la ferrea volontà di emaciazione. Le ragazze vogliono essere magre a tutti i costi e sembrano non avere coscienza né della loro

87 Faccio E., Il disturbo anoressico. Modelli, ricerche, terapie, Carocci, Roma, 1991

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malattia, né del loro aspetto fisico: esse continuano a vedersi grasse e a voler perdere peso, in quanto il loro corpo non viene mai considerato abbastanza sottile.

La Bruch sostiene che «l’incapacità delle anoressiche di “vedere” la loro magrezza è accentuata da un allenamento ad ingannarsi da sé. Esse si esercitano a guardarsi allo specchio, da tutti gli angoli, fiere di ogni libbra che perdono e di ogni osso che sporge e quanto maggiore è l’orgoglio per questo aspetto, tanto più insistono nel dire che è perfetto.» 88

Qualche volta si ottengono informazioni su come le ragazze si vedevano prima di ammalarsi. Molte di loro dichiarano di aver iniziato una dieta per essere più attraenti e per dimostrare a se stesse e agli altri la loro forza di volontà.

Inizialmente erano contente perché potevano vedere il loro fisico diventare più snello di settimana in settimana, poi, d’un tratto, hanno iniziato a guardarsi con occhi diversi; avevano paura di riprendere peso e si vedevano grasse, nonostante la bilancia indicasse loro che erano ancora dimagrite.

Questi soggetti, afferma la Bruch, arrivano a poco a poco a sopravvalutare le proprie dimensioni, e il grado di serietà della malattia va di pari passo con il grado di costante sopravvalutazione; quanto più esagerano nelle loro stime, tanto più sono resistenti alla terapia.

Anche se poste davanti ad uno specchio, esse negano la loro immagine scheletrica. Quando una nuova paziente viene ricoverata in clinica, quelle ormai in via di guarigione affermano che sia perfettamente inutile ricorrere allo

88 Bruch H. (1978), La gabbia d’oro. L’enigma dell’anoressia mentale, Feltrinelli, Milano, 1983, p. 92

specchio; ricordando come loro stesse si sentivano, commentano che ciò non serve a niente, perché lei non riesce a vedere quanto è magra.

La Bruch racconta di una sua paziente, una ragazza diciannovenne che aveva in cura da qualche tempo. Guardando due fotografie che la ritraevano quando era al mare, una di quando aveva quindici anni e il suo peso era normale e l’altra di quando ne aveva diciassette e pesava appena 32 Kg, la ragazza non era in grado di vedere la differenza nella sua corporatura, pur sapendo che una qualche differenza doveva esserci. Se si osservava allo specchio riusciva talvolta a vedere di essere troppo magra, ma diceva: «non riesco a tenere a mente quest’immagine.

Forse la ricordo per un’ora, ma poi comincio a sentirmi troppo grossa.» 89

La Bruch spiega che queste percezioni fallaci valgono a proteggersi contro un’ansia profonda, quella di non essere un individuo meritevole e integrato, capace di condurre la propria vita. Ecco un altro fattore che fa dell’anoressia mentale una malattia che si auto-perpetua.

Infatti, come abbiamo già visto, il senso costante di inadeguatezza spinge queste giovani a ritenere di non essere in grado di affrontare le esperienze della quotidianità. Esercitando un rigido controllo sul proprio corpo attraverso il rifiuto del cibo, la ragazza anoressica crede di poter dare un indirizzo alla propria esistenza e di cancellare la sofferenza emotiva causata da una percezione errata e carente della propria personalità. Inoltre, l’eccessiva magrezza è il segno visibile della sua malattia, alla quale le persone che la circondano non possono rimanere indifferenti. La loro preoccupazione nei suoi confronti diventa la prova della sua

89 Bruch H. (1973), Patologia del comportamento alimentare, Feltrinelli, Milano, 1977, p. 122

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esistenza e della sua importanza come individuo e ciò la spinge a non voler guarire, per non dover rinunciare alla sensazione di valere qualcosa. Da ciò, continua la Bruch, nascono il desiderio di perdere sempre più peso e la conseguente tendenza all’autoinganno nel modo di percepire l’immagine del proprio corpo, che non viene mai considerato abbastanza magro, nonostante il suo aspetto scheletrico.

Alcune ragazze cominciano a prendere atto della loro eccessiva magrezza se guardano se stesse in alcune riprese effettuate con l’ausilio del videotape, considerato dalla Bruch uno strumento molto utile per aiutarle a correggere la loro errata percezione corporea. Di solito, pazienti guarite esprimono un visibile stupore quando guardano filmati che le ritraggono al tempo della malattia, come se facessero fatica a riconoscersi.

La studiosa afferma che il recupero di un’immagine corporea adeguata e di una corretta modalità percettiva e cognitiva nei confronti degli stimoli corporei è assolutamente basilare ai fini di un reale progresso terapeutico.

Molte pazienti possono aumentare di peso per le ragioni più svariate, ma una guarigione effettiva e duratura non può essere raggiunta se la ragazza non prende coscienza del suo reale stato fisico, attraverso la correzione della sua distorta immagine corporea. Se non si interviene prima di tutto su questo piano, sarà purtroppo inevitabile una ricaduta.