Capitolo Quarto
4.3 Una madre intrusiva e dominante
Nella quasi totalità dei casi, la figura dominante nelle famiglie delle ragazze anoressiche è la madre: il padre è spesso emotivamente assente e generalmente sopraffatto e svalutato dalla moglie. Anche nel caso in cui egli abbia invece un atteggiamento dittatoriale, la madre riesce sempre ad ottenere l’appoggio dei figli con il suo costante atteggiamento da vittima.
Se, come abbiamo visto nel capitolo precedente, le ragazze anoressiche presentano delle caratteristiche tipiche che le accomunano, lo stesso discorso si può fare per le loro madri.
Esse hanno accettato apparentemente molti comportamenti di tipo tradizionale, come la dedizione alla casa e ai figli, eppure, dentro se stesse non hanno mai realmente accettato il ruolo di moglie e tanto meno quello di amante passiva e acquiescente.
Nella maggior parte dei casi, come osserva la Bruch, queste donne sono colte ed evolute, spesso frustrate nelle loro aspirazioni professionali. Esse dichiarano di aver rinunciato alla carriera per assolvere ai loro doveri di madre e sottolineano l’entità del loro sacrificio, pur affermando di aver fatto questa scelta volentieri, per amore dei figli.
Si sottomettono ai mariti in molte questioni, soprattutto di carattere economico, tuttavia non li rispettano veramente, anzi, nutrono di solito un certo
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rancore nei loro confronti, perché possono esercitare liberamente la loro professione.
Nelle famiglie delle anoressiche, il legame madre-figlia è in genere particolarmente forte. Spesso, afferma la Selvini Palazzoli, «ciò deriva da un’identificazione della madre con la figlia stessa, che serve a compensare una relazione deludente con il marito. Nella maggior parte dei casi, tale delusione rimane inespressa per non turbare l’armonia familiare.» 99
Non di rado, queste madri parlano della figlia come l’unica vera gioia della loro vita. Vi si dedicano sicuramente con grande amore, ma si dimostrano invadenti e iperprotettive nei suoi confronti, convinte di dover controllare, per il suo bene, ogni aspetto della sua vita ed inibendo quasi del tutto la sua possibilità di agire autonomamente.
La Selvini Palazzoli fa notare che l’atteggiamento di queste donne verso il figlio maschio è diverso, in quanto questo è più facilmente sottratto all’invadenza della madre, per via della meno facile identificazione con lui e per la diversità delle esperienze e delle aspettative.
La femmina invece diviene assai più succube della madre, che risulta incapace di distinguere la figlia come “altro da sé.”
Un tratto che tende ad emergere con grande evidenza è che le madri hanno sempre imposto alle figlie, fin dall’infanzia, il proprio concetto di quelli che ritenevano essere le loro necessità.
99 Selvini Palazzoli M., L’anoressia mentale. Dalla terapia individuale alla terapia familiare.
Feltrinelli, Milano, 19958, pp. 61-62
Spesso dichiarano compiaciute che sono sempre riuscite a prevedere i bisogni della figlia, per esempio non hanno mai lasciato che “avesse fame” o che “avesse caldo o freddo,” basandosi in realtà sulle loro sensazioni, non su quelle della bambina.
Come ho evidenziato nel capitolo precedente, a cominciare dalle prime esperienze di nutrizione, queste giovani hanno dovuto accettare di assecondare delle esigenze che in realtà non appartenevano a loro, ma alle loro madri.
La Bruch spiega che ogni madre esprime il concetto che ha del proprio bambino attraverso la maniera di alimentarlo. Così il modo di essere nutrito, diventa per il bambino un sistema di messaggi che lo informano di ciò che la madre pensa di lui.
Spesso, il bambino è considerato un bene prezioso a cui si debbono le cure migliori, ma nello stesso tempo non gli viene riconosciuta la propria individualità.
Come abbiamo visto, se le madri non accettano le scelte alimentari del figlio e fanno prevalere sui bisogni e desideri del bambino i loro schemi educativi e le loro convinzioni alimentari, i loro ritmi e le loro idee sullo stato del bambino, lo renderanno incapace di riconoscere correttamente le proprie sensazioni e le proprie necessità.
Non solo, ma in questo modo operano anche una prima forzatura della personalità del bambino, che si sentirà incapace di decidere in modo autonomo ed avrà sempre bisogno di ricevere delle conferme dalle persone che lo circondano, anche in relazione a delle scelte che dovrebbero essere personali.
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Dalla ricostruzione delle fasi precoci dello sviluppo delle pazienti, si ricava che da bambine sono state ben accudite, ma non sufficientemente incoraggiate ad esprimere la propria soggettività e la propria autonomia, per cui esse non hanno potuto sviluppare fiducia nelle proprie risorse interiori.
Questo è il motivo per cui ora non si sentono in grado di prendere delle decisioni in modo autonomo. La loro vita si basa su di una compiacente obbedienza, grazie alla quale, in superficie, tutto si svolge normalmente, ma in realtà esse si sentono profondamente incapaci e inadeguate.
Tale atteggiamento di controllo da parte della madre nei confronti della figlia non si limita all’infanzia, ma continua anche oltre.
La Selvini Palazzoli parla di queste madri come di figure che continuamente si intromettono, criticano, suggeriscono, si impossessano delle esperienze vitali delle figlie e ne impediscono la spontaneità e l’originalità.
La studiosa afferma che «si ha spesso l’impressione che queste figliole approdino bruscamente all’adolescenza dopo un lungo periodo vuoto di esperienze proprie e di successive dis-identificazioni dalla figura materna, quindi carenti di una vera consapevolezza di sé. In tal modo, il ruolo di donna si impone loro in maniera improvvisa e scuotente, senza fasi intermedie.» 100
Molte madri, quando arrivano al colloquio con la terapeuta, trovano che non vi sia nulla di particolare da raccontare sul conto delle proprie figlie, descrivendole come bambine che non hanno mai fatto difficoltà, che mangiavano quello che si metteva loro davanti e che facevano ciò che si diceva loro.
100 Selvini Palazzoli M., L’anoressia mentale, Feltrinelli, Milano, 19958, p. 62
Dichiarano orgogliose che erano invidiate da amiche e vicine di casa, perché la loro bambina non protestava mai. Tuttavia, queste giovani così buone e obbedienti, sempre pronte ad assecondare le loro richieste, non sono affatto felici come le loro madri pensano.
La Bruch riporta un caso da lei trattato. In una famiglia, la madre era profondamente scontenta del rapporto col marito e del fatto di aver sacrificato, col matrimonio, la propria carriera. Il rapporto con la figlia era l’unica grande soddisfazione della sua vita. Quest’ultima era sempre stata vista dalla madre come una bambina felice e senza problemi. La donna aveva sorvegliato molto attentamente la sua educazione e in particolare l’alimentazione, preoccupandosi che la figlia ricevesse sempre i cibi da lei ritenuti “giusti.” Non si erano mai verificati problemi nella sfera alimentare; la mamma decideva il menù e la bambina mangiava.
All’età di quattordici anni tuttavia, la ragazza divenne anoressica. Durante le sedute con la Bruch, il quadro familiare da lei descritto era diametralmente opposto a quello fornito dalla madre.
Infatti, la giovane ricordava la sua infanzia come un periodo di costante infelicità e frustrazione. Non le era mai concesso ciò che voleva; tutto doveva essere sempre esattamente come aveva predisposto la madre. Sapeva che questa aveva concordato col pediatra quale fosse il cibo migliore da darle e aveva la sensazione che ogni boccone fosse “sorvegliato.” 101
101 Bruch H., (1973) Patologia del comportamento alimentare, Feltrinelli, Milano, 1977, pp.
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Ciò che colpisce in questa storia è la maniera opposta in cui madre e figlia vedono lo stato delle cose.
Il controllo materno sulla figlia non si limita solo la sfera alimentare, ma si estende ad ogni aspetto della vita della ragazza: la scelta del vestiario che ella deve indossare, del percorso scolastico che deve intraprendere e persino delle amicizie che deve o non deve frequentare.
La Selvini Palazzoli spiega che, poiché queste madri vedono nella figlia l’unica vera soddisfazione della loro vita, strutturano con essa una relazione orientata al mantenimento della dipendenza, rafforzando il sentimento di inadeguatezza della ragazza nei confronti di ogni problema con il mondo esterno.
In accordo con le affermazioni della Palazzoli, la Bruch cita il caso della madre di una sua paziente la quale, quando la figlia ormai adolescente cominciò a frequentare le sue amiche ed uscire da sola, si sentiva esclusa. Così, invece di incoraggiarla ad avere amicizie, le criticava e sminuiva queste e le loro famiglie, fin tanto che la figlia sentì di essere diversa dalle altre. La ragazza diventò anoressica dopo che la madre aveva manifestato la sua disapprovazione per l’ultima amica rimastale.
Il rifiuto del cibo fu per lei un tentativo di prendere in mano la sua vita, di esercitare un controllo su qualcosa in cui la madre non poteva intervenire. Ogni volta che si avvicinava il momento dei pasti diceva: «Può costringermi a fare tutto quello che vuole, ma non può costringermi a mangiare.» 102
102 Si veda il capitolo intitolato ‘Paula: controllo perfetto’ in Bruch H. (1988). Anoressia. Casi clinici, Raffaello Cortina, Milano, 1988, p. 36
La frustrazione della ricerca di indipendenza delle figlie è un elemento che viene messo in risalto anche da Arthur Crisp, il quale sottolinea che queste madri hanno spesso difficoltà ad accettare gli interessi sessuali emergenti nelle figlie adolescenti. Le ragioni di questo fenomeno possono essere le più varie: forse la relazione col marito è ormai esaurita e quindi la sessualità della figlia può creare disagio, oppure, più semplicemente, il fatto che la figlia ricerchi una propria indipendenza in campo sessuale può far temere alla madre che ella presto possa abbandonarla creando una famiglia propria.103
Come commenta Gordon, ciò che rende la situazione ancora più grave è che, nella società contemporanea, le adolescenti vivono in un clima che enfatizza l’indipendenza e che può spesso indurre in queste ragazze un senso di estrema inadeguatezza per non essere state capaci di “staccarsi” dalla famiglia: «Ne consegue un conflitto doloroso per la futura anoressica, che tende a sentirsi responsabile del benessere della madre, a cui è fortemente legata, e che quindi vive i suoi bisogni di autonomia con un profondo senso di colpa nei suoi confronti.» 104
Come ho illustrato nel primo capitolo, la percezione che le donne hanno del proprio valore è ancora fortemente determinata dall’esigenza di aiutare gli altri e in particolare i membri della propria famiglia.
103 Crisp A. Crisp A. H., Anorexia Nervosa: Let Me Be, Academic Press, London, 1980
104 Gordon R., (1990), Anoressia e bulimia. Anatomia di un’epidemia sociale, Raffaello Cortina, Milano, 20042, p. 106
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Ciò è quanto mai vero per le ragazze anoressiche, che sono intrappolate in un clima di compiacenza tale per cui esse fondano la loro identità sul conformismo, anziché su comportamenti diretti alla soddisfazione dei bisogni personali.
Secondo la Selvini Palazzoli, per una ragazza che si sente così profondamente inadeguata, intraprendere una dieta ferrea, che ben presto conduce al rifiuto del cibo, significa sentire di aver acquisito, forse per la prima volta, un senso di potenza e di autonomia.