Abbiamo visto che, secondo Deverux, ogni epoca sviluppa le proprie forme di patologia, che esprimono, in forma amplificata, le angosce e i problemi irrisolti di una cultura. Questa affermazione descrive molto bene ciò che accade nel caso dell’anoressia.
Gli studi condotti su tale disturbo, di cui la medicina ha iniziato ad occuparsi appena un secolo fa e che oggi ha assunto proporzioni endemiche, dimostrano che la sua diffusione è direttamente proporzionale al livello di benessere economico raggiunto da una società.
Infatti, essa è praticamente sconosciuta nei paesi del Terzo Mondo, dove predominano povertà e scarsità di alimenti, mentre si riscontra nei paesi occidentali, caratterizzati da una grande abbondanza e disponibilità di beni.13
Come afferma Hilde Bruch, «il rifiuto del cibo, qualunque ne siano lo scopo e il significato, sarebbe uno strumento privo di effetti in un ambiente di povertà e
13 Richard Gordon afferma che l’anoressia è una patologia rara nei paesi non occidentali e che le persone che emigrano da questi ultimi verso i paesi ricchi sviluppano più facilmente questo disturbo rispetto a quelle rimaste nel paese d’origine.
Questa tesi è confermata dal Manuale Diagnostico dei Disturbi Mentali IV pag. 629, dove si legge che gli immigrati da culture in cui la frequenza del disturbo è bassa verso paesi a prevalenza maggiore, possono sviluppare l’anoressia nervosa mano a mano che assimilano il valore conferito alla magrezza.
di carestia. L’autocondanna alla fame si osserva solo in condizioni di sufficiente o abbondante disponibilità di cibo.» 14
Verrebbe da dire che, in effetti, non si può rifiutare ciò di cui non si dispone e ciò spiegherebbe in modo semplicistico l’assenza di tale patologia nei paesi poveri. Ma in realtà, è bene concentrarsi su un aspetto paradossale che caratterizza il mondo occidentale: nella società dei consumi, dove il cibo è abbondante e disponibile, l’imperativo categorico diventa la magrezza.
Pensiamo ai messaggi pubblicitari: essi reclamizzano i cibi invitandoci ad una soddisfazione costante ed immediata dei nostri desideri alimentari.
Eppure, in televisione o sulle riviste popolari, le immagini di cibi succulenti si alternano alla pubblicità delle diete e dei prodotti dimagranti, delle ricette ipocaloriche e degli attrezzi ginnici per perdere peso e rimanere in forma.
Il contrasto tra questi messaggi è evidente: da una parte essi invitano i consumatori ad abbandonarsi al piacere del cibo, dall’altra li esortano a padroneggiare i loro desideri nel nome della forma fisica.
L’antropologa Mary Douglas15 sostiene che il corpo abbia una funzione simbolica importantissima, perché il suo linguaggio è metafora della cultura a cui appartiene. Quella occidentale attribuisce un grande valore all’aspetto fisico e in particolare alla magrezza, considerata indice di buona salute e di cura personale.
Per questo, ogni anno moltissime persone decidono di iniziare a seguire una dieta.
14 Bruch H. (1973), Patologia del comportamento alimentare, Feltrinelli, Milano, 1977, p. 26
15 Douglas M. (1975), Antropologia e simbolismo. Religione, cibo e denaro nella vita sociale, Il Mulino, 1985
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Come afferma Deborah Lupton, le scelte legate al consumo del cibo, oltre ad agire simbolicamente come pratiche per la costruzione della soggettività, agiscono anche sul corpo, influenzandone la forma, la taglia e la composizione organica.
Dunque, saper controllare il proprio corpo attraverso un attento regime dietetico serve non solo ad avere un fisico più sano e più snello, ma anche a mostrare agli altri la nostra capacità di autodisciplina.
Mara Selvini Palazzoli fa notare che «nei tempi e negli ambienti ove il cibo era privilegio di pochi, essere grassi rappresentava un segno di distinzione.
Nella società occidentale invece, caratterizzata dalla sovrabbondanza alimentare, per distinguersi occorre essere magri.»16
Secondo l’opinione comune, un corpo in sovrappeso parla di ingordigia e di mancanza di autocontrollo, mentre un corpo magro è sinonimo di equilibrio e di cura personale.
Esso codifica l’ideale di un Sé perfettamente gestito, in cui tutto viene mantenuto in ordine, nonostante le contraddizioni della cultura consumistica.
La scelta di un determinato regime alimentare coincide quindi con la scelta dell’aspetto che si intende conferire al corpo, in quanto la dieta pone la responsabilità dell’aspetto fisico e del suo mantenimento direttamente nelle mani dell’individuo.
Così, il corpo può essere fonte di grande orgoglio e realizzazione, soprattutto se si conforma al vigente concetto di bellezza e di accettabilità sociale, ma può
16 Selvini Palazzoli M., L’anoressia mentale, dalla terapia individuale alla terapia familiare, Feltrinelli, Milano, 19958, p. 58
essere anche fonte di ansia e di vergogna. I messaggi pubblicitari che reclamizzano alimenti ipocalorici o dimagranti puntano proprio su questi sentimenti negativi per invogliare i potenziali clienti ad acquistare i loro prodotti.
Il potere dei mezzi di comunicazione, pur non essendo assoluto, è comunque molto forte e pervasivo.
L’influenza che essi hanno sulla diffusione del canone estetico della magrezza e sul conseguente aumento delle diete emerge da un’indagine svolta da Anna Becker, un’antropologa della Harvard Medical School, sul cambiamento di attitudini verso il cibo e l’ideale corporeo degli adolescenti delle isole Fiji.17
Nel piccolo arcipelago si è sempre apprezzato, per tradizione, un fisico massiccio e “rotondeggiante,” ma dopo l’arrivo della televisione, avvenuto nel 1995, si è verificato un elevato incremento delle diete.
Secondo la Becker, la spiegazione di questo fenomeno è legata alle immagini e ai valori veicolati dai programmi televisivi occidentali, che esaltano l’ideale del corpo magro.
17 Questo studio è riportato in Gordon R. (1990), Anoressia e bulimia. Anatomia di un’epidemia sociale, Raffaello Cortina, Milano, 2004 2, pp. 140-141.
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