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5. I TIPI DI FRASE SUBORDINATA

5.1. LA SUBORDINAZIONE ARGOMENTALE

5.1.2. La frase oggettiva

La frase oggettiva è una subordinata argomentale che funge da complemento oggetto del predicato della sovraordinata. Come per le soggettive, è possibile analizzare sintassi e semantica delle oggettive a partire dai predicati reggenti, che possono essere distribuiti in gruppi sinonimici designati, con la terminologia mutuata dalla grammatica latina, come verba declarandi, verba putandi, verba sentiendi, verba voluntatis, verba timendi ecc.195

Nei discorsi diretti dei personaggi della Commedia i predicati reggenti delle 151 oggettive riscontrate sono distribuiti come esposto nella seguente tabella:

VERBA SENTIENDI196 VERBA VOLUNTATIS197 VERBA PUTANDI VERBA DECLARANDI ALTRI VERBI conoscere avere in dispregio credere (23) affermare lasciare (2)

comprendere chiedere pensare (2) assicurare leggere

discernere comandare avverare198 meritare

195Cfr. Brambilla Ageno, Franca. Congiuntivo, P. 242.

196In questa categoria ho inserito tutti i verbi che indicano apprendimento o conoscenza di una

realtà di fatto, mentre ho preferito trattare a parte i verbi di opinione (verba putandi) che pure sono una sottoclasse di questi.

197In questa categoria ho inserito tutti i predicati che indicano volontà, desiderio, speranza,

aspettazione (cfr. Brambilla Ageno, Franca. Congiuntivo, P. 243). Vi rientra anche una occorrenza del verbo pregare, costruito diversamente rispetto alla costruzione canonica in cui regge il complemento oggetto della persona a cui si rivolge la preghiera e una completiva obliqua che esprime il contenuto della preghiera. Infatti nella frase e priego che non sieno scarsi (Pd XXXIII 30), la costruzione è analoga a quella di volere. Ho inserito in questa categoria anche un'occorrenza di chiedere e una di domandare che non reggono una interrogativa indiretta, ma una completiva oggettiva ed esprimono una richiesta d'azione analoga a quella espressa da verbi come comandare o pregare (chieggioti...che a' miei propinqui tu ben mi rinfami: Pg XIII 148-150; non dispensare o due o tre per sei...addimandò: Pd XII 91-94.

198Il verbo avverare compare nella seguente formulazione: La tua dimanda tuo creder m'avvera

imparare desiderare dimostrare199 mostrare

intendere (3) disdegnare dire (10) perdonare

riconoscere domandare giurare presumere200

sapere (30) pregare narrare solere

sentire (2) sperare sostenere201

trovare volere (22) temere (3)

udire (2) vedere (25)

68 30 25 16 12

Prima di esaminare le tre tipologie più diffuse e significative di predicati reggenti (verba sentiendi, verba voluntatis, verba putandi), mi sembra opportuno fare una breve parentesi su due punti in cui mi sono discostata dalla codifica sintattica di Sara Gigli. Infatti nella classificazione di cui qui ci si serve sono state etichettate come oggettive anche le subordinate introdotte da che e rette di verbi fare e guardare come, ad esempio, in:

Vecchia fama nel mondo li chiama orbi; gent' è avara, invidiosa e superba: dai lor costumi fa che tu ti forbi. (If XV 67-69)

«Dite costinci: che volete voi?», cominciò elli a dire, «ov' è la scorta? Guardate che 'l venir sù non vi nòi». (Pg IX 85-87)

Effettuando questa scelta, Gigli si distanzia sia da Duro202 che da Agostini,203 che

hanno invece riscontrato in queste frasi un valore consecutivo-finale. Io ho preferito qui rifarmi a questa seconda linea interpretativa: ho considerato come consecutive ellittiche dell'antecedente sì le subordinate rette da fare all'imperativo, che potrebbe (e in effetti potrebbe essere parafrasato con 'mi dice', 'mi dimostra'), riscontrando in questo particolare costrutto una realizzazione dell'accusativo e infinito, cioè una costruzione artificiosamente trasferita dal volgare al latino, in luogo della costruzione esplicita, che, affermatasi già nella latinità tarda, era divenuta l'unica corrente nelle parlate non soltanto italiane. (Cfr. Brambilla Ageno, Franca. Accusativo e infinito. In: ED, Appendice, P. 424-426).

199Il verbo dimostrare è stato considerato verbum declarandi in quanto occorre con il significato

di 'dare una dimostrazione', 'far prova': dimmi che è cagion per che dimostri // nel dire e nel guardar d'avermi caro (Pg XXVI 110-111). Cfr. Brambilla Ageno, Franca. Congiuntivo, P. 241.

200Con il significato di osare (sì che non presumma // a tanto segno più mover li piedi: Pd XXI

98-99).

201Con il significato di sopportare (sostenne...falsificare in sé Buoso Donati: If XXX 42-44). 202Duro, Aldo. Voce «Che», P. 939.

essere parafrasato come 'agisci in modo tale da' ed è analogo al costrutto latino fac (facite) ut.204 Per la subordinata retta da guardare ho scelto invece l'interpretazione

finale, che mi sembra aderire meglio al significato etimologico del verbo (< fr. *wardōn, 'stare in guardia').

Passando dunque alla trattazione delle frasi oggettive, si è visto che la grande maggioranza delle oggettive ha come predicato un verbum sentiendi. Il predicato più diffuso è sapere, che occorre in via quasi esclusiva alla seconda persona in formule iussive del tipo sappi o devi sapere.205 Come si è già notato nel paragrafo dedicato alle

frasi iussive,206 l'invito è sempre rivolto a Dante e lo stato di cose (espresso

dall'oggettiva) che il parlante lo invita ad apprendere è di due tipi: è l'identità del personaggio o un evento legato alla sua vita terrena, oppure è un aspetto della realtà ultraterrena.207

Per quanto riguarda invece il verbo vedere, esso occorre sia alla prima persona che alla seconda. Nel primo caso il predicato è molto spesso all'indicativo perfetto e la completiva oggettiva subordinata esprime azioni o eventi della vita terrena del parlante:

e vidi lui tornare a tutt' i lumi de la sua strada novecento trenta fïate, mentre ch'ïo in terra fu'mi. (Pd XXVI 121-123)

Come si è già notato sopra,208 il verbo vedere ha molteplici sfumature di significato:

nella terzina appena citata indica sia una percezione fisica, sia, più in generale, un'esperienza di vita. Quando occorre alla seconda persona singolare è un invito, quasi sempre rivolto a Dante, non solo e non tanto a osservare, quanto più a comprendere una certa realtà, e indica perciò primariamente un'esperienza intellettuale:

Ben puoi veder che la mala condotta è la cagion che 'l mondo ha fatto reo, e non natura che 'n voi sia corrotta.

204Anche in latino il discrimine tra l'interpretazione come completiva o come consecutiva per la

subordinata introdotta da fac ut è labile; tuttavia si ricordi, a favore della seconda interpretazione, che è abbastanza frequente l'elisione dell'antecedente della consecutiva, specialmente in poesia.

205Un analogo modulo sintattico è trasposto in latino nelle parole di Adriano V: Ed elli a me:

«Perché i nostri diretri // rivolga il cielo a sé, saprai; ma prima // scias quod ego fui successor Petri. (Pg XIX 97-99).

206Cfr. § 2.3.1.1.

207Si vedano ad esempio i seguenti passi: però sappi ch'io fui Guido del Duca (Pg XIV 81); Or

sappi che là entro si tranquilla // Raab (Pd IX 115-116).

(Pg XVI 103-105)

Mi sembra rilevante che la maggior parte dei predicati reggenti di completiva oggettiva sia un verbum sentiendi: infatti i discorsi diretti delle anime dell'aldilà sono sia il racconto di un'esperienza di peccato, di redenzione, di santità; sia una fonte di conoscenza e di esperienza indiretta per il pellegrino Dante, alla ricerca della diritta via smarrita. È a partire da questa considerazione che andrà valutata la diversa distribuzione delle oggettive dipendenti da questa categoria di verbi nelle tre cantiche: 18 nell'Inferno; 27 nel Purgatorio; 24 nel Paradiso. Nella prima cantica infatti l'atteggiamento dei dannati nei confronti di Dante è assai diversificato: solo alcuni desiderano condividere la propria esperienza terrena o di dannazione con il pellegrino, mentre altri si rifiutano espressamente di manifestargli le motivazioni della propria perdizione e persino la propria identità. I penitenti, invece, sono ispirati dalla volontà divina a condividere con Dante il percorso di conoscenza che essi stessi, come il pellegrino, stanno compiendo: si può dire infatti che la penitenza ha lo scopo di condurre l'anima a una più profonda comprensione del peccato, prima dell'immersione nelle acque dell'oblio e del raggiungimento della perfetta beatitudine. I beati, ormai conseguita la perfetta conformità con l'intelletto e la volontà divini, hanno un atteggiamento più didascalico nei confronti di Dante, come dimostrano la predominanza dell'ostensivo vedere tra i verba sentiendi reggenti una oggettiva e una maggiore incidenza dei predicati alla prima persona (in particolare vidi), ricorrenti nei racconti di vissuti esemplari.

Per quanto riguarda le oggettive rette da verba voluntatis, esse hanno una distribuzione abbastanza omogenea nell'opera, anche se nel Paradiso esse sono più frequenti.209 L'unica differenza di rilievo tra le cantiche riguarda il soggetto210 della

volontà, poiché nella seconda e nella terza cantica sono numerose le occorrenze, del tutto assenti nella prima, di verbi indicanti volontà alla terza persona. Infatti i penitenti e i beati, nei loro discorsi, non mettono in primo piano la propria volontà o quella del parlante, ma una terza e più importante volontà che è quella divina:

«Poi che per grazia vuol che tu t'affronti lo nostro Imperadore, anzi la morte, ne l'aula più secreta co' suoi conti,... (Pd XXV 40-42)

Anche le oggettive rette da verba putandi sono distribuite in modo uniforme nei

2099 nell'Inferno, 7 nel Purgatorio, 14 nel Paradiso.

dialoghi delle tre cantiche,211 ma presentano delle differenze sostanziali per quanto

riguarda gli usi. Particolarmente significative mi sembrano le oggettive rette da un verbo di opinione al passato, che reggono sempre una oggettiva che esprime una credenza erronea. Si osservino i seguenti esempi:

Io fui uom d'arme, e poi fui cordigliero, credendomi, sì cinto, fare ammenda; (If XXVII 67-68)212

Quindi fu' io; ma li profondi fóri

ond' uscì 'l sangue in sul quale io sedea, fatti mi fuoro in grembo a li Antenori, là dov' io più sicuro esser credea: (Pg V 73-76)

E prima ch'io a l'ovra fossi attento, una natura in Cristo esser, non piùe, credea, e di tal fede era contento; (Pd VI 13-15)

Come si può desumere dai passi citati, ogniqualvolta le anime dell'aldilà rievocano una credenza avuta da loro stessi o da altri durante la vita terrena, si tratta di un'opinione errata. Questa tipologia di oggettiva retta da un predicato di opinione è particolarmente frequente nell'Inferno, più rara nel Purgatorio, mentre nel Paradiso, regno in cui le anime, completamente purificate, non hanno memoria dell'errore, ricorre solo nell'esempio riportato, in cui tra l'altro l'ingannevole convinzione è riconosciuta falsa dallo stesso Giustiniano ancora in vita.

Si noti che la credenza è erronea anche se il soggetto del predicato reggente (in questo caso al presente) sono i mortali:

Versi d'amore e prose di romanzi soverchiò tutti; e lascia dir li stolti che quel di Lemosì credon ch'avanzi. (Pg XXVI 118-120)

Non creda donna Berta e ser Martino, per vedere un furare, altro offerere, vederli dentro al consiglio divino;

ché quel può surgere, e quel può cadere». (Pd XIII 139-141)

21110 nell'Inferno, 7 nel Purgatorio, 8 nel Paradiso.

Nei discorsi dei dannati e dei penitenti, se il predicato reggente credere è al tempo presente, si ha un effetto attenuativo di cortesia o di dubbio sullo statuto di verità di quanto espresso dall'oggettiva:

né credo che 'l mio dir ti sia men caro, se oltre promession teco si spazia. (Pg XXVII 137-138)

Gianni de' Soldanier credo che sia più là con Ganellone e Tebaldello, ch'aprì Faenza quando si dormia». (If XXXII 121-123)

Nei discorsi dei beati l'oggettiva retta da verbum putandi al presente esprime o una credenza che il parlante legge nella mente di Dante oppure una verità o un insegnamento morale che il parlante auspica che tutti gli uomini facciano proprio:

Tu credi che a me tuo pensier mei da quel ch'è primo, così come raia da l'un, se si conosce, il cinque e 'l sei; e però ch'io mi sia e perch' io paia più gaudïoso a te, non mi domandi, che alcun altro in questa turba gaia. Tu credi 'l vero; ché i minori e ' grandi di questa vita miran ne lo speglio in che, prima che pensi, il pensier pandi; (Pd XV 55-63)

E creder de' ciascun che già, per arra di questo, Niccosïa e Famagosta per la lor bestia si lamenti e garra, (Pd XIX 145-147)

Si noti che nel primo passo riportato, Dante utilizza una formulazione del tutto particolare del modulo credere + oggettiva: infatti, dopo il primo tu credi ci si aspetterebbe una confutazione di tale credenza, mentre accade esattamente il contrario. Tale struttura213 enfatizza, da un lato, la verità dell’onniscienza di chi gode

della beatitudine, dall’altro la nuova coscienza di Dante rispetto alla condizione paradisiaca.