• Non ci sono risultati.

5. I TIPI DI FRASE SUBORDINATA

5.3. LA SUBORDINAZIONE CIRCOSTANZIALE

5.3.1. Le subordinate del gruppo causale

5.3.1.1. Causali

5.3.1.1.2. Sintassi

Gli introduttori di subordinata causale sono così distribuiti all'interno del corpus: Inferno Purgatorio Paradiso Commedia I M P L 0 (gerundio/participio) 6 5 2 13 a + infinito 1 1 di + infinito 1 1 2 per + infinito 4 9 13 E S P L ché 11 7 10 28 da che 1 3 1 5 perché 6 10 21 37 però che 3 5 3 11 poi che 1 2 1 4 poscia che 2 2 se 5 3 6 14 TOT 33 41 56 130

Gli introduttori più frequenti di causale esplicita sono perché e ché, che hanno in comune la caratteristica di introdurre elementi rematici, cioè portatori di informazione nuova, e dunque di seguire generalmente la sovraordinata. Per capire ciò che li distingue si dovrà guardare alla loro formazione.

Nell’italiano antico, dice Agostini, che aveva la funzione di subordinante universale e sincretico, che assommava in sé tutte le funzioni del quod tardolatino: per ovviare alla genericità di questo nesso, si sono formate delle locuzioni congiuntive più precise, volte a chiarificarne la funzione logica. Quelle che primariamente esprimono l’idea di causalità sono perché e però ché. L'uso di ché come introduttore di subordinata causale, dunque, sembra determinato essenzialmente da due fattori: a preferenze di ordine metrico (si noti, ad esempio, che ben 133 volte su 192 la congiunzione compare all’inizio del verso), si unisce qui l’esigenza di una lingua più realistica, più aderente all’uso parlato. Non sarà casuale il fatto che la congiunzione compaia nella gran maggioranza dei casi nel discorso diretto.299 Dunque, mentre ché stabilisce un legame

di subordinazione debole e generico, l'uso della forma perché, sebbene mantenga un certo grado di ambiguità tra congiunzione finale e congiunzione causale, stabilisce tuttavia un nesso logico più evidente e un tipo di subordinazione più forte.

Mi sembra rilevante che, parallelamente a una frequenza ascendente del numero delle

proposizioni causali dai discorsi diretti dell'Inferno a quelli del Paradiso, aumenti anche la forza del vincolo causale con cui tali frasi si inseriscono nei periodi: questo dato, è sintomo che, di pari passo all'aumento della vicinanza a Dio dei parlanti, da un lato, la loro lingua si fa meno aderente all'uso parlato, dall'altro, si accrescono le loro capacità cognitive, che consentono loro di istituire con maggior frequenza e precisione legami logici tra azioni ed eventi. Infatti, nell'ordinamento oltremondano, più si è vicini a Dio, più si riesce a comprendere la razionalità del suo disegno, incomprensibile per i mortali.

Oltre a però che, che si è già visto essere affine a perché, altri nessi introduttivi che compaiono con una frequenza minore sono morfemi temporali indicanti posteriorità, che assumono come significato secondario quello causale:300 da che, poi che, poscia

che. Tali nessi introducono generalmente una causa nota e dunque si collocano più frequentemente, anche se in misura minore rispetto all'italiano contemporaneo, in posizione prolettica rispetto alla sovraordinata.

Infine, un altro introduttore di causale esplicita può essere se, nei casi in cui la sua interpretazione non è ipotetica, ma data come reale, è tematica, e corrisponde a siccome, considerato che, ecc.:301

Se ciò non fosse, il ciel che tu cammine producerebbe sì li suoi effetti,

che non sarebbero arti, ma ruine; e ciò esser non può, se li 'ntelletti

che muovon queste stelle non son manchi, e manco il primo, che non li ha perfetti. (Pd VIII 106-111)

Si può parlare, in casi come questo, di costrutti bi-affermativi:302 entrambi i membri del

costrutto apparentemente ipotetico, infatti, esprimo fatti che nel contesto comunicativo sono universalmente riconosciuti come veri; i due membri non sono in rapporto di condizione-conseguenza (come invece accade nel periodo ipotetico che occupa la prima terzina), ma di causa-effetto.

A proposito delle causali implicite, bisognerà ancora una volta rilevare una disparità tra i dialoghi delle tre cantiche: si noti infatti che le causali implicite all'infinito compaiono solo nei dialoghi della seconda e nella terza cantica. A una maggiore frequenza dei costrutti causali nei discorsi dei beati e dei penitenti, corrisponde dunque anche una

300Agostini, Francesco. Proposizioni subordinate, P. 376. 301Giusti, Giuliana. Causali, P. 746.

gamma più ampia forme sintattiche utilizzate.

Le causali all'infinito sono quasi sempre introdotte da per e, nel corpus in esame, il predicato è sempre al presente.303 Dunque il significato causale è deducibile solo dal

contesto, data la sovrapposizione formale con il modulo finale: Farotti ben di me volere scemo:

son Guido Guinizzelli, e già mi purgo per ben dolermi prima ch'a lo stremo». (Pg XXVI 91-93)

ma tosto fia che Padova al palude cangerà l'acqua che Vincenza bagna, per essere al dover le genti crude; (Pd IX 46-48)

Il secondo passo rappresenta l'unico caso in cui il soggetto della causale infinitiva viene espresso, in quanto è diverso da quello della sovraordinata. Si tratta di un latinismo sintattico, che si avvicina molto al preziosismo denominato accusativo e infinito, una costruzione artificiosamente trasferita dal volgare al latino, in luogo della costruzione esplicita.304

Per quanto riguarda le causali implicite al gerundio, è rilevante che questo modo, al pari della congiunzione che per la forma esplicita, ha un potenziale subordinante vasto e assai variegato: il suo eventuale valore causale, infatti, non è reso evidente da nessun segno particolare e risulta unicamente dal contesto.305 Credo che il motivo di

una cospicua presenza del gerundio, resa ancor più rilevante dal fatto che il gerundio causale […] è piuttosto raro presso Dante, che aspira alla chiarezza e univocità del significato, e in generale indica i nessi causali in maniera esplicita,306 sia da ricercare

nella sua occorrenza in discorso diretto in versi: da una parte esso rende più fluida la sintassi, evitando l’accumulo di congiunzioni subordinanti; dall’altra, con il suo generico valore circostanziale, rende la concatenazione logica del periodo meno rigida, tratto tipico di un’espressione scarsamente pianificata come quella orale. Se ne veda un esempio:

Tu ti rimani omai; ché 'l tempo è caro in questo regno, sì ch'io perdo troppo venendo teco sì a paro a paro».

303Mentre nell'italiano contemporaneo, si ricordi, le forme infinitive della causale e della finale si

sono differenziate in modo da consentire un'interpretazione univoca: per + infinito passato è sempre causale, per + infinito presente è sempre finale.

304Brambilla Ageno, Franca. Accusativo e infinito. In: ED, Appendice, P. 424. 305Brambilla Ageno, Franca. Gerundio. In: ED, Appendice, P. 295.

(Pg XXIV 91-93)

La forma al participio, come quella al gerundio, non ha un valore causale esplicito: esso si ricava solo dal contesto. Da un lato, dunque, si può avvicinare questo modulo a quello appena analizzato, riscontrando in esso una vaghezza e una concisione tipiche dell’espressione parlata. D’altra parte, tuttavia, questo costrutto ha anche un sapore latineggiante, caratteristico di uno stile alto. Per questa ambivalenza, il participio causale non si riscontra, come il gerundio, in contesti linguistici molto marcati diamesicamente, ma piuttosto in quei punti dove alto e basso, astrazione e concretezza, si incontrano:

Esce di mano a lui che la vagheggia prima che sia, a guisa di fanciulla che piangendo e ridendo pargoleggia, l'anima semplicetta che sa nulla, salvo che, mossa da lieto fattore, volontier torna a ciò che la trastulla. (Pg XVI 85-90)

Con queste due terzine Marco Lombardo apre la sua argomentazione, di alto contenuto morale e filosofico, sul libero arbitrio. La sintassi è complessa ed elegante (si noti ad esempio l'iperbato che colloca il predicato reggente all'inizio della prima terzina e il suo soggetto in incipit di quella successiva); ma l'immagine della fanciulla, così come il lessico (pargoleggia, semplicetta, trastulla), sono semplici e popolari.307

Per quanto riguarda l'uso dei modi nella forma esplicita, è nettamente prevalente l'uso dell'indicativo. Il condizionale compare nei casi in cui la causale sia sul piano della virtualità, mentre il congiuntivo è utilizzato per indicare una causa fittizia:308 secondo il

procedimento retorico dell'incrementum, il parlante prima dichiara, negandola, una causa che apparentemente potrebbe determinare il fatto esposto nella sovraordinata e poi espone la vera causa:

E 'l buon Sordello in terra fregò 'l dito, dicendo: «Vedi? sola questa riga non varcheresti dopo 'l sol partito: non però ch'altra cosa desse briga, che la notturna tenebra, ad ir suso;

307Si veda un altro esempio: «O Padre nostro, che ne' cieli stai,// non circunscritto, ma per più

amore // ch'ai primi effetti di là sù tu hai, (Pg XI 1-3). In questo caso, il carattere latineggiante del participio congiunto è reso ancor più evidente dal latinismo lessicale circunscritto; tuttavia il contesto è quello dimesso della preghiera, un linguaggio noto e familiare per tutti i contemporanei di Dante.

(Pg VII 52-56)

Infine, per quanto riguarda la posizione della causale rispetto alla sovraordinata, vista la mobilità delle strutture sintattiche che Dante aveva a disposizione, non si potrà parlare di ordine marcato per i medesimi casi in cui si utilizza questa dicitura per l'italiano contemporaneo.309 Tuttavia, spesso, quando la causale rematica introdotta da

perché è prolettica rispetto alla sovraordinata, si ha un effetto stilistico di enfasi: Perch' io parti' così giunte persone,

partito porto il mio cerebro, lasso!, dal suo principio ch'è in questo troncone. (If XXVIII 139-141)

Ha l'effetto di evidenziare il contenuto della subordinata causale anche il seguente costrutto, in cui un complemento di causa anticipa il contenuto della causale che lo segue immediatamente:

Non se ne son le genti ancora accorte per la novella età, ché pur nove anni son queste rote intorno di lui torte; (Pd XVII 79-81)