4. Coscienza e interazione: il comportamento come attitudine
4.1. L’anti-riduzionismo di Mead
Nonostante le immagini siano «accessibili esclusivamente all’individuo che ne fa esperienza», non per questo sono meno oggettive del mondo presente che viene percepito:479 «Il fatto che l’immagine sia accessibile esclusivamente all’individuo non ne riduce tuttavia l’oggettività ma la mette a disposizione dell’individuo che ha conseguito una mente in cui essa può insediarsi».480
Questo vale a maggior ragione per «oggetti che sono accessibili solo all’individuo all’interno del suo contesto esperienziale».481 Anche questi oggetti sono reali proprio perché condizionano la condotta del soggetto. Una sensazione secondaria, ad esempio il colore di un oggetto percepito, è da un certo punto di vista identico per tutti in quanto percepito con un organo della vista simile per tutti, ciò nonostante esiste anche una immagine di questo colore che è presente solo all’individuo e che è oggettiva allo stesso modo del percetto.482 Negare la percezione dell’individuo come complementare all’oggetto percepito significa negare il carattere soggettivo dell’esperienza. Se così fosse, potremmo allora dire con Wittgenstein che «le cose stanno come con il rapporto: oggetto fisico e impressione sensibile. Qui abbiamo due giochi linguistici, e le loro relazioni reciproche sono complicate. – Se si vogliono ridurre queste relazioni a una formula semplice, si fallisce».483 Negare la differenza significa quindi negare che la condotta umana faccia riferimento alla capacità dell’individuo di ricondurre questi oggetti ad un sé autocosciente che seleziona gli stimoli dall’ambiente in base alle immagini di esperienze passate e di proiezioni future.484 È anzi la capacità selettiva che testimonia l’oggettività delle immagini che il soggetto utilizza per interpretare la situazione. Per tale motivo l’esperienza deve essere considerata come «condotta o comportamento»,
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K. Hanson, The Self Imagined, Routledge & Kegan Paul, New York and London 1986, p. 124.
479
Cf. G. H. Mead, La genesi del Sé e controllo sociale, cit., pp. 113.
480 Ivi, p. 113. 481 Ibidem. 482 Ibidem. 483
L. Wittgenstein, Ricerche filosofiche, p. 238.
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«Nulla induce – afferma Mead – a ritenere che gli animali inferiori sappiano organizzare e riferire questa sfera privata a un Sé. Il presente che passa non si dilata né in un flusso di ricordi né in un futuro presagito» (G. H. Mead, La genesi del Sé e controllo sociale, cit., p. 113).
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intendendo però il comportamento nel senso di una capacità del soggetto di ritagliare e modellare gli oggetti verso cui l’azione si dirige.485
Mead fa riferimento esplicito in La genesi del Sé e il controllo sociale a Whitehead e Bergson per rimarcare la “realtà oggettiva” delle esperienze soggettive che si esprime in una pluralità di prospettive.486 Se infatti riuscissimo ad astrarre dal tempo perderemmo senz’altro la specificità dei singoli soggetti e delle loro condotte, ma allo stesso tempo
«le esperienze degli stessi soggetti, nella misura in cui ciascuno fronteggia un mondo in cui gli oggetti sono piani d’azione, comporterebbero una successione di eventi differente per ogni individuo. […] Ognuno ritaglia il mondo dal punto di vista di un differente sistema temporale: oggetti che sotto mille aspetti sono identici per i due individui, diventano radicalmente diversi attraverso l’inclusione in un dato sistema spazio-temporale che implica una certa successione di eventi o in un altro».487
Come sostiene Kang, il comportamentismo a cui fa riferimento Mead si rivolge soprattutto alla considerazione della natura dei processi psichici così come essi appaiono all’interno di una visione che considera sia la teoria dell’evoluzione che la teoria della relatività.488 Ciò significa che le differenze di prospettive “spazio-temporali” ricalcano i differenti significati che i soggetti danno alla realtà. Il che palesa un limite fondamentale della nozione comportamentistica dei processi psichici. Ridurre l’esperienza del soggetto ad «una serie di situazioni fisico-chimiche statiche» significa perdere la specificità dei singoli soggetti e delle loro condotte, allo stesso modo in cui si perderebbe la specificità delle prospettive degli organismi collocati in differenti “sistemi spazio-temporali” nel momento in cui si volesse astrarre dal tempo;489 significa escludere dalla possibilità di comprensione dell’esperienza umana quel valore aggiunto che la coscienza attribuisce alla condotta. Come ritroviamo anche in PA:
485
G. H. Mead, La genesi del Sé e controllo sociale, cit., p. 114.
486
Dedicheremo l’intero prossimo capitolo al confronto di Mead con le teorie di Bergson e Whitehead sul soggetto delle esperienze soggettive
487
G. H. Mead, La genesi del Sé e controllo sociale, cit., p. 115.
488
Cf. W. Kang, op. cit., pp. 40 ss. Un approccio simile a quello che James applica nei suoi Principles, in cui egli accoglie come metodi di ricerca psicologica sia l’introspezione che i metodi sperimentale e comparativo.
489
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«Sebbene abbiamo posto le qualità secondarie nella coscienza quando la scienza non ha trovato più posto per loro nel mondo delle scienze fisiche, non siamo giustificati ad identificare la coscienza con ciò che rimane dopo l’analisi scientifica, a meno che non siamo pronti a negare la coscienza alla nostra esperienza di estensione e occupazione dello spazio».490
Considerare la coscienza come un residuo soggettivo, quindi, significa considerare reale solo ciò che occupa uno spazio ed è conoscibile solo attraverso leggi fisiche. Ma fare questo non risolve la questione riguardo alla possibilità di una spiegazione psicologica dell’individuo. Potremmo dire con David Chalmers che nessuna descrizione in terza persona dei processi cerebrali e del comportamento possono esprimere precisamente i dati che la psicologia vuole spiegare,491 o con Thomas Nagel che lo stato soggettivo non può fare esclusivo riferimento ad uno stato fisico oggettivo e che quindi la conoscenza dello stato soggettivo non può ridursi alla conoscenza dello stato oggettivo poiché «ogni fenomeno soggettivo è essenzialmente connesso con un singolo punto di vista e sembra inevitabile che una teoria fisica oggettiva abbandonerà questo punto di vista».492
Prima di Mead, James ha sostenuto i limiti di un riduzionismo fisicalista dei processi psichici, affermando che anche se potessimo avere leggi fisiche concernenti i movimenti fisici non potremmo comunque formare immagini positive del modus operandi della volontà o di altri pensieri che afferiscono alle molecole cerebrali; se la sensazione costituisse la parte non scientifica della conoscenza, mentre i movimenti corporei e dei nervi costituissero la parte scientifica, sarebbe facile ammettere un dualismo e relegare la parte non scientifica «in un limbo di inerzia causale».493 Ma la decisione della ‘separazione’ è comunque una decisione metafisica e se chiedessimo la ragione di tale decisione scopriremmo di essere molto distanti da ciò che è la scienza. D’altra parte, prosegue James, «le parole uso, vantaggio, interesse, bene, non troverebbero applicazione in un mondo in cui non esistesse la coscienza. Le cose non sono né buone né cattive. Semplicemente sono o non sono».494
Al pari di James, Mead rifiuta l’idea di una riduzione dei processi psichici a leggi fisiche e ammette la necessità di una spiegazione che coinvolga più metodi per rendere merito della complessità dell’esperienza umana. Come scrive Miller, se Mead fosse un riduzionista non ci
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PA, pp. 407.
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Sebbene, egli specifichi, tale descrizione giochi un ruolo centrale nella spiegazione (Cf. D. Chalmers, First-
person methods in the science of consciousness, in «Consciousness Bulletin», Fall 1999, p. 8)
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T. Nagel, What is it like to be a bat?, cit., pp. 437; 442.
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W. James, Principles of Psychology, p. 88.
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sarebbe nessuna possibilità per l’individuo di anticipare la reazione degli altri al proprio gesto, e non potrebbe quindi anticipare a sua volta la propria risposta alla reazione degli altri; non potrebbe, in breve, essere conscio tanto del passato quanto delle possibilità future e non potrebbe comunicare con gli altri poiché i significati non sarebbero gli stessi per i partecipanti.495 Detto altrimenti, le leggi delle scienze fisiche non possono fare da modello per le spiegazioni psicologiche, essendo queste ultime di natura diversa e implicando fenomeni qualitativamente irriducibili ai movimenti fisici.496
Nessun comportamento evidente può essere connesso causalmente agli stati psichici; o, detta con le parole di Wittgenstein, «Nessuna evidenza ci insegna la manifestazione psicologica».497 Se infatti fosse possibile ricondurre una azione ad una causa solamente nel momento in cui esistesse un numero di esperienze che mostrano una regolarità (così come avviene per gli esperimenti sugli animali), intendendo per causa uno stimolo fisico-ambientale e per effetto una risposta fisica dell’organismo, l’effetto di tale causa dovrebbe implicare un comportamento identico – una risposta – ogni qualvolta si presenti quella causa fisico- ambientale.
4.2. Comportamentismo logico e distinzione tra piano ontologico e spiegazione