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La distinzione Io-Me, soprattutto come appare in MSS, sembrerebbe non risultare così chiara e sempre univoca nel suo uso. Come ha notato Cook sembrerebbe che la distinzione Io- Me si riveli problematica per il carattere ambiguo che il Me assume all’interno del lavoro di Mead. Sono infatti rintracciabili nei diversi scritti meadiani accezioni differenti del Me: la prima riguarderebbe il Me in quanto soggetto divenuto oggetto, la seconda invece riguarderebbe l’insieme degli atteggiamenti che gli altri individui assumono nei confronti del soggetto e che sono identificabili con l’Altro generalizzato.381 E d’altronde Mead sembra corroborare questa duplice accezione: da una parte egli intende il Me come soggetto divenuto oggetto a se stesso, dall’altra come Sé riflessivo ovvero come la pianificazione della condotta nei confronti degli altri Sé.382 Secondo questa distinzione il primo Me è formato dalle sensazioni organiche e dalle risposte che sorgono dalle dinamiche di stimolo e risposta e dalle

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Vedi, infra, cap. quarto.

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Questa distinzione è stata notata da Cook in occasione di un Convegno su Mead tenutosi ad Opole nel giugno 2011.

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immagini della memoria legate a esse. Ma queste risposte sono risposte ai gesti e attitudini degli altri e sono rivolte agli altri. Ciò comporta che chi accompagna la condotta autocosciente non è l’attuale Io, ma la risposta che qualcuno dà alla condotta dell’individuo. Seguendo Mead, questa confusione nella risposta tra gli stimoli sociali degli altri e l’implicazione del soggetto agente, è la base psicologica per assumere che il Sé può essere

direttamente conscio di se stesso come agente e come agito:

«Il sé agisce in riferimento agli altri ed è immediatamente cosciente degli oggetti al riguardo. Nella memoria, inoltre, reintegra il sé agente nonché gli altri che agiscono su di esso. Ma oltre a questi contenuti, l’azione riferita agli altri chiama nell’individuo le risposte – c’è quindi un altro “me” che critica, approva, consiglia, e coscientemente pianifica, i.e., il sé riflessivo».383

Una possibile soluzione al problema sollevato da Cook potrebbe essere rintracciata se considerassimo la distinzione tra i due significati di Me in termini puramente funzionali. Tenendo conto che il Me è l’immagine presente nella memoria del soggetto che agisce in riferimento agli altri – l’insieme delle conversazioni interiorizzate – ed è esso stesso il Sé riflessivo, razionale costituito da queste risposte, sembrerebbe che anche l’Altro generalizzato – l’insieme delle risposte degli altri – sia esperito dal Me, figura quindi il soggetto divenuto oggetto a se stesso. Come Mead scrive in The Social Self, il Me è l’insieme delle risposte che il soggetto attua in riferimento alla propria condotta, e queste risposte sono tutt’uno con l’Altro generalizzato, essendo il Sé formato innanzitutto nella società.

Detto altrimenti, l’Altro generalizzato è l’insieme universalizzato delle risposte degli altri, risposte che sono allo stesso tempo le stesse che attua il soggetto nei confronti degli altri che osserva, così che egli stesso è parte dell’Altro generalizzato. Di conseguenza, pensare al Me come oggetto o al Me come Altro generalizzato significa guardare al soggetto in quanto Me come soggetto sociale:

«è solo in quanto l’individuo si vede agire in riferimento a se stesso allo stesso modo in cui agisce in riferimento agli altri, che egli diventa un soggetto a se stesso e non un oggetto, ed è solo in quanto esso è influenzato dalla propria condotta

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sociale nel modo in cui è influenzato dalla condotta degli altri, che diventa oggetto per la sua condotta sociale».384

Ne consegue che il soggetto che diviene oggetto a se stesso è necessariamente legato al suo modo di vedersi come gli altri lo vedono. Questo è palese se assumiamo come presupposto per la formazione del Sé gli altri Sé con i quali interagisce. Ovviamente, l’insieme delle risposte degli altri Sé vengono interiorizzate e rese oggetto di riflessione prima che il soggetto sia in grado di rendere oggetto delle proprie riflessioni le proprie risposte agli altri.385

Potremmo allora delineare il processo di formazione del Sé nel modo seguente. La prima fase vede il soggetto entrare in contatto con gli altri soggetti sociali che distingue dagli oggetti fisici per quel “più” che distingue la relazione del soggetto con gli oggetti fisici dalla relazione con gli oggetti sociali. Gli altri Sé si rivelano essere i primi “oggetti”, nel senso che essendo il movimento percettivo-motorio che stimola l’attenzione del soggetto rivolto all’esterno, il soggetto vede innanzitutto gli altri oggetti sociali.

Nella seconda fase il soggetto, che esperisce l’interazione con il mondo fisico e sociale attraverso le stimolazioni sensibili, interiorizza grazie alla memoria le risposte degli altri ai propri stimoli e realizza che certe proprie risposte agli stimoli esterni danno vita a successive risposte da parte degli altri Sé. In tal modo egli forma nella sua mente un insieme di conversazioni che alimentano il bagaglio esperienziale che richiamerà alla memoria in occasione di una nuova situazione che presenterà elementi simili a situazioni già esperite in passato. Il legame tra stimoli sensibili e immagini della memoria fa sì che il soggetto rifletta sulla situazione presente attraverso il ricordo della conversazione di gesti che in passato ha avuto, conversazione in cui egli stesso era soggetto implicato. Le risposte degli altri sono una parte di questa memoria, nel senso che esse sono tali solo in base agli stimoli del soggetto. Detto altrimenti, così come non esistono risposte senza domande, allo stesso modo non esiste reazione senza stimolo: quando Mead parla in riferimento all’Altro generalizzato dell’universalizzazione degli atteggiamenti degli altri nei confronti dell’individuo, egli si riferisce appunto alla conversazione di gesti, a risposte e domande. Potremmo dire che se le

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Ivi, p. 143.

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Habermas nota una obiezione che potrebbe essere fatta alla nozione di discorso interiorizzato in quanto già linguisticamente precostituito secondo cui l’autoriferimento riflesso di un colloquio interiorizzato si mostrerebbe inficiato di una relazione intenzionale del soggetto con se stesso propria invece di una struttura linguistica proposizionale matura. Egli sostiene quindi che per rispondere a tale obiezione il Me in quanto assunzione della prospettiva dell’altro potrebbe spiegare l’autocoscienza come fenomeno originario, solamente venendo collocato a livello pre-linguistico e quindi precedente alla possibilità di essere utilizzato per monologhi interiori (Cf. J. Habermas, Il pensiero post-metafisico, cit. pp. 206-12). Come stiamo vedendo, tale collocazione «più in profondità» è alla base della possibilità dell’introspezione inteso come monologo interiore di gesti.

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risposte generalizzate che rappresentano le regole sociali non sono esperite dal soggetto attraverso le interazioni sociali non saranno mai conosciute dal soggetto. Di conseguenza, quando si parla di Altro generalizzato si parla di un insieme di conversazioni esperite ripetute che diventa nella mente del soggetto l’insieme delle regole sociali. Ma, ripetiamolo, l’Altro generalizzato è l’insieme delle conversazioni esperite dal soggetto, e queste conversazioni implicano il soggetto agente tanto quanto gli altri Sé.

Da qui la terza fase: il soggetto diventa consapevole di se stesso proprio in riferimento alle conversazioni, ovvero proprio in riferimento alle risposte che gli altri hanno dato a certi suoi stimoli, risposte che hanno assunto valore per la formazione dell’autocoscienza proprio per la capacità del soggetto di parlare a se stesso.386 Egli quindi diventa oggetto a se stesso – diventa Me – nel senso in cui questo Me è anche l’insieme delle conversazioni esperite che formano l’Altro generalizzato: «the inner stage changes into the forum and workshop of thought».387

Questo Me che Mead identifica con l’Io del momento precedente – la cui identificazione pone problema a Cook – si ritrova in realtà all’interno della nozione di Altro generalizzato, poiché è l’insieme delle risposte che assumono valore universale. Come scrive Mead, noi assumiamo il ruolo degli altri perché tendiamo naturalmente ad assumere l’attitudine di un altro in questa reazione «sorgono naturalmente le immagini della memoria delle risposte che ci riguardano, le immagini della memoria di quelle risposte di altri che erano nella risposta di azioni simili».388

Nella ricostruzione di Axel Honneth della teoria del Sé sociale di Mead ritroviamo una distinzione fondamentale che può esserci qui utile per esplicitare meglio il nostro pensiero. Honneth sostiene che il Me in quanto «immagine cognitiva di sé» si ottiene nel momento in cui il soggetto apprende a percepirsi dalla prospettiva dell’altro. Con l’estensione delle immagini delle reazioni degli altri Sé ad aspettative non più solamente di ordine cognitivo, ma di tipo normativo, si ha una estensione del comportamento sociale che implica il passaggio del Me da «immagine cognitiva» a «immagine pratica della propria persona».389

Ora, questo passaggio si sviluppa in un percorso naturale in cui il soggetto apprende man mano le regole sociali, linguistiche, morali, di un certo ambiente sociale. In breve, il Me è tanto l’aspetto cognitivo quanto quello pratico del Sé, parlare quindi di Me come oggetto a se stesso o come insieme delle risposte dell’Altro generalizzato significa semplicemente distinguere tra il piano cognitivo e il piano pratico, la distinzione essendo funzionale alla

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G. H. Mead, La voce della coscienza, cit., p. 82.

387

G. H. Mead, The Social Self, cit., p. 147.

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Ivi, p. 146.

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risposta in base alla fase di sviluppo del Sé. Ovviamente il soggetto apprende innanzitutto attraverso la coscienza delle risposte degli altri, in seguito prende coscienza di sé in quanto soggetto distinto dagli altri. Le convenzioni sono in realtà automatismi, sono risposte sempre identiche a stimoli simili: vedersi con gli occhi dell’Altro generalizzato significa quindi vedere già delle situazioni che inizialmente facevano parte del Me cognitivo che apprendeva per la prima volta una regola.390 E proprio perché l’Io riflette su se stesso, ovvero è ciò che esperisce ed è esperito, si contrappone al Me in quanto oggetto e in quanto Altro generalizzato: nel momento in cui la risposta è innovativa, ovvero è inadeguata alle risposte proprie delle conversazioni passate – all’Altro generalizzato – allora quest’ultimo evolve. Questo evolvere è imprevedibile, così come ogni azione è imprevedibile. Possiamo pianificare, possiamo cercare di valutare in riferimento alle esperienze passate e immaginarci in una situazione già vissuta, ma l’azione è sempre qualcosa di nuovo, è l’emergente che caratterizza il soggetto in quanto distinto dagli altri. L’Io è allora ciò che rappresenta l’esperienza immediata, il soggettivo, il carattere creativo che fa riferimento agli impulsi del Sé. Esso si distingue dall’essere socialmente cosciente di sé, ovvero dall’essere che considera gli atteggiamenti degli altri nei propri confronti, per il fatto che il suo agire non è cosciente completamente.391 Ciò non di meno questo agire è già di per sé influenzato, sebbene non coscientemente, dal Sé sociale.392 Questo perché gli istinti sociali sono innati e il condizionamento si fonda sulla dinamica bio-sociale per cui ogni agire è già di per sé sociale nei suoi termini.